SCIENZA E RICERCA

DART, la missione per deviare un asteroide e proteggere la Terra da eventuali futuri pericoli

Le probabilità che nell’arco di qualche secolo la Terra venga colpita da un asteroide sufficientemente grande da provocare una catastrofe globale, come quella che ha cancellato i dinosauri dal pianeta, sono basse. L’eventualità che eventi simili possano accadere di nuovo (magari con una distruzione più circoscritta ma comunque significativa) è però qualcosa con cui è necessario confrontarsi.

Le rocce che vagano nello spazio sono infatti molto numerose e, secondo gli scienziati della Nasa, alcune migliaia di esse possono rappresentare un pericolo a causa delle loro dimensioni e di una traiettoria che le porta a passare a meno di 8 milioni di chilometri dal nostro pianeta, la soglia che stabilisce la distanza di sicurezza. Inoltre non sappiamo ancora con precisione il numero di corpi celesti potenzialmente pericolosi e si stima che siano molti di più di quelli finora identificati e di cui conosciamo le orbite.

Se in futuro lo scenario di una possibile collisione dovesse diventare più concreto è necessario essere preparati ad evitarlo: per questo motivo nel 2018 la Nasa ha approvato il progetto DART (Double Asteroid Redirection Test) che ha l’obiettivo di valutare la capacità di un veicolo spaziale di far deviare la traiettoria di un asteroide

Dopo alcuni anni di preparativi ci si appresta ad entrare nella fase cruciale della missione: la sonda, costruita dal Johns Hopkins Applied Physics Laboratorysarà lanciata il 24 novembre dalla base di Vandemberg, in California, con il razzo Falcon 9 e giungerà a destinazione in circa 10 mesi, con l'obiettivo di colpire Dimorphos, un asteroide che orbita attorno a Didymos, corpo maggiore di un sistema doppio di asteroidi a 11 milioni di chilometri dalla Terra. Nessuno dei due oggetti rappresenta un rischio per la Terra ma, come spiega l'Agenzia spaziale italiana, "la loro orbita attorno al Sole li fa transitare abbastanza vicino al nostro pianeta da permettere ai telescopi di osservare le conseguenze della collisione di DART e calcolare quanto la missione sarà stata efficace nel modificare la traiettoria di Dimorphos a seguito dell’impatto".

E' quindi il primo test di questo genere e servirà a capire se lo schianto intenzionale di un veicolo spaziale contro un asteroide al fine di deviarne la rotta possa essere un'efficace strategia di difesa planetaria da riproporre in caso di rischi concreti.

Credit: NASA Editor: Jessica Wilde, NASA 360

Ad accompagnare la più ambiziosa missione di difesa planetaria mai eseguita finora c’è anche il nanosatellite LiciaCube (Light Italian Cubesat for Imaging of Asteroids), frutto di un progetto che ha come capofila l'Agenzia spaziale italiana ed è stato realizzato interamente negli stabilimenti industriali di Argotec a Torino grazie a un'ampia collaborazione scientifica coordinata dall'Istituto nazionale di astrofisica e di cui fanno parte il Politecnico di Milano, l'università di Bologna, Parthenope di Napoli e l'Ifac-Cnr. LiciaCube è stato scelto dalla Nasa per documentare lo schianto con le immagini registrate dalle camere Luke e Leia da cui sarà possibile ricavare informazioni importanti sul cratere che si sarà eventualmente formato sulla superficie di Dimorphos, sui detriti provocati dallo scontro e sull’effettivo cambiamento di orbita dell’asteroide.

Dal sito dell'Asi sarà possibile assistere alla diretta streaming dell'evento a partire dalle 06.45 (il lancio è previsto per le 07.22 ma, come accade sempre in questi casi, le condizioni meteo potrebbero portare a qualche ritardo) e le attese sono tante anche perché, come ha ricordato Simone Pirrotta, project manager di LiciaCube per l'Agenzia spaziale italiana "sarà il primo satellite italiano in assoluto ad operare nello spazio profondo". 

L’elemento chiave della difesa planetaria è il programma di osservazione dei Near-Earth Objects, i corpi celesti che, per dimensioni e traiettorie orbitali, potrebbero rappresentare una minaccia in caso di impatto con la Terra. La NASA classifica come potenzialmente pericolosi gli asteroidi che superano i 140 metri di larghezza e che passano a meno di 8 milioni di chilometri dalla Terra. Tuttavia anche oggetti notevolmente più piccoli possano creare ingenti danni: basti pensare a quanto accaduto nel 2013 sopra la città di Chelyabinsk, in Russia, quando un meteorite di dimensione inferiore ai 20 metri, esplodendo alcune decine di chilometri sopra il centro abitato, provocò oltre 1.000 feriti a causa del frantumarsi delle finestre distrutte dalla violenta onda d'urto. In quell'occasione i sistemi radar non si accorsero in anticipo dell'arrivo dell'oggetto e soprattutto nel caso di corpi spaziali di dimensioni ridotte, ma comunque capaci di provocare conseguenze devastanti su scala locale, il primo problema consiste proprio nella difficoltà di rintracciarli e sorvegliarli.

