SOCIETÀ

La mafia spiegata ai bambini

“Il piccolo Giovanni non è un eroe, ma ha imparato a rivendicare il suo diritto alla giustizia anche quando questo costa un gesto di coraggio e si viene minacciati da un compagno più forte. Ha imparato che dal suo gesto di denuncia deriva un bene maggiore perché collettivo, e che non c’è una differenza di sostanza tra il suo impegno e quello degli adulti contro la mafia, ma che ogni membro della società può lottare per l’affermazione del diritto, qualsiasi ruolo rivesta”. Scrive queste parole Maria Falcone nella prefazione a Per questo mi chiamo Giovanni di Luigi Garlando (Rizzoli), un libro già adottato da molte scuole italiane e tornato da pochi giorni in libreria, a tredici anni dalla prima pubblicazione e nel venticinquennale della morte di Giovanni Falcone, in una edizione rinnovata e illustrata da Alessandro Sanna. Il 23 maggio 1992, in un attentato a Capaci, perdono la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Il 19 luglio, a Palermo, la stessa sorte tocca a Paolo Borsellino, ucciso da un’autobomba in via D’Amelio, insieme agli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanulea Loi e Claudio Traina. Oggi, venticinque anni dopo, per ricordarli, oltre 70.000 tra studentesse e studenti di tutta Italia partecipano all’iniziativa Palermo chiama Italia, promossa da Miur, Rai e Fondazione Falcone. Ad aprire la giornata di commemorazione l’arrivo della Nave della Legalità al porto di Palermo, poi la cerimonia nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, luogo simbolo del maxiprocesso (vengono inoltre presentate le iniziative di “Università per la legalità”, progetto nato con l’obiettivo di promuovere la cultura della memoria e dell’impegno attraverso un percorso di sensibilizzazione del mondo accademico).

Mafia è una parola tristemente adulta. Ai più piccoli dobbiamo raccontare la verità concentrandoci sulla luce e sul coraggio, facendo uno sforzo per generare empatia e partecipazione. Ecco allora che la storia di un giovane Giovanni Falcone potrà facilmente entrare nella vita di un bambino che porta il suo stesso nome: “Cominciò a frequentare l’università di Legge, per diventare un avvocato o un giudice, per difendere quelli che subiscono ingiustizie e punire quelli che ne commettono. Come in fondo faceva già alle elementari. Quello sarebbe stato il lavoro di Giovanni: combattere per la giustizia. Come Zorro. Ma non sui muretti del lungomare. Nei tribunali e per le strade di Palermo”. Nel libro di Garlando, “l’altro” Giovanni è un bambino palermitano di dieci anni che, per il suo compleanno, riceve un regalo speciale dal padre: un’intera giornata da trascorrere insieme, un tempo disteso e felice fatto di tuffi in mare, chiacchiere e ascolto, per scoprire l’origine del suo nome. Tra rivelazioni e aneddoti calcistici, la storia di Falcone viene rievocata attraversandone i momenti chiave: “La chiamarono pool antimafia. Era una squadra di uomini che, come Giovanni, non avevano paura delle minacce e volevano liberare Palermo dai tentacoli del mostro. Una squadra decisa a giocarsi la partita a viso aperto: all’attacco”. Così, tappa dopo tappa, il bambino inizia a capire che quelle raccontate dal padre non sono solo favole, che la mafia è un vero mostro da combattere e che l’omertà c’è anche nella sua scuola, tra i compagni di classe, e va riconosciuta e respinta senza aspettare di diventare grandi. “L’omertà è la più grande qualità dell’uomo d’onore: nun lu sacciu, non lo so, non ho visto. Per me è vero il contrario: la più grande qualità di un uomo è aiutare la giustizia a punire i colpevoli e a liberare la gente dalla paura dei prepotenti”.

Molti titoli per ragazzi dedicati al tema della legalità e della giustizia sono stati recentemente segnalati e raccolti in un unico elenco dal progetto Bill, Biblioteca della legalità (di cui Il Bo Magazine si è già occupato). Tra questi troviamo, solo per citarne alcuni, La mafia spiegata ai ragazzi di Antonio Nicaso, La mafia spiegata ai miei figli (e anche ai figli degli altri) di Silvana La Spina (Bompiani), Dalla parte giusta: la legalità, le mafie e noi di Roberto Luciani e Davide Calì (Giunti progetti educativi), Salvo e le mafie di Riccardo Guido (Sinnos), e ancora il fumetto L’invasione degli scarafaggi di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso (BeccoGiallo) e Da che parte stare. I bambini che diventarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino di Alberto Melis (Piemme, Il battello a vapore). Sono libri preziosi che tentano di avvicinare i più piccoli ad argomenti delicati o complessi. Nobili tentativi, spesso ben riusciti, di educare alla legalità e al bene comune, di contribuire alla crescita consapevole di una futura generazione di donne e uomini giusti. Ne Il bambino Giovanni Falcone (Mondadori), scritto da Angelo Di Liberto e illustrato da Paolo D’Altan, il futuro magistrato ha solo sette anni e, nei giorni che precedono il Natale, rimane profondamente turbato da un delitto di mafia avvenuto in città. Giovanni ha una passione per i tre moschettieri e, impugnando una spada di legno, sfida in infiniti duelli pomeridiani l’albero di ficus del suo giardino, diventando ogni giorno più coraggioso. È una storia semplice con un senso profondo, “un invito a compiere fino in fondo le nostre scelte – scrive Maria Falcone, ricordando il fratello – e ad agire senza temere di essere troppo piccoli o deboli per stare dalla parte del bene”. Oggi, in via Emanuele Notarbartolo a Palermo, davanti al portone d’ingresso del palazzo in cui abitavano Falcone e sua moglie, si trova un ficus magnolia. Lì, da venticinque anni, la gente lascia lettere e disegni, per non dimenticare. Molti sono messaggi di bambini e ragazzi. Quel ficus, diventato ben presto un simbolo della lotta alla mafia, è conosciuto come l’Albero Falcone.

F.Boc.

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