SCIENZA E RICERCA

Covid-19: idrossiclorochina, dopo il ritiro dello studio su The Lancet servono nuove verifiche

Lo studio pubblicato lo scorso 22 maggio da The Lancet sembrava aver messo un punto fermo nel bocciare l’utilizzo dell’idrossiclorochina come farmaco per il trattamento di Covid-19: rischi eccessivi a fronte di un'efficacia non ben dimostrata. E invece nel giro di pochi giorni, dopo che l’Oms aveva già annunciato la sospensione dei test avviati con il programma Solidarity e che analoghe decisioni erano state prese dall’Agenzia italiana del farmaco, in questo caso solo al di fuori dei cinque trials clinici autorizzati, e da altri Paesi europei come Regno Unito e Francia, intorno allo studio sono emerse molte ombre e la prestigiosa rivista scientifica ha deciso di ritirare la pubblicazione su richiesta dell’autore principale, il professor Mandeep Mehra, cardiochirurgo dell'università di Harvard.

A mettere in dubbio l’attendibilità dei risultati dello studio, relativo a quasi centomila pazienti di 671 ospedali di tutto il mondo, è stata un’inchiesta del Guardian che ha riscontrato errori e discrepanze nei dati forniti dall’azienda statunitense Surgisphere, specializzata in healthcare data. Imprecisioni abbastanza evidenti come un elevato numero di pazienti assegnato erroneamente all’Australia anziché all'Asia, ma anche - come poi evidenziato da Nature - tassi di fumo e obesità riportati in forma quasi uguale in tutte le parti del mondo studiate nell'analisi. E ad apparire anomalo era anche il fatto che una piccola società come la Surgisphere potesse essere riuscita a firmare collaborazioni con un numero così elevato di ospedali per l'ottenimento dei dati sanitari. 

Parallelamente all'inchiesta del Guardian anche parte del mondo scientifico ha segnalato incongruenze nei dati e perplessità a livello metodologico e statistico attraverso una lettera aperta al direttore di The Lancet. A firmarla sono stati 120 ricercatori di diverse università del mondo che hanno approfondito in dieci punti le critiche sollevate e hanno concluso con un invito alla trasparenza in merito alla revisione paritaria che ha preceduto la pubblicazione. Poiché il lavoro si basava su dati proprietari raccolti da centri medici, la Surgisphere ha affermato di non poter condividere i dati grezzi e di non poterli quindi mettere a disposizione di altri ricercatori per le opportune verifiche. Considerazioni che hanno portato tre degli autori dello studio a scusarsi con i lettori e chiedere di ritirarlo a causa dell'impossibilità di garantire la veridicità dei dati sui cui avevano lavorato. Il quarto autore dello studio, Sapan Desai, è il CEO di Surgisphere e non ha commentato la vicenda. 

Sviluppi repentini e probabilmente inattesi che hanno portato l'Organizzazione mondiale della sanità a far ripartire il trial sull'idrossiclorochina contro Covid-19. "Il comitato per la sicurezza e il monitoraggio dei dati continuerà comunque a monitorare attentamente la sicurezza di tutte le terapie testate nell'ambito dello studio Solidarity" ha spiegato il direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus precisando che finora sono stati reclutati "oltre 3500 pazienti in 35 Paesi". Intanto in Italia 140 medici hanno attaccato la decisione dell'Aifa di sospendere l'autorizzazione all'utilizzo del farmaco al di fuori dei trial clinici e hanno avanzato un'istanza legale per chiedere di poter nuovamente somministrare l'idrossiclorochina ai pazienti affetti da virus Sars-CoV-2. Sono in prevalenza medici di medicina generale e sostengono che, se assunto nei primi giorni dall'insorgenza dei sintomi, il farmaco comunemente usato per la malaria e per patologie reumatiche, può bloccare la progressione della malattia. 

Due recenti articoli pubblicati da Nature e Science hanno poi sottolineato il rischio che i risultati preoccupanti emersi dallo studio ritirato da The Lancet - che avevano rilevato una mortalità più alta tra i pazienti sottoposti al trattamento, oltre ad una maggiore probabilità di gravi effetti collaterali rispetto al gruppo di controllo - possano adesso rendere difficoltoso il reclutamento di persone disponibili a partecipare agli studi sul farmaco. E l'eventuale efficacia dell'idrossoclorochina potrebbe restare "una domanda aperta a cui non verrà data risposta”, ha affermato David Smith, specialista in malattie infettive presso l'università della California, citato nell'articolo di Nature. I primi studi di laboratorio - ricostruisce Nature - già nel mese di febbraio avevano suggerito che il composto, così come una medicina simile chiamata clorochina, era capace in vitro di interferire con la replicazione del coronavirus, ma mancano solide evidenze sull'efficacia nell'uomo e il farmaco ha acquisito una dimensione politica e mediatica soprattutto dopo l'endorsment del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che ha dichiarato di assumerlo a scopo preventivo. Il ritiro della ricerca che ne bocciava l'efficacia contro Covid-19 accelera la necessità di ulteriori approfondimenti sull'idrossiclorochina, in particolare di studi randomizzati in cui l'unico elemento di differenza sia la somministrazione o meno del farmaco. 