Della missione DART abbiamo parlato con Monica Lazzarin, docente del dipartimento di Fisica e astronomia dell'università di Padova e membro del Science Investigation Team di cui, per l'ateneo patavino, fanno parte anche Fiorangela La Forgia ed Elisa Frattin.

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Ascolta l'intervista a Monica Lazzarin, professoressa del dipartimento di Fisica e astronomia dell'università di Padova e membro del Science Investigation Team della missione DART

La missione DART: imparare a deviare gli asteroidi pericolosi per proteggere la Terra

"Da molto tempo - spiega a Il Bo Live Monica Lazzarin, professoressa associata del dipartimento di Fisica e astronomia dell'università di Padova e membro del Science Investigation Team della missione DART - si sta cercando di capire come difendere il nostro pianeta dall’eventuale caduta di un asteroide. Sembra un’eventualità molto difficile e non ci si pensa però in realtà, se riflettiamo bene, è già successo diverse volte, soprattutto nel passato, e continua ad accadere anche oggi".

Didymos è stato scoperto nel 1996 ed è il corpo principale di un asteroide doppio: la sua dimensione è di circa 780 metri e il suo satellite Dimorphos, individuato nel 2003, è un oggetto più piccolo che misura circa 150 metri ed è stato scelto come obiettivo della missione DART. "La sonda ha un peso di circa 500 kg e si getterà sull’asteroide minore cercando di deviarne l’orbita. A tale scopo verrà utilizzata la tecnica dell’impattatore cinetico perché al momento è la più studiata", approfondisce Lazzarin.

E’ il primo tentativo umano di deviazione di un oggetto celeste e, se avrà successo, sarà un risultato straordinario perché ci indicherebbe una delle possibilità per poter deviare questi asteroidi Monica Lazzarin

I Near-Earth Objects e la scelta del bersaglio di DART

"Questa coppia di asteroidi fa parte di un gruppo particolare di oggetti chiamati Near-Earth Objects. Sono corpi celesti che orbitano in prossimità della Terra e sono pericolosi perché ogni tanto qualcuno di questi può cambiare i suoi parametri orbitali, avvicinarsi al nostro pianeta e talvolta impattarlo. Didymos è un oggetto particolarmente interessante perché è un asteroide doppio e nel corso dell’ultimo anno abbiamo potuto studiarlo bene facendo osservazioni da terra: conosciamo bene il suo periodo orbitale, quello della sua luna Dimorphos e sappiamo quanto sono distanti tra loro", continua la professoressa Monica Lazzarin. 

Per difendere la Terra dalla caduta di asteroidi pericolosi è innanzitutto necessario conoscere quanti e quali oggetti celesti possono rappresentare un rischio in caso di impatto. E qui c'è una prima difficoltà che è costituita proprio dalla loro identificazione. "Il problema è che attualmente conosciamo circa 20 mila Near-Earth Objects ma si pensa che ce ne siano almeno il doppio", spiega al riguardo Lazzarin precisando che sul totale di oggetti identificati quelli potenzialmente pericolosi, perché si avvicinano ancora di più alla Terra pericolosamente, sono poco più di 2.000.

"Scoprire questi oggetti è fondamentale. Per questo motivo a Padova li stiamo indagando da tantissimi anni e facciamo parte di molti progetti, tra i quali anche un progetto che si chiama Neorocks ed è stato finanziato dall’Ue. Inoltre facciamo parte della missione HERA che l’Agenzia spaziale europea sta preparando per il 2024 con l'obiettivo di andare a vedere quali sono stati i risultati dell’impatto di DART sull’asteroide", aggiunge la docente del dipartimento di Fisica e astronomia dell'università di Padova.

Inizialmente infatti le due missioni erano state concepite in modo unitario ma in seguito, pur mantenendo un'ampia collaborazione, si è deciso di separarle e Ian Carnelli, responsabile della missione Hera dell'ESA, ha affermato che "il ritorno scientifico complessivo sarà moltiplicato esponenzialmente dalla possibilità di combinare i risultati di entrambe".

Il lancio della sonda, il suo viaggio e i telescopi in attesa sulla Terra

Come già detto DART partirà verso lo spazio il 24 novembre alle 7.20 ora italiana (ma nella Vandenberg Space Force Base in California saranno le 22.20 del 23 novembre) e il suo arrivo è previsto nell'autunno del 2022.

