SOCIETÀ

Africa, la minaccia Covid-19 è una delle troppe preoccupazioni

La buona notizia, per il continente africano, è che il numero dei contagi da Covid-19 è finora assai più contenuto di quanto fosse lecito immaginare fino a pochi mesi fa: trecentomila casi (per l’esattezza 324mila, dati del 24 giugno, a fronte di oltre 9 milioni di contagi totali nel mondo), con 8.621 decessi complessivi (soltanto in Italia 34mila, in Spagna 28mila, per avere un termine di paragone). E parliamo di Paesi, soprattutto dell’Africa subsahariana, dove la povertà dilaga, dove i sistemi sanitari sono spesso fragilissimi, dove i test si eseguono a fatica, dove le emergenze di questa portata sono destinate a finire rapidamente fuori controllo.

Le cattive notizie sono invece almeno due. La prima: oltre due terzi dei nuovi casi sono stati registrati nell’ultimo mese. Quindi il virus si sta non solo diffondendo, nonostante le tempestive e spesso efficaci misure imposte dai vari Paesi, ma sta acquistando una straordinaria e preoccupante velocità.  Il picco è previsto tra la fine di giugno e i primi di luglio. La seconda: tutte le organizzazioni che stanno monitorando la situazione in Africa, dall’Oms alle Nazioni Unite, continuano a disegnare scenari catastrofici. Secondo un rapporto redatto dalla Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (Uneca) il contagio da coronavirus potrebbe costare fino a 3,3 milioni di vite umane. Mentre Save the Children stima che la pandemia possa avere conseguenze drammatiche per i bambini africani, rischiando di spingere altri 33 milioni di minori in uno stato di assoluta povertà.

Secondo un rapporto della Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (Uneca) il contagio da coronavirus potrebbe costare fino a 3,3 milioni di vite umane

Per non parlare dell’aumento dei morti per malaria. E dell’altra “pandemia” in corso, la devastante invasione di locuste che sta distruggendo a tappeto le coltivazioni in almeno 8 Paesi (Kenya, Sudan, Sud Sudan, Uganda, Etiopia, Somalia, Eritrea e Gibuti), con perdite fino al 70% dei raccolti: «Una minaccia senza precedenti per la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza», così l’ha definita  la Fao, l’Agenzia ONU per l’Alimentazione e l’Agricoltura.

Dunque allerta altissima, in un continente che già naviga in acque tutt’altro che tranquille da un punto di vista sociale, ambientale, sanitario. Dove il 56% di chi abita nei centri urbani vive in baraccopoli sovraffollate e fatiscenti, dove l’acqua pulita è un bene per pochi (il 34% delle famiglie), dove gli ospedali sono spesso fatiscenti, con gravi carenze di posti letto e di personale medico, dove anche il reperimento dei farmaci di base è una variabile imponderabile. Dove la pandemia è soltanto uno dei problemi, oltre alla malaria, la tubercolosi, l’Aids, l’ebola, oppure la piaga della malnutrizione, che interessa quasi il 40% dei bambini sotto i 5 anni. «Purtroppo non è facile decidere un lockdown in Paesi con povertà estrema», scrive Sandro Pintus sul quotidiano online Africa ExPress. «Oltre che impossibile fermare tutta la popolazione delle metropoli, è ancora più difficile chiudere le aree decentrate. Con un ipotetico blocco totale si toglie alla popolazione la possibilità di guadagnare quotidianamente il minimo per poter nutrire la famiglia. La maggior parte della gente sopravvive vendendo qualcosa per strada, sperando di riuscire a mettere insieme un pasto quotidiano per la famiglia».

