UNIVERSITÀ E SCUOLA

Donne in cattedra: negli Stati Uniti colgono l'attimo

La recente candidatura di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali americane del 2016 ha riacceso negli Stati Uniti il dibattito sul numero ancora insufficiente di donne che riescono a penetrare i corridori del potere economico, politico e culturale di questo Paese, nonostante l’ultima incarnazione del movimento femminista abbia ormai più di quarant’anni. A guardare bene, però, pare invece che, almeno in una nicchia accademica, le donne siano oggi avvantaggiate sugli uomini quando si tratta di trovare un impiego.

Due ricercatori di Cornell University nello stato di New York hanno infatti pubblicato recentemente i risultati di uno studio, composto da cinque diversi esperimenti, da loro condotto sulle assunzioni di assistenti professori – posizioni cosiddette “tenure-track”, ovvero in linea per ottenere la cattedra - fatte da 371 università americane nelle aree di insegnamento e ricerca STEM (che sta per Scienze, Tecnologie, Ingegneria e Matematica). E hanno trovato che le candidate donne hanno il doppio delle possibilità di ricevere un offerta di lavoro rispetto ai concorrenti uomini. 

“Abbiamo scoperto che le università americane preferiscono assumere donne piuttosto che uomini ugualmente capaci – dice Wendy Williams, psicologa e autrice dello studio assieme a Stephen Ceci – Questa preferenza per le donne non riflette una maggior preparazione da parte loro, giacché gli uomini considerati avevano lo stesso livello di qualifiche”. Questa precisazione è importante, perché i due ricercatori avevano già raggiunto una conclusione simile in un precedente studio che risale al 2011, in cui si era dimostrato che le donne con dottorati in discipline STEM negli Stati Uniti e Canada erano favorite nelle assunzioni in università -- ovvero pur rappresentando una percentuale minore di candidati rispetto agli uomini, quelle che facevano domanda avevano maggiori probabilità dei colleghi di ricevere un’offerta. Allora però si era spiegato il pregiudizio a loro favore con l’idea che esse, per arrivare a competere davvero con i rivali uomini, avevano dovuto sin dall’inizio affrontare ostacoli professionali maggiori e dunque erano naturalmente più qualificate. 

In questa nuova reiterazione della ricerca, Williams e Ceci hanno voluto gettare luce proprio su questo aspetto. Hanno così chiesto a 873 docenti universitari, soliti a giudicare le domande di aspiranti assistenti professori, di valutare tre candidati ipotetici sulla base di descrizioni scritte e CV che includevano sia le qualifiche professionali sia lo stato civile (donna sposata con figli, uomo celibe, oppure sposato senza figli e via dicendo). Due di essi avevano le stesse competenze ma erano di genere diverso, mentre il terzo, il cui genere cambiava di situazione in situazione, era chiaramente meno indicato per il posto in questione. Ebbene, la donna altamente qualificata è risultata prima nelle preferenze il 67% delle volte. Questo si è verificato in ogni disciplina testata tranne l’economia, dove candidate e candidati sono finiti in pareggio. 

Le ragioni di questo fenomeno sono probabilmente molteplici. Williams offre una propria interpretazione: “Negli Stati Uniti si è fatto un grande sforzo per combattere il sessismo nel mondo accademico attraverso la formazione ad hoc del corpo docente. Inoltre, molte università hanno spinto il messaggio che la diversità di genere è fondamentale e che le studentesse traggono grandi benefici dall’avere insegnanti donne, le quali fungono anche da modelli di comportamento. Questo messaggio è arrivato a permeare questo settore, è stato internalizzato dai docenti, tant’è che, nel nostro esperimento, essi non sembrano coscienti della preferenza mostrata per le donne.”

A questo punto, è giusto aggiungere tre importanti discriminanti. Innanzitutto, lo studio di Williams e Ceci non ha incluso i colloqui di lavoro cui solitamente devono presentarsi di persona i candidati i cui CV hanno superato la prima fase della selezione, e che talvolta possono rovesciarne le sorti. Per questa ragione, altri accademici hanno criticato il lavoro dei due ricercatori di Cornell in quanto non replica per intero il reale processo di assunzione. Williams risponde così a questa critica: “Non abbiamo strutturato questo esperimento per capire se i membri del corpo docente preferiscono assumere donne, giacché questo fatto era già stato stabilito in precedenza. Volevamo piuttosto mettere alla prova l’ipotesi avanzata come conseguenza dell’altra nostra ricerca che le donne venivano assunte più frequentemente degli uomini perché erano maggiormente qualificate”. Ipotesi rivelatasi infine non valida.

In secondo luogo, rimane vero che, se nel 2013 le donne hanno ottenuto la maggioranza dei dottorati nelle scienze naturali e sociali (anche se una netta minoranza nelle scienze matematiche e fisiche e nell’ingegneria), esse occupavano (gli ultimi dati disponibili sono del 2010) solo il 32% delle docenze a tempo pieno in queste aree. Il che probabilmente significa che le donne tendono a presentare un numero inferiore di domande di impiego accademico rispetto agli uomini con le stesse qualifiche e che, anche una volta ricevuta un’offerta di lavoro, esse tendono a declinarla più frequentemente dei colleghi (per quanto riguarda le scienze matematiche e fisiche e l’ingegneria, invece, il problema continua a essere quello di una carenza complessiva di studentesse). 

Infine, bisogna ricordare che l’analisi di Williams e Ceci riguarda il mondo dell’università, e in particolare i dipartimenti STEM, quindi copre una fetta decisamente minoritaria del mercato del lavoro complessivo. Negli Stati Uniti, ad esempio, la fotografia della parità di genere, anche ai massimi livelli, è ancora decisamente insoddisfacente, con le donne che rappresentano solo il 3% circa di amministratori delegati, il 10% circa di manager e il 16,9% di membri dei consigli di amministrazione di grosse aziende; il 18,5% di partner degli studi legali più importanti; e il 20% dei membri del Congresso di Washington.

In questo contesto ancora problematico, le conclusioni di Williams e Ceci hanno generato molte polemiche giacché sono state prese, in certi ambienti, come un’indicazione, per altro fuorviante, del fatto che il sessismo non è più un problema in America. In realtà, l’intenzione dei due studiosi è decisamente diversa, ovvero di dimostrare che questo è un momento particolarmente opportuno per le donne che, avendo le giuste qualifiche, desiderano fare carriera accademica nell’ambito scientifico. In pratica, questo vuole essere un incoraggiamento affinché un numero maggiore di esse si faccia avanti, anziché essere demoralizzato sin dall’inizio da tutte le statistiche che suggeriscono invece che esse hanno ben poche chance di farcela. 

Valentina Pasquali

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