SOCIETÀ

Cina-Usa, la guerra del commercio globale

Dopo acciaio e alluminio, si allunga la lista dei prodotti importati dalla Cina (sono ormai oltre 1.000) su cui gli Stati Uniti hanno deciso di porre dei dazi per un valore totale di circa 50 miliardi di dollari. Sono tanti i settori coinvolti, da quello chimico industriale, a quello medico, metallurgico e così via. Tasse che rappresenterebbero la risposta dell’amministrazione Trump al presunto furto sistematico cinese di segreti industriali, brevetti e tecnologia americana. Sul tema abbiamo chiesto l’opinione di Roberto Antonietti, docente di economia internazionale all’università di Padova.

È solo questa la ragione?  

Che la Cina sia, dal punto di vista economico, una potenza ‘aggressiva’ nelle sue strategie, è un dato di fatto; è una nazione che oggi sta investendo tantissimo nell’innovazione tecnologica, molto più di prima tant’è che molte aree della Cina stanno emergendo al pari di aree degli Stati Uniti e di altre zone del mondo. Quanto quindi alla Cina sia attribuito a livello di spionaggio industriale è difficile a dirsi, ma di certo questo è un pretesto. Credo che le vere motivazioni che stanno alla base di questa ‘manovra’ siano di tipo politico e personale più che economico e sono essenzialmente due secondo me. Una sicuramente dipende dalla concezione che il presidente americano ha del commercio, basata sostanzialmente sui rapporti di forza; è un’idea molto semplicistica quella che lui ha, per cui il surplus commerciale va sicuramente promosso mentre il deficit commerciale no, perché simbolo di debolezza e vulnerabilità dell’economia del Paese. Questo però oggi per gli Stati Uniti, dove il tasso di disoccupazione è a livelli di pieno impiego (4%), la politica monetaria sta tornando a essere efficace e dove si può considerare superata la crisi economica, non è vero. Non ci sono quindi le ragioni per giustificare il fatto che un eccessivo deficit commerciale possa di fatto far tornare in recessione il Paese. L’altro motivo, invece, viene sicuramente dalla forte pressione che le lobby dei grandi gruppi industriali americani stanno facendo sulla politica’.

La risposta della Cina nei confronti degli Stati Uniti sembra voler essere di pari portata (ha già superato quota 100 la lista di prodotti americani su cui Pechino ha posto nuovi dazi fino al 25%). Prima di procedere all’imposizione vera e propria delle nuove tassazioni però, ci sarà un periodo di valutazione. Inoltre i prodotti colpiti dai dazi americani rappresentano in importazioni una cifra bassissima rispetto a quanto la Cina vende agli Stati Uniti, circa 50 miliardi di dollari.

Questo fa pensare ad una sorta di ‘periodo di trattativa’. Ma per ottenere cosa?

“In realtà l’atto è già stato formalizzato e i dazi approvati e questo dimostra la credibilità che il presidente vuole dare a questa minaccia. E questo spiega anche la reazione immediata della Cina che ha già minacciato la guerra commerciale. Trump in questo senso vuole dimostrare di essere lui quello che prende le decisioni, ma non considera il fatto che si trova a trattare con una potenza economica che è quantomeno alla pari degli Stati Uniti. Una guerra commerciale significherebbe anche una contrazione dei volumi di commercio e questo andrebbe a colpire tutti”.

La Cina, che ha sempre per prima applicato in modo sistematico il protezionismo, si è appellata anche all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) mettendo in dubbio la legalità dei dazi imposti dall’America.

Quali ricadute potrebbe avere una ‘guerra commerciale’ tra questi due giganti dell’economia a livello globale?

‘Le ricadute potrebbero essere molte, sia sul breve che sul lungo periodo. Se gli Stati Uniti alzassero, ad esempio, i dazi sull’acciaio, questo comporterebbe che le importazioni americane di questi prodotti diventerebbero più care e nel breve periodo, quando le imprese statunitensi non sono in grado di riorganizzare la produzione per sostituire il fattore della produzione divenuto più caro con un fattore meno caro. Questo significa che le imprese aumenteranno i propri costi di produzione con conseguente perdita di profitti e di posti di lavoro. Le ricadute poi andrebbero a interessare non solo le industrie produttrici di acciaio ma anche tutte quelle correlate con l’uso di questo materiale. Una guerra commerciale quindi porterà effetti a ricaduta potenziali anche su paesi che importano beni provenienti dagli Stati Uniti che di conseguenza diventeranno più cari. Bisogna considerare anche che l’economia oggi non scambia più solamente beni e prodotti finali ma è immersa in quelle che vengono definite catene globali del valore, filiere produttive ormai globali che toccano più Paesi.

Nello specifico, quali risvolti potrebbero esserci per il nostro Paese a livello economico?

Per l’Italia è a rischio l’export verso l’America non solo per i prodotti finiti ma anche per i semilavorati, i beni intermedi e per quei prodotti che coinvolgono nella filiera imprese europee ma anche cinesi. La guerra commerciale non si limiterebbe infatti alla Cina ma andrebbe a coinvolgere tutti i Paesi e i rapporti con questi e con la stessa Unione Europea.

F.F.

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