SCIENZA E RICERCA

Il cibo del futuro? A misura di geni

Nutrizione individualizzata. È questa la direzione verso cui sembra muoversi la scienza dell’alimentazione. Non più solo interventi dietetici basati sul fabbisogno nutrizionale di ognuno, ma in futuro calati anche sull’impronta genetica di ciascun individuo. Per prevenire patologie croniche e coadiuvare in maniera sostanziale eventuali terapie farmacologiche, ampliandone l’effetto. 

È risaputo che l’alimentazione, se poco sana, può costituire un fattore di rischio per malattie cardiovascolari, ma al tempo stesso, se moderata, varia e bilanciata, può rappresentare un fattore di protezione da patologie come obesità, diabete e cancro. “E la dieta mediterranea – sostiene Elena Dogliotti, biologa nutrizionista e ricercatrice della Fondazione Umberto Veronesi intervenuta recentemente a Padova al convegno Nutrire la salute – è un punto di riferimento come dieta preventiva per eccellenza”. Dunque, consumo di alimenti tipici della nostra area geografica, come olio d’oliva, frutta e verdura di stagione e cereali con un apporto giornaliero del 12-15% di proteine, del 55-65% di carboidrati e del 25-30% di grassi. La ricercatrice sottolinea l’importanza di preferire i carboidrati complessi a quelli semplici, le proteine vegetali rispetto alle animali, il pesce rispetto alla carne. Salutare anche assumere pochi dolci, prodotti conservati e pochi condimenti tra cui il sale. Ma non è tutto, perché alla base non dovrebbero mancare l’attività fisica e la convivialità. Il consumo di prodotti stagionali e locali.

Ora nuovi ambiti di indagine scientifica offrono strumenti in più per valutare gli effetti che l’alimentazione può avere sul corpo umano. “Attorno all’alimentazione – continua Elena Dogliotti – c’è una scienza che si sta evolvendo e sviluppando. Nascono nuove branche come nel caso della nutrigenomica e della nutrigenetica di cui si parla ormai da una decina d’anni”. Si tratta da un lato del modo in cui il cibo o i componenti alimentari possono influenzare i geni, dall’altro delle differenze individuali a livello genetico che possono influire sulla risposta alla dieta. 

Ma nello specifico cosa avviene? Partiamo da una premessa. Il colore dei nostri occhi, dei capelli, la predisposizione a determinate patologie è “scritta” nel nostro codice genetico, ma a influire sulle caratteristiche morfologiche e funzionali di un individuo, sull’aspetto esteriore e sul comportamento, è anche l’ambiente esterno. Dunque la qualità dell’aria che respiriamo, l’attività fisica e non ultima l’alimentazione. Si parla in questo senso di “meccanismi epigenetici” che non alterano la sequenza genetica, ma il grado di attività, la funzionalità dei geni. Gli alimenti possono dunque modificare i processi fisiologici e patologici attraverso “meccanismi epigenetici”. Ma possono anche agire direttamente sul Dna, stimolando l’attività dei geni stessi. 

“La comprensione del ruolo dei nutrienti o delle componenti bioreattive del cibo nell’alterazione dei patterns epigenetici – spiega Elena Dogliotti – ci potrebbe fornire una via per il mantenimento della salute attraverso la modulazione della dieta che è più fisiologica di qualsiasi farmacoterapia”. 

In questo senso sono già stati raggiunti risultati abbastanza significativi, sebbene da parte della ricercatrice non manchi la cautela. “La scienza dell’alimentazione è un settore complesso. Una ricerca deve essere ripetibile, condotta su numeri molto ampi e statisticamente significativi. La maggior parte delle indagini sugli effetti dei nutrienti è stata finora condotta in larga parte in vitro e sugli animali, meno sull’uomo”. Per questo la ricerca deve continuare. Al momento, ad esempio, il gruppo di ricerca di Elena Dogliotti sta lavorando agli effetti delle antocianine, coloranti naturali che si trovano nelle more, nei lamponi, nei mirtilli, nel riso venere. Esistono diversi studi condotti in laboratorio e sugli animali che ne dimostrano gli effetti antinfiammatori e antiossidanti tali da rendere questi elementi importanti per la prevenzione del rischio cardiovascolare e per il recupero da infarti. Ora gli scienziati stanno studiando questi effetti su un campione di 460 persone.

In ogni caso esistono cibi, che agiscono a livello epigenetico, i cui effetti sono ormai unanimemente riconosciuti. È il caso ad esempio della frutta, della verdura, del pesce. È stato poi ampiamente dimostrato, sottolinea la ricercatrice, che il consumo di glucosinolati, contenuti in particolare nei cavoli di tutte le qualità, nel cavolfiore, nei broccoli, nelle cime di rapa, ma anche nella senape, nel ravanello e nella rucola, è associato alla riduzione del rischio di cancro (alla mammella, all’endometrio, alla cervice, alla prostata, al polmone, al colon, al fegato). Ancora, la soia è tra le migliori fonti di proteine vegetali. Le molecole responsabili dei suoi effetti benefici appartengono alla categoria degli isoflavoni, sostanze simili agli estrogeni, gli ormoni sessuali femminili. Ed è proprio questa caratteristica a consentire loro di svolgere una funzione simile agli estrogeni umani e di preservare alcuni tessuti dallo sviluppo di tumori. A ciò si aggiunga che recenti studi dimostrerebbero che un consumo costante di soia sarebbe in grado di abbattere del 10-15% la quantità di colesterolo LDL, cioè quello cattivo. 

C’è poi il cioccolato fondente che fa bene al cuore per la presenza di flavonoidi (assenti invece nel cioccolato bianco), diminuisce la rigidità delle arterie e ha un effetto antiossidante. Le mandorle e le noci, ricchissime di oli di alta qualità come l’acido oleico e l’acido linoleico. Ricche di magnesio, calcio e potassio, sono fonte di vitamina E e B2, contengono molte proteine e possono aiutare a controllare i livelli di zuccheri nel sangue. “Abbiamo individuato che determinati geni sono più influenzati di altri da certi tipi di nutrienti – conclude Dogliotti – ma dobbiamo capire fino in fondo i meccanismi attraverso i quali avvengono queste interazioni per dare delle risposte più concrete”. 

Monica Panetto

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