CULTURA

Nuovi media e vecchi pregiudizi

Quante volte si legge o si sente che i nuovi mezzi di comunicazione – in testa telefonini, più o meno smart, e internet – rendono più difficile la concentrazione. Altri lamentano la crescente tendenza a isolarsi, o addirittura la produttività persa e i conseguenti danni per le aziende, che assommerebbero a svariate decine, o centinaia, di miliardi di dollari.

Su questo, in particolare sul modo in cui l’esplosione dei mezzi di comunicazione orizzontali sta cambiando la nostra realtà quotidiana, ci sono però pareri discordanti tra gli studiosi: Internet, lavoro, vita privata. Come le nuove tecnologie cambiano il nostro mondo (Il Mulino 2012) di Stefana Broadbent, scienziata sociale e antropologa dello University College London, è ad esempio molto efficace nel rovesciare alcuni dei luoghi comuni più diffusi. È opinione comune che telefonia cellulare e internet abbiano allargato in maniera esponenziale le nostre relazioni: eppure, stando alle ricerche citate nel libro, ciascuno le utilizza all’80% per contattare un gruppo molto ristretto di persone, in media cinque. Tra questi in primo luogo il partner e i familiari più stretti: l’82% degli americani utilizza infatti internet e telefonini essenzialmente per comunicare con la mamma o i figli.

Il discorso non cambia troppo considerando anche i social network. Nel 2009 un gruppo di ricercatori del Facebook Data Team ha osservato i comportamenti dei fruitori del social più famoso, traendone alcune interessanti osservazioni: gli utenti avevano in media 120 “amici”, ma di fatto comunicavano attivamente (post, citazioni e semplici “mi piace”) con meno del 10% di essi. Il quadro che ne esce è per molti versi spiazzante: i nuovi mezzi di comunicazione non servono a estraniarsi dai legami già esistenti, ma anzi in primo luogo a coltivarli e a rinsaldarli. Fenomeni come quello degli hikikomori giapponesi, che scelgono di chiudersi in casa per vivere soltanto relazioni on line, sarebbero quindi, almeno per il momento, completamente marginali.

Eppure si sono moltiplicate negli ultimi anni diverse contromisure contro la libertà di comunicare, assieme alle polemiche sulla disattenzione e l’improduttività causata dall’uso dei new media. Secondo quanto ha scritto ad esempio Maria Konnikova, psicologa della Columbia University, in un articolo sul New York Times, i mezzi di comunicazione moderni e soprattutto l’abitudine al multitasking renderebbero particolarmente difficile il raggiungimento della “mindfulness”. Questo stato di attenzione vigile permetterebbe infatti la risoluzione di problemi particolarmente complessi, ma sarebbe anche connesso alla capacità di isolarsi e di riuscire a “stare con se stessi”.

In realtà, sempre secondo la Broadbent, non solo non ci sono prove che un’attenzione esclusiva sia connessa con una maggiore efficienza, ma è addirittura possibile mettere in relazione  la moderna crescita della produttività con il multitasking, ovvero la capacità di gestire più cose contemporaneamente. Comprese le relazioni familiari. Le polemiche, sempre secondo la studiosa, in realtà non tengono conto di com’è cambiato oggi il modo di lavorare al giorno d’oggi: “Aspettarsi che un lavoratore adempia ai suoi compiti professionali otto o nove ore al giorno senza interruzioni né distrazioni vuol dire ignorare i cicli di attività previsti dalla maggior parte degli ambienti di lavoro, così come i naturali cicli naturali d’attenzione della mente umana”. Persino nei lavori più umili e manuali, come nel caso dei manovali o del personale delle pulizie, ci si rende conto che impedire di comunicare può apparire non solo crudele, ma anche immotivato.

La portata veramente rivoluzionaria del fenomeno, secondo la Digital Anthropologist Broadbent, sta semmai proprio nel fatto che telefonini e social network ci permettono di restare più in facilmente “connessi” con i nostri cari. Questo però, assieme a sicuri benefici – in particolare per le persone materialmente e socialmente più povere, come i migranti –  costituirebbe allo stesso tempo il sovvertimento di uno dei cardini della società moderna, ovvero la distinzione tra il lavoro e la sfera personale. Fino a un passato recente la possibilità di comunicare con l’esterno – si trattasse di una fabbrica, di un ufficio o di una scuola – era uno status riservato al capo: il fatto che oggi sia alla portata di tutti sembra minare un’organizzazione del lavoro ancora basata sul controllo piuttosto che sulle relazioni e sulla creatività.

Daniele Mont D’Arpizio                                                                                              

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