Dati parziali e incompleti: il caso Burundi

In questo quadro è lecito chiedersi quanto siano attendibili e affidabili i dati ufficiali sulla diffusione del Covid-19 in Africa. Nel dubbio, come scrive l’Ispi (l’Istituto per gli studi di politica internazionale), che si tratti di un virus “contenuto” oppure di un virus “non pervenuto”. Il conteggio ufficiale indica come Sudafrica, Egitto, Algeria e Marocco siano gli Stati più colpiti (e più esposti al turismo e ai contatti commerciali esteri), ma c’è il fondato sospetto che i numeri reali siano ben altri.  Anche la World Trade Organization (Wto) conferma che il numero di test effettuati nel continente africano è il più basso al mondo in percentuale sulla popolazione. In Angola, per fare un esempio: oltre 30 milioni di abitanti e 189 casi conclamati (10 decessi). Oppure nel Burundi: 11 milioni di abitanti e 144 contagi dichiarati dalle autorità locali (1 solo morto). «La gente del posto sa che i casi sono molti di più e molto più alto è il numero delle vittime del contagio, curate (quando lo sono) come casi di normale influenza stagionale o al massimo di malaria», scrive padre Gabriele Ferrari, ex missionario, su Africarivista. «Quanta gente sarà morta sulle colline senza che neppure si sia tentato di curarli? In Burundi, dove non c’è un sistema sanitario nazionale, non si sono fatti che pochi tamponi, neppure nel miglior ospedale della capitale, perché le autorità non hanno permesso l’importazione dei reagenti necessari per fare i test, dichiarandoli non necessari dato che “nel Paese non c’è la pandemia”». Un fenomeno di negazione assai frequente, come confermato da Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l’Africa orientale e meridionale. «Dal Madagascar allo Zambia, abbiamo visto i governi che criminalizzano i giornalisti e chiudono i media che osano criticare la gestione del Covid-19. Mentre non c'è mai stato un bisogno maggiore di notizie e informazioni accurate per aiutare le persone a rimanere informate e al sicuro. Eppure le autorità di tutta la regione stanno prendendo di mira giornalisti e giornali per le notizie critiche che pubblicano sulla pandemia».

Altro tema urgente e da non dimenticare è quello dei rifugiati: donne, bambini e uomini in fuga da guerre, violenze, intimidazioni, persecuzioni politiche o religiose, vittime di sistematiche violazioni dei diritti umani. E l’Africa subsahariana ospita più del 26% della popolazione mondiale di rifugiati, con punte record in Repubblica Centrafricana, Nigeria e Sud Sudan. L’Unhcr ha pubblicato pochi giorni fa un rapporto in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato. Mentre Amnesty International, Oxfam e altre 37 Ong hanno sollecitato i governi del Corno d’Africa e dell’Africa centrorientale a riaprire le frontiere e garantire cure mediche e assistenza ai rifugiati durante la pandemia da Covid-19. «Soltanto gli stati di queste regioni ospitano circa 4 milioni e 600mila tra richiedenti asilo e rifugiati», scrive Riccardo Noury su Focusonafrica. «Ma con la chiusura delle frontiere a partire da marzo, molte persone sono rimaste intrappolate lungo i confini, senza protezione. Il Kenya, ad esempio, ha chiuso i confini con Somalia e Tanzania il 16 maggio a volte rimandando indietro chi era riuscito a entrare nel suo territorio».

L’anomalia africana nella pandemia e il crollo dei prezzi

Insomma, come spesso accade in Africa i problemi di sommano, si sormontano, a volte si confondono. Ciò non toglie tuttavia, come sottolinea l’Ispi, che l’anomalia africana nella diffusione della pandemia da Covid-19 esista davvero: «È altamente probabile che la minore diffusione e vulnerabilità al virus nella regione siano almeno in parte legate ad aspetti quali la struttura demografica delle società africane (notoriamente molto giovani), la scarsa densità media di popolazione (che facilita il distanziamento sociale nelle zone rurali, se non in quelle urbane), una mobilità degli africani più limitata rispetto a quella in altre aree del mondo (e quindi un contagio che viaggia di meno), un clima caldo (che sembra indebolisca il virus) o le esperienze pregresse degli africani nel combattere altre malattie ed epidemie».

