SCIENZA E RICERCA

Armi da fuoco e violenza

C’è una cittadina, Kannesaw, trentamila abitanti o giù di lì, nella contea di Cobb, in Georgia, USA, in cui è proibito “non portare” armi. Per ordine delle autorità municipali dal 15 marzo 1982 tutti i capifamiglia hanno l’ordine di detenere in casa un fucile, o almeno una pistola. Come spiega Melinda Wenner Moyer sullo Scientific American, l’orgoglio con cui Kannesaw da 35 anni rinnova la sua legge ben rappresenta quell’anima americana che ama le armi che appare così inspiegabile agli occhi di noi europei. Soprattutto dopo episodi come quello recente di Las Vegas, in cui un uomo in possesso di un vastissimo arsenale legale (o quasi) di armi da fuoco ha ucciso 59 persone e ne ha ferite dieci volte tanto.

L’anima da cow boy negli Stati Uniti non è maggioritaria. Ma gode di un ampio consenso, alimentato con svariati argomenti e a ogni livello dalla National Rifle Association (NRA), un’organizzazione non governativa che si batte, appunto, per il diritto ad armarsi. Tra questi argomenti ce ne sono anche alcuni a carattere scientifico. Con risvolti che non è esagerato definire clamorosi.

Partiamo dai dati. Ogni anno negli Stati Uniti muoiono per colpi di arma da fuoco 36.000 persone: 11,9 ogni 100.000 abitanti. In Europa muoiono per lo stesso motivo in media ogni anno, secondo il Flemish peace institute, 6.700 persone: 1,3 ogni 100.000 abitati. La differenza è di un ordine di grandezza.

Secondo molti osservatori ci sarebbe una diretta connessione tra la diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti (dal 1991 a oggi ne sono state acquistate legalmente da privati cittadini oltre 170 milioni) e il numero di morti per arma da fuoco. La National Rifle Association e i sostenitori del “modello americano” sostengono invece che questi dati vanno spiegati solo con il fatto che negli USA ci sono più delitti. E che ce ne sarebbero molti di più se le armi da fuoco non fossero diffuse. Insomma, pistole, fucili e altro sarebbero non solo strumenti necessari per la legittima difesa, ma anche un potente fattore di prevenzione.

Fin qui le opinioni. Per vederci chiaro nel 1993 un gruppo di sociologi realizzò una ricerca di tipo scientifico, trovando che il possesso di un’arma triplicava la probabilità di essere uccisi. Il risultato, ricorda Melinda Wenner Moyer, mandò su tutte le furie National Rifle Association, che cercò di rispondere con altri studi di tipo scientifico. Mise in evidenza, in particolare, una ricerca condotta nel 1995 da Gary Kleck, un criminologo della Florida State University, e dal collega Marc Gertz: dopo aver intervistato un campione scelto a caso di 5.000 cittadini americani, i due verificarono che l’1% sostenevano di aver fatto uso di armi da fuoco per autodifesa nell’ultimo anno. Facile l’estrapolazione: negli Stati Uniti 2,5 milioni di cittadini onesti ogni anno respingono tentativi di aggressione grazie alle armi da fuoco legittimamente possedute.

Poco importa che, nei mesi e negli anni seguenti, l’estrapolazione si dimostrò del tutto infondata. E che l’uso di armi da fuoco per autodifesa era di due ordini di grandezza inferiore. Il deputato Jay Dickey dell’Arkansas fece passare al Congresso un emendamento alla legge di finanziamento dei Centres for Disease Control (CDC), l’agenzia federale che si occupa della salute, che vietava ogni ulteriore ricerca sugli effetti della diffusione delle armi da fuoco. Il Congresso tagliò i fondi ai CDC di 2,6 milioni di dollari: esattamente la somma fino ad allora destinata a questo tipo di ricerche. Una censura, per l’appunto, clamorosa. Senza precedenti.

Da oltre vent’anni quella censura è operativa: i Centres for Disease Control (CDC) non possono effettuare ricerche su questo argomento. In realtà un tentativo di rimuovere il divieto venne realizzato nel 2012 dal presidente Barack Obama, dopo che un ennesimo pistolero uccise 20 bambini e 6 adulti in una scuola di Newtown, nel Connecticut. Con un ordine esecutivo, Obama dispose l’assegnazione di 10 milioni di dollari per la ricerca selle conseguenze del possesso di armi da fuoco. Ma il Congresso non approvò l’ordine presidenziale. E anzi, sostiene Linda DeGutis, che ha diretto i CDC dal 2010 al 2014, ai ricercatori dei Centres for Disease Control fu fatto divieto persino di parlare dei fatti di Newtown.

D’altra parte anche il nuovo presidente, Donald Trump, dopo i fatti di Las Vegas ha dichiarato che, per il momento, è bene non parlare degli effetti della diffusione delle armi da fuoco.

Per fortuna l’America è grande. E negli Stati Uniti è difficile mettere il bavaglio a chicchessia. Compreso i ricercatori. Ecco, dunque, che negli ultimi 25 anni sono stati realizzati, anche senza i fondi CDC, all’incirca trenta ricerche sul tema. E tutte hanno dimostrato che il possesso di armi da fuoco fa aumentare il rischio di omicidi e altri delitti.

Uno studio recente realizzato da ricercatori del Boston Children’s Hospital e della Harvard University su dati dell’FBI e del Centers for Disease Control and Prevention, hanno dimostrato che attacchi con armi da fuoco sono 6,8 volte più comuni negli stati dove la diffusione delle armi da fuoco è maggiore rispetto a quelli dove è minore. E una metanalisi, sempre nel 2015, che ha messo insieme i risultati di 15 diverse ricerche, che le persone che hanno accesso ad armi da fuoco in casa corrono un rischio doppio di venire uccisi da una pallottola. Insomma, pistole, fucili e armi da guerra non sono un deterrente, ma al contrario un catalizzatore della violenza.

Questi dati sono contestati dalla National Rifle Association. I crimini negli Stati Uniti sono diminuiti negli ultimi lustri e questo, sostiene l’associazione, è dovuto al fatto che le armi da fuoco sono sempre più diffuse tra le persone perbene che possono così difendersi.

In realtà, dicono gli esperti, non è vero che è aumentato il numero di cittadini americani in possesso di armi da fuoco. La vendita delle medesime è in crescita perché chi ne è in possesso – è il caso di Stephen Paddock, il killer di Las Vegas – tende in maniera compulsiva ad allestire dei veri e propri arsenali di guerra.

Persino a Kannesaw, pare, i capifamiglia che evadono la legge municipale e rinunciano ad avere un’arma in casa sono almeno la metà. Buon segno, dicono i ricercatori.

Pietro Greco

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