"Un viaggio di questa durata non è considerato lungo: pensiamo che la missione Rosetta ha impiegato 10 anni prima di giungere all’obiettivo e quasi tutte le missioni richiedono molto tempo. In questo caso le distanze sono minori e la sonda arriverà all’oggetto senza bisogno di spinte gravitazionali", aggiunge Monica Lazzarin.

Percorrerà 24 mila chilometri all'ora scontrandosi quindi contro l'asteroide più piccolo a una velocità di circa 6,6 chilometri al secondo. E mentre il satellite LiciaCube (che approfondiremo meglio tra poco) si sgancerà dalla sonda una decina di giorni prima della collisione per acquisire immagini del bersaglio nello scenario post-impatto, da Terra i telescopi di tutto il mondo effettueranno le loro osservazioni.

"Le abbiamo già programmate. Si comincerà da giugno-luglio perché Didymos in quel periodo sarà osservabile. Del team fa parte anche la sede di Asiago. Avremo il telescopio più piccolino, soprattutto se rapportato a quelli installati alle Hawaii, e ci occuperemo in modo particolare della parte di composizione degli oggetti. Appena DART colpirà l’oggetto andremo a studiare nuovamente il periodo di rivoluzione questi oggetti e la variazione. Sarà un momento un po’ difficile perché Didymos proprio in quelle notti transiterà in una parte di cielo molto densa di stelle. Le osservazioni non saranno quindi facilissime ma siamo molti gruppi e siamo fiduciosi che riusciremo a ottenere buoni risultati", dice Lazzarin.

Meglio deviare un asteroide pericoloso invece di distruggerlo

L'individuazione di asteroidi potenzialmente pericolosi e la messa a punto di tecniche che in caso di necessità permettano di allontanare la minaccia sono ambiti su cui negli ultimi anni si sono intensificati gli sforzi della Nasa (che per la missione DART ha investito 324 milioni di dollari) e dell'Esa.

Del programma europeo fa parte, ad esempio, il Flyeye, un telescopio composto da 16 telecamere che dovrebbe essere inaugurato entro il 2023 sul Monte Mufara, in Sicilia, e che avrà il compito di scrutare il cielo alla ricerca dei NEO di piccole dimensioni, quelli più imprevedibili perché conosciamo solo una piccola parte di quelli in circolazione nel sistema solare. 

"La missione DART ha scelto come obiettivo questo asteroide binario anche perché il corpo minore ha un diametro di 160 metri ed è una dimensione abbastanza tipica degli oggetti che potrebbero arrivare sul nostro pianeta. Un oggetto di queste dimensioni non porterebbe alla distruzione globale della Terra ma sarebbe comunque in grado di portare a dei disastri regionali molto importanti. L'evento del 2013 avvenuto in Russia è stato provocato da un oggetto di meno di 15 metri e ha provocato un migliaio di feriti a causa della grande quantità di finestre frantumate e delle schegge che hanno colpito le persone. Il Meteor Crater, in Arizona, è stato provocato da un oggetto di 45 metri. Una distruzione a livello planetario avrebbe bisogno di una dimensione di circa un chilometro: non è tantissimo e ce ne sono moltissimi di queste dimensioni. Si pensa che quello che ha eliminato i dinosauri dalla faccia della Terra sia stato un oggetto ben più grande, di circa 10-12 km, e questi provocano delle distruzioni pazzesche perché fanno innalzare le polveri in atmosfera e creano inverni che durano per tantissimo tempo", spiega Monica Lazzarin.

Ma cosa fare se davanti all'eventualità di un rischio concreto? "Per deviare questi oggetti sono attualmente in studio diverse strategie. Quella dell’impattatore cinetico è la più avanzata ed è per questo si è scelto di provarla. Inoltre l’altra tecnica di cui si parla molto, che consiste nell’esplosione nucleare, è ancora abbastanza incerta perché alla fine produrrebbe molti detriti che diventerebbero in qualche modo incontrollabili. Se l’oggetto è estremamente vicino alla Terra non saremmo ancora in grado di capire come poterli controllare", puntualizza l'esperta del Science Investigation Team della missione DART

LiciaCube: il nanosatellite tutto italiano che documenterà l'impatto e ne racconterà l'evoluzione

La missione DART è caratterizzata anche da una componente italiana molto rilevante. Il nanosatellite LiciaCube, realizzato negli stabilimenti di Argotec a Torino per conto di e in collaborazione con l'Asi, viaggerà a bordo della sonda della Nasa per 10 mesi e se ne distaccherà qualche giorno prima dell’impatto per acquisire immagini ad alta risoluzione del cratere e dei detriti generati dalla collisione, consentendo così una valutazione degli effetti dello scontro contro l'asteroide Dimorphos. Come spiega la stessa Agenzia spaziale italiana "la missione LiciaCube sarà tra le più impegnative mai effettuate da un microsatellite nelle difficili condizioni dello spazio profondo, a causa anche della velocità elevata con cui il satellite sorvolerà la scena dell’impatto di DART con l’asteroide" e "delinea un nuovo punto di partenza tecnologico per il futuro delle missioni con piccoli satelliti a supporto dell’esplorazione spaziale". 

