SCIENZA E RICERCA

Tra mondo arabo e proiettili: il chirurgo che cura braccia e gambe

“Lavorare come chirurgo all’ospedale governativo di Tripoli è stata un’esperienza incredibile, sia dal punto di vista umano che professionale. In sala operatoria avevo a disposizione strumenti costosi e all’avanguardia, che molti però non sapevano nemmeno utilizzare. E paradossalmente a volte ricevevo forbici spuntate”. Debora Garozzo, neurochirurgo all’ospedale di Rovigo, specializzata nella riparazione delle lesioni nervose soprattutto delle zone periferiche (come il braccio o la gamba), si muove ormai da anni tra Libia, Emirati Arabi, India, Giordania, Cina, Messico e nei prossimi mesi Tunisia per istruire i chirurghi su questa pratica. E questo l’ha condotta a vivere realtà sanitarie a volte molto distanti da quella italiana. 

I pazienti sono in larga parte persone coinvolte in incidenti motociclistici, soprattutto nei Paesi occidentali, a seguito dei quali la funzionalità degli arti superiori può essere compromessa in diversa misura. E poi ci sono le lesioni di arma da fuoco. “In Libia  – racconta Garozzo che è stata in queste zone nel 2013 prima che la situazione politica peggiorasse – in dieci giorni visitavo, e quando necessario operavo, dalle 70 alle 100 persone, per lo più militari dell’esercito o miliziani che avevano combattuto contro il governo di Gheddafi. I colleghi mi facevano da traduttori perché la maggior parte dei libici non parlava inglese”. Trascorreva tutta la giornata in ospedale e negli spostamenti, dalla clinica, all’albergo, all’aeroporto, era sempre accompagnata per motivi di sicurezza dal personale.

A Tripoli gli operatori sanitari provenivano da tutto il mondo, come in molti Paesi arabi. “In sala operatoria – racconta – lavoravo con équipe libiche, la cui professionalità però era molto scarsa. Mi sono trovata a collaborare con infermieri filippini, molto preparati. Gli anestesisti venivano dai Paesi dell’est, tra cui Ucraina e Bulgaria”. Ricorda i pazienti collocati in grandi stanze e letti solo con coperte, senza lenzuola. E una notte in cui hanno sparato ai vetri dell’ospedale. Qui istruiva due giovani medici, interessati a questo particolare settore della chirurgia. “I colleghi arabi – sottolinea – si sono sempre dimostrati molto rispettosi della mia professionalità. Essere donna non ha mai rappresentato uno svantaggio né in Libia né in altri Paesi arabi”. Anzi. Garozzo racconta che in alcune fasce della società islamica è la stessa paziente, e i parenti maschi, a preferire un professionista donna. Al contrario, secondo il neurochirurgo, i pregiudizi e il maschilismo sono marcati qui in Italia, dove alcuni pensano addirittura che “le donne non siano fisicamente adatte a fare il neurochirurgo perché si stancano facilmente”. 

Di Torreón, nel centro-nord del Messico, il neurochirurgo ricorda l’estrema povertà. Nel 2013 trascorse lì una settimana visitando pazienti e operando. “Quello di Torreón era un ospedale pubblico, talmente povero che alla strumentazione ha dovuto provvedere personalmente il nostro gruppo”. 

A Dubai, con cui la dottoressa tuttora collabora, la situazione è completamente differente. Il Neurospinal Hospital è una clinica privata. “Anche qui però mi capita di visitare pazienti provenienti dall’Iraq o dalla Siria con ferite di arma da fuoco. Tra gli altri ricordo un uomo, tre settimane fa, che non riusciva a muovere una mano in seguito a un’esplosione in Yemen e una bambina con una lesione a una gamba in seguito a uno sparo”. Oltre agli ambulatori e agli interventi, anche qui la dottoressa istruisce i chirurghi con esercitazioni sul cadavere. La percentuale di arabi che parla l’inglese è molto elevata e dunque solo raramente c’è bisogno di un traduttore. “Sto studiando arabo classico, ma la lingua parlata è molto diversa da Paese a Paese e quindi la comunicazione diretta non è facile”.

Garozzo ha iniziato con questa attività una decina di anni fa. Nel 2006 si è recata in Cina per apprendere alcune tecniche chirurgiche che ha poi portato in Italia. Pratiche tuttora utilizzate ma meno promettenti di quanto si fossero rivelate inizialmente, precisa. Da allora le collaborazioni con ospedali e istituti universitari sono andate gradualmente aumentando, soprattutto per l’organizzazione di convegni, di interventi in videoconferenza e dimostrazioni pratiche su cadaveri. “In Europa e negli Stati Uniti – spiega Garozzo – la chirurgia dei nervi periferici è una pratica nota. Io lavoro per promuoverne la conoscenza nei Paesi che intendono avviare questa specializzazione”. Come in India, tra gli altri, all’All India Institute Of Medical Sciences.   

Ma perché affrontare in alcuni casi anche dei pericoli per praticare la professione? “Sto avendo l'occasione di vedere realtà molto diverse dalla nostra e di arricchirmi umanamente – conclude Garozzo – Ora ho un invito ad andare in Pakistan, a Peshawar, per addestrare dei chirurghi sia pakistani che afghani, così da introdurre la chirurgia dei nervi periferici anche lì. Dovremmo cominciare a maggio del prossimo anno. È una sfida professionale esaltante, un'occasione unica: come rinunciare?”.  

Monica Panetto

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