Non ci sono invece dubbi che le conseguenze economiche di questa pandemia, soprattutto laddove il ritardo infrastrutturale e sociale è più marcato, saranno spaventose, come e più rispetto al resto del mondo. La Banca Mondiale, in un rapporto pubblicato l’8 giugno scorso, ha ipotizzato una contrazione del 2,8% dell’economia dell’Africa subsahariana, dove la pandemia ha determinato «l'interruzione delle catene di approvvigionamento e il crollo dei prezzi delle materie prime globali, in particolare del petrolio e dei metalli industriali. Gli shock hanno accentuato l'atteggiamento prudente degli investitori e la loro avversione al rischio, che hanno provocato a loro volta deflussi di capitale senza precedenti». Tra i paesi più colpiti la Nigeria, il Sudafrica, l’Angola, il Ghana, il Kenya, ma sono in grande affanno anche i “paradisi” del turismo, come Mauritius e Seychelles. 

Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato l’allarme Africa: «La crisi economica causata dall’epidemia di coronavirus potrebbe gettare milioni di persone nella condizione di estrema povertà. La pandemia è una minaccia per il progresso africano. Aggraverà le disuguaglianze di antica data e aumenterà la fame, la malnutrizione e la vulnerabilità alle malattie. Il rischio – ha concluso Guterres, che ha lanciato un appello alla solidarietà globale verso l’Africa - è che il rallentamento dell’economia mondiale possa portare a un tracollo delle economie del continente».

La lunga mano della Cina e la nuova colonizzazione

E dato il periodo di eccezionale difficoltà, l’Africa può diventare terra per ottimi affari. Il primo a muoversi è stato, come spesso accade, il presidente cinese Xi Jinping, che pochi giorni fa ha presieduto un vertice straordinario Cina-Africa (presenti in videoconferenza rappresentanti di Sudafrica e Senegal), per combattere assieme il Covid-19. «Cina e Africa hanno rafforzato la solidarietà, l’amicizia e la fiducia reciproca di fronte alla pandemia», ha ricordato Xi. Questo vuol dire massicci investimenti, finanziamenti per la costruzione di ospedali e infrastrutture e la promessa di condivisione di ogni scoperta sul vaccino. Scrive Repubblica: «Oggi Pechino controlla circa il 20% del debito del continente africano: dunque qualsiasi operazione di “alleggerimento” del fardello non può che passare dal suo coinvolgimento. Oltre ad aver aderito alla moratoria sui pagamenti decisa dal G20, ora Pechino fa un passo in più parlando di “cancellazione”. A livello internazionale anche il Fondo monetario lo ha fatto, un’operazione da 500 milioni di dollari». Come chiosa Ferruccio Michielin, su Formiche: «Il ruolo cinese in Africa è profondo, primo fornitore e primo finanziatore nel quadrante geografico più povero del mondo. Un’attività che porta dei ritorni diretti e indiretti».

Il sito di Amref pubblica l’appello di un economista etiope, Abdurezack Hussein, che ha “supplicato la comunità internazionale di non dimenticare l’Africa nella lotta contro la pandemia”: «La posizione strategica del continente rende l’Africa un attore importante nell’economia globale. Se ignorata, creerà seri ostacoli alla ripresa dell’economia globale nel mondo post-Covid-19». «Proteggere Addis Abeba è importante quanto proteggere Bruxelles o Ankara», ha poi concluso l’economista, elogiando l’impegno della Turchia ad aiutare i Paesi africani con l’invio di forniture mediche.

Insomma, una corsa a chi primo arriva: con una mano si offre solidarietà, con l’altra si prende (o meglio, si pretende) business. Una nuova spinta di colonizzazione, come sostiene Flavio Robert Paltrinieri, patron del fondo di private equity Galaxia, che sul quotidiano online Affariitaliani.it scrive: «L’Africa subsahariana è il pozzo di San Patrizio dei prossimi anni e valorizzarla rappresenterebbe una risorsa ineguagliabile anche per le aziende italiane».

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012