Il team scientifico di LiciaCube è coordinato da Inaf e comprende anchel’Ifac-Cnr, il Politecnico di Milano e le università di Bologna e Parthenope di Napoli. La partecipazione di Inaf si articola a sua volta nei gruppi che fanno parte dei diversi osservatori territoriali (OAR, IAPS, OAA, OAC, OAPD e OATS). 

Maurizio Pajola e Alice Lucchetti sono due ricercatori che lavorano all'Inaf-Osservatorio astronomico di Padova. Li abbiamo raggiunti al telefono proprio mentre erano in viaggio verso la base di lancio della sonda, in California. Una volta sul posto assisteranno in diretta ad un momento storico che può rappresentare un significativo passo avanti verso lo sviluppo di strategie di difesa planetaria.

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Ascolta l'intervista a Maurizio Pajola e Alice Lucchetti, ricercatori dell'Inaf-Osservatorio astronomico di Padova, sul LuciaCube della missione DART

"Immaginiamo il LiciaCube come una sorta di piccola valigia che viene sganciata dalla sonda madre circa dieci giorni prima dell’impatto. Questo strumento poi aprirà i pannelli solari e avrà una vita autonoma in questi dieci giorni: dovrà riuscire a vedere il cono di polvere e l’impatto di DART sull’asteroide. Tre minuti dopo la collisione sarà a circa 50 chilometri di distanza e potrà osservare tutto in maniera sicura", spiega Maurizio Pajola.

"L’idea è poter non solo deviare l’orbita del secondario ma anche studiare le proprietà fisiche della superficie, per esempio la distribuzione di crateri che sono presenti sull'oggetto primario, ma anche potenzialmente sul secondario se ce ne sono, le fratture, l’aspetto termico. L’obiettivo è riuscire a comprendere per la prima volta come si comporta un corpo binario a livello di interazione tra i due oggetti non solo dal punto di vista gravitazionale ma anche se vi è dello scambio di materiale, se vi sono delle maree tra l’uno e l’altro o se ci sono delle distribuzioni specifiche di polvere sulla superificie dei due corpi. La finalità è comprendere come un asteroide binario, quindi due corpi che ruotano intorno a un comune baricentro, interagiscono tra di loro e come le superfici dei due corpi sono strutturate", approfondisce il ricercatore di Inaf-Osservatorio astronomico di Padova.

LiciaCube, come spiega anche un articolo firmato da un team di ricercatori italiani e statunitensi, tra cui gli stessi Pajola e Lucchetti, è dotato di due telecamere: Leia ha una risoluzione molto elevata e potrà quindi fornire immagini dettagliate del punto di impatto, Luke ha invece una visuale ampia e potrà documentare l'evoluzione della collisione attraverso inquadrature più larghe che permetteranno di osservare i materiali espulsi.

"In tutto questo periodo precedente al lancio della missione abbiamo provato a simulare il cratere di impatto che si formerà a seguito della collisione di DART sulla superficie di Dimorphos. Quello che osserveremo grazie a LiciaCube è proprio il cono di polvere, il cumulo di detriti che verrà sollevato a causa dell’impatto. A seconda della densità di questo materiale potremo ottenere, anche indirettamente, alcune informazioni sulle proprietà fisiche e meccaniche del materiale stesso che costituisce l’asteroide. Se saremo fortunati potremo anche vedere il cratere stesso e avere informazioni aggiuntive sulla sua morfologia, ma questo dipenderà da tutto il materiale che verrà sollevato durante l’impatto", aggiunge Alice Lucchetti.

"Gli asteroidi si differenziano molto anche a livello di materiali da cui sono costituiti quindi i risultati che otterremo con questa missione ci consentiranno di compiere un ulteriore passo avanti verso la conoscenza di tutti gli asteroidi presenti nel sistema solare.

Di asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra ce ne sono un’infinità. Sono definiti Near-Earth Objects perché sono vicini al nostro pianeta però la grande maggioranza di essi sono piccoli e quelli che possono costituire una minaccia concreta sono pochi. Ad esempio il target della missione DART è un asteroide che non è pericoloso però si vuole studiare questo sistema binario perché il giorno in cui dovesse essere necessario intervenire, e sappiamo tramite orbite che un asteroide si avvicina pericolosamente alla Terra, potremo utilizzare questa metodologia per deviare la sua orbita, evitando così che vada a impattare contro il nostro pianeta", conclude la ricercatrice di Inaf-Osservatorio astronomico di Padova.

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