Abbiamo chiesto alla professoressa Antonella Viola, immunologa dell'università di Padova e direttrice dell'Istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza, di illustrarci cosa è accaduto nello studio sull'idrossiclorochina ritirato da The Lancet, anche per capire quanto abbia influito la velocità con cui vengono pubblicate le ricerche scientifiche relative alla pandemia.

Intervista all'immunologa Antonella Viola sullo studio, poi ritirato dalla rivista The Lancet, relativo all'utilizzo dell'idrossiclorochina nel trattamento di Covid-19. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"All’inizio - spiega l'immunologa Antonella Viola - questo studio era giunto a una conclusione molto forte sostenendo non solo l’assenza di benefici nell’uso del farmaco ma anche che la tossicità era elevata e che gli effetti collaterali erano tali da portare a sconsigliarne l’utilizzo per Covid-19. Il numero di pazienti considerati era particolarmente ampio e quindi era stato ritenuto uno studio molto importante, al punto che in diversi Paesi sono stati bloccati i trial clinici per l’uso dell’idrossiclorochina nel Covid-19. Tuttavia nei giorni successivi alla pubblicazione sono emersi dei problemi legati all’incongruità di alcuni dati e si è capito che c’erano stati degli errori, per esempio nei campioni analizzati relativi all’Australia. La richiesta di alcuni medici australiani ha portato a una prima correzione ma si è iniziato a dubitare proprio della serietà dello studio. A quel punto una serie di scienziati nel mondo ha chiesto di poter effettuare una verifica dei dati ma l’azienda responsabile della collezione dei dati su cui era stato basato il lavoro degli autori si è rifiutata di mostrarli dicendo che c’era un accordo di segretezza che non poteva essere violato. Questi dubbi sulla qualità dello studio hanno portato la rivista The Lancet alla decisione di ritirarlo". Questo - chiarisce la professoressa Viola - "non vuol dire necessariamente che il lavoro fosse completamente sbagliato ma la possibilità di verificare l’attendibilità è fondamentale e nella scienza è una conditio sine qua non: dobbiamo poter dimostrare quello che pubblichiamo e le nostre conclusioni. Però non dimentichiamo che ad oggi non ci sono degli studi che indichino che l’idrossiclorochina sia effettivamente efficace, quindi il fatto che questo articolo sia stato ritirato non implica un via libera all’utilizzo di questo farmaco ma significa semplicemente che servono studi fatti meglio e più completi".

L'immunologa Antonella Viola chiarisce poi che la modalità più solida attraverso la quale verificare l'efficacia di un farmaco sono gli studi randomizzati. "Trial clinici - approfondisce la docente - in cui si va a confrontare davvero il quadro clinico di un paziente trattato con il farmaco e quello di un paziente a cui il farmaco non viene somministrato: la terapia con il farmaco deve essere l’unico elemento di differenza tra i pazienti. Ad oggi ce ne sono alcuni che stanno andando avanti ma è ancora troppo presto ed è un peccato che non ci sia la possibilità di accesso ai dati originali di questo studio perché avremmo potuto accelerare il processo di comprensione".

L'impossibilità di garantire l'attendibilità delle fonti dei dati ha portato anche al ritiro di un altro studio, in questo caso dal New England Journal of Medicine: ad essere coinvolto è stato un lavoro, sempre basato sui dati di Surgisphere, che era stato pubblicato a maggio e che riguardava l'impiego di comuni medicinali contro l'ipertensione nei pazienti con infezione da coronavirus Sars-CoV-2.

Il fatto che un lavoro possa venir ritirato non deve sorprendere ed è anzi una prova di vigilanza da parte della comunità scientifica che può sollevare dubbi, avanzare critiche e chiedere approfondimenti. E' però difficile che il  verificarsi di due casi ravvicinati, che hanno interessato riviste scientifiche particolarmente illustri, passi inosservato ed è inevitabile domandarsi quanto abbia inciso la velocità con cui vengono pubblicate le ricerche relative ai tanti aspetti di questa pandemia da nuovo coronavirus. 

"La fretta - commenta la professoressa Viola - non è mai una buona alleata della scienza perché per fare scienza bene serve tanto tempo. Da un lato è vero che c’è stata un’eccessiva proliferazione di studi poco controllati e poco rifiniti, molto abbozzati, studi che normalmente non sarebbero mai stati pubblicati. Però se tutto questo è vero, ed è la conseguenza dell’emergenza, bisogna anche considerare che questi episodi ci dicono in realtà che il sistema funziona perché nel momento in cui c’è stata una comunicazione così importante e così forte ecco che la comunità scientifica ha reagito segnalando che qualcosa non tornava. Quindi è anche un bel segnale nei confronti dei non addetti ai lavori che il controllo interno da parte della comunità scientifica c’è".

Una riflessione condivisa da Enrico Bucci, Adjunct Professor alla Temple University di Philadelphia, che fa parte dei ricercatori che avevano contestato la validità dello studio pubblicato da The Lancet. In un post su Facebook Bucci ha sottolineato l'importanza di "promuovere sempre più la discussione critica fra ricercatori di ciò che è stato appena pubblicato, senza accettare che sia valido ciò che, come in questo caso, era sfornito di accesso ai dati primari per effettuare le verifiche dovute".

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