SCIENZA E RICERCA

Il 2016 e il 2019: gli anni delle temperature record

Il 2016 e il 2019. Sono rispettivamente il primo e il secondo anno più caldi dell’ultimo decennio. Non solo: il record riguarda tutta la serie storica da quando (si tratta del 1850) sono iniziate le misurazioni moderne della temperatura.

La notizia era già trapelata, senza avere ancora gli ultimi dati consolidati, a metà dicembre 2019. Ma in questi giorni è arrivata la conferma ufficiale da parte della World Meteorological Organization: “Il 2019 – si legge nel rapporto redatto – è stato il secondo anno più caldo dopo il 2016”.  Le temperature medie per il quinquennio 2015-2019 e per il decennio 2010-2019 sono state le più alte mai registrate; dal 1980 in poi “ogni decennio – spiega la WMO – è stato più caldo dei precedenti”. E il trend è destinato a essere confermato a causa dei livelli record di gas serra che intrappolano il calore nell’atmosfera.

I dati del 2019

Le analisi hanno dimostrato come la temperatura globale del 2019 sia stata di 1,1 gradi C più calda rispetto al periodo compreso tra il 1850 e il 1900, la fascia temporale comunemente considerata come era pre-industriale. Il 2016 rimane l’anno più caldo a causa di due fattori concomitanti non presenti, assieme, nel 2019: la presenza di un forte fenomeno di El Niño (il fenomeno oceanico che si manifesta  con un aumento della temperatura superficiale  del mare al largo delle coste del Perù e che determina importanti conseguenze  meteorologiche) e i cambiamenti climatici a lungo termine. 

“La temperatura globale media è salita di 1,1 gradi C – spiega, allarmato – il segretario generale della WMO, Petteri Taalas – e gli oceani hanno raggiunto un livello record di calore intrappolato. Se si proseguisse all’attuale emissione di gas climalteranti nell’aria ci troveremmo a veleggiare verso un aumento delle temperature tra i 3 e i 5 gradi C alla fine del secolo”.

Temperature in crescita ma non solo

Le serie storiche da record delle temperature sono solo una parte del problema, globale. L’ultimo decennio e gli anni recenti sono stati caratterizzati da aumenti record del livello del mare, dallo scioglimento e arretramento dei ghiacciai, ancora dall’aumento delle temperature degli oceani e della loro acidificazione e di fenomeni meteorologici intensi. La combinazione di questi fattori ha avuto effetti impattanti sulla salute e sullo stato di benessere non solo degli esseri umani, ma anche dell’ambiente nel suo complesso. La WMO aveva già presentato questi risultati, in forma preliminare, alla recente Conferenza sul clima di Madrid, la COP25. I dati consolidati sono attesi per marzo del 2020.


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“Il 2020 – prosegue Taalas – è iniziato dove il 2019 era finito con eventi meteorologici impattanti e direttamente correlati a quelli climatici”. L’Australia ha affrontato il suo anno più caldo e secco della storia, permettendo il diffondersi di incendi come i bushfire”.


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“Sfortunatamente – ammonisce Taalas – ci aspettiamo fenomeni altrettanto intensi anche per il 2020”. 

A costo di sembrare ripetitivi (lo siamo, ma per una ragione giusta), il messaggio da recapitare è sempre lo stesso: serve una mobilitazione senza eguali per cercare di invertire la tendenza climatica prima che si arrivi a un punto di non ritorno. Se i giovani (pensiamo ai movimenti di Greta Thunberg e non solo) stanno dando prova di mobilitazione, è la politica, ancora una volta, a latitare o a remare, addirittura, contro (emblematica la situazione degli Stati Uniti, usciti dal protocollo di Parigi). Un passo lo ha fatto nei giorni scorsi l’Unione Europea, dando esempio, sulla carta, di voler credere in un mondo più rispettoso dell’ambiente. Ma gli intenti devono essere globali, come globale è l’emergenza: interventi a spot non sono e non saranno sufficienti. 

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