SOCIETÀ

Istruzione, i bambini "a scuola" da subito

Sulla base di quanto previsto dal decreto legislativo 65/2017, uno dei decreti attuativi dalla legge 107 del 2015 cosiddetta ‘Buona Scuola’, il Consiglio dei ministri ha approvato il Piano nazionale pluriennale di azione per la promozione del sistema integrato di istruzione 0-6 anni. Il piano, che punta a equilibrare in tutto il Paese le norme regionali in materia sia di reclutamento che di servizi minimi da garantire, prevede oltre che la qualificazione universitaria obbligatoria per gli insegnanti del nido, la formazione in servizio del personale, il coordinamento pedagogico tra nidi e scuole d’infanzia e la riduzione delle rette. Sul tema, abbiamo sentito Emilia Restiglian, docente all’università di Padova nel dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata.

Dal punto di vista didattico, cosa comporta l’integrazione prevista dal nuovo sistema di educazione – istruzione 0-6 anni?

Il nuovo sistema ha definitivamente posto la fascia 0-3 anni all’interno del ministero dell’Istruzione e della ricerca, al pari della scuola dell’infanzia e degli altri ordini scolastici (e universitari). Non si tratta di un sistema completamente definito, però è un punto di partenza che permette di guardare avanti. Sta per essere nominata una Commissione con il compito di elaborare le linee guida che serviranno da supporto al lavoro di educatori, coordinatori e pedagogisti con i bambini di questa età. Finalmente verranno messi sulla carta alcuni indirizzi del lavoro educativo, come accade oggi con la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria. Le linee guida potranno costituire, infatti, un fondamento su cui innestare i processi educativi nei servizi per la prima infanzia, a sostegno della realizzazione di esperienze che contribuiscono allo sviluppo dei bambini e delle bambine.

La realtà nazionale oggi è fortemente disomogenea: ci sono regioni che da decenni sostengono la continuità verticale 0-6 anni e altre, come la nostra, dove i due segmenti risultano quasi dappertutto fortemente differenziati. Non siamo ancora a conoscenza di come intenda procedere la Regione Veneto, che rimane di fatto ancora responsabile dei requisiti di base di tali servizi mentre l’Ufficio scolastico regionale, responsabile della fascia 3-6 anni, ha istituito di recente una commissione infanzia che non contempla un intervento per i più piccoli. Storicamente la nostra Regione non è mai stata all’avanguardia in questo ambito anche se l’azione di grandi comuni, come Padova, è stata forte. Qui negli ultimi tempi molte cooperative e strutture come FISM e SPES hanno investito in formazione e qualificazione dei servizi, alzando di fatto i livelli di qualità erogata e percepita in un buon numero di nidi.

Le linee guida sono il primo tentativo di creare uniformità nel Paese. Esse confermeranno il lavoro di molti servizi che si sono confrontati da tempo con la ricerca e le pratiche più avanzate, e saranno stimolo per le strutture che intendono virare verso un’offerta educativa di qualità. Toccheranno presumibilmente temi chiave come il ruolo del bambino, dell’educatore, delle famiglie, i processi di apprendimento del bambino, l’osservazione e la documentazione dello stare dei bambini al nido; temi sicuramente non nuovi, anzi, oggetto delle riflessioni e della ricerca da decenni.

Come lo giudica lei?

Lo giudico molto positivamente. Si tratta del risultato di un lavoro molto lungo e faticoso partito dal basso, da educatori e pedagogisti che quotidianamente vivono e crescono con i bambini e con le loro famiglie. Il sistema 0-6 anni è un’entità complessa, con gestori molto diversi tra loro (Stato, enti locali, cooperative, FISM, privato profit, ...) che proprio sulle linee guida potrebbero trovare terreno comune. In Veneto, da un lato ci sono enti e strutture che negli anni hanno raggiunto livelli molto alti di offerta educativa e altri che di fatto continuano ad offrire servizi ‘tradizionali’ o di ‘parcheggio’ per bambini. Negli ultimi dieci anni la Regione ha voluto mettere ordine nel settore attraverso un sistema di autorizzazione e accreditamento che funziona piuttosto bene. Adesso è necessario fare tutto il resto mettendo al centro il bambino, non solo sulla carta. Per pensare veramente alle generazioni future serve partire anche dal sistema di educazione e di istruzione.

Cosa cambia per i bambini l'inserimento all'interno di un percorso scolastico uniforme?

Significa poter vivere un’esperienza formativa ed educativa continuativa fin dalla nascita perché il bambino è unico e non frammentato, perché ha diritto ad una continuità di visione educativa, etica, di metodologie e di relazioni. Non ci sono metodi di lavoro con i bambini 0-3 anni diversi da quelli che si usano con i bambini da 3 a 6 anni. Ci sono metodologie e strategie che supportano i processi di sviluppo dei bambini e delle bambine, al di là delle segmentazioni.

Rendere uniforme questo progetto educativo comporta anche il rischio di 'appiattire' le differenze che fino ad oggi ci sono state tra il sistema nido e scuola dell'infanzia?

Differenze tra i due sistemi ci sono state e ci sono ancora in molti casi. Io credo invece nella ricchezza e nelle opportunità che può dare un sistema integrato. Lo confermano le ricerche in ambito psicologico, le neuroscienze, il lavoro delle strutture che lavorano in questa direzione. Le strutture italiane e straniere che lavorano in ottica verticale che ho visitato fino ad ora continuano a convincermi del fatto che il sistema 0-6 anni sia quello che riesce a rispondere veramente alla crescita e al benessere del bambino.

Secondo il Piano, sarà molto più strutturata la formazione (0-3 anni) che fino ad oggi è stata spesso affidata a strutture private e anche, a volte, a persone non adeguatamente preparate. Quale effetto - a breve e lungo termine - può avere per i più piccoli lavorare ad una specifica formazione fin dai primi mesi di vita?

Per quanto riguarda la formazione del personale che lavora nei servizi per la prima infanzia, oggi in Veneto sono validi una serie di diplomi di scuola secondaria di secondo grado e di lauree vecchio ordinamento, triennali e magistrali. Ci sono ancora però situazioni imbarazzanti che le famiglie non sanno riconoscere e che non sempre vengono a galla.

L’Università di Padova, come altri 12 atenei in Italia, offre da circa un decennio un corso di studio triennale in Scienze dell’educazione e della formazione (L-19) con un curricolo specifico in Educazione della prima infanzia (nella sede di Rovigo).

La formazione specifica di fatto quindi esiste già e il mondo del lavoro da qualche tempo comincia ad assumere i nostri laureati con sistematicità. Questo significa che qualcosa sta cambiando. L’istruzione universitaria include la conoscenza di strategie e di approcci poco conosciuti e diffusi nella Regione, oltre a fare chiarezza su cosa sia o non sia un servizio per i più piccoli. Questa andrà completata nell’esercizio della professione e ora sono presenti spunti molto interessanti di formazione e aggiornamento in servizio, una volta impensabili.

Francesca Forzan

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