CULTURA

Guida alla lettura e alla visione di Daniel Pennac: i non Malaussène

Il grande scrittore francese Daniel Pennac ha creato uno dei personaggi più significativi nella storia della letteratura del Novecento, il capro espiatorio, proprio questo è il mestiere del suo famoso protagonista seriale. Benjamin Malaussène svolge meticolosamente la professione di capro espiatorio, lavoro dipendente (comunque retribuito) prima in un grande magazzino con 855 dipendenti in rue du Temple (il mitico IV Arrondissement parigino del Marais), poi in una casa editrice. È un lavoro raro e complicato, causa misteriosa ma evidente di qualsiasi evento inspiegabile, all’origine di niente ma responsabile di tutto: quando un cliente si lamenta, l’impiegato deve farsi strapazzare e umiliare pubblicamente, assumendosi ogni colpa con un’aria così contrita, miserabile e disperata che, di solito, il cliente finisce per ritirare il reclamo. Che professionista! Insieme terziario avanzato e artigianato artistico, fatica fisica e raffinato intellettualismo, creatività e alienazione, realtà e finzione. Una pietra miliare della vita civile e sociale dei decenni contemporanei, un po’ come il complotto, pur se è difficile lavorare individualmente da complotto. Vi è, comunque, una sterminata bibliografia internazionale su entrambi e anche Pennac si è ispirato a saggi scientifici. A fine marzo 2023 esce l’ultimo romanzo della saga Malaussène, Pennac lo sta presentando in Italia, vediamo prima chi è l’autore e come è arrivato a scrivere vari capolavori.

Pennac nasce venerdì primo dicembre 1944 a Casablanca in Marocco, una delle colonie francesi tra l’Africa e l’Indocina, durante una sosta della famiglia Pennacchioni al seguito del padre, ufficiale di carriera, bretone di origine corsa; a tre mesi arriva in Francia, dopo un anno la famiglia si sposta in Germania, poi a Gibuti e a Saigon. Daniel non è in grado di capire quelle lingue straniere, ne apprezza e ne assimila la musicalità. Madre casalinga ebrea, padre colto militare, è il più piccolo componente della famiglia, quarto figlio; cresce in ambiente borghese rude, con evidenza culturalmente stimolante; da loro l’affetto non si dimostra con smancerie e tenerezze; tra i fratelli ha un rapporto particolarmente stretto con Bernard, che ha cinque anni di più e da cui si fa volentieri aiutare, in particolare nello studio. Ultimogenito di una stirpe di laureati, il suo percorso scolastico risulta tuttavia a lungo irto di difficoltà. Entra in collegio a otto anni, torna a casa solo una volta a trimestre, scopre il piacere di leggere da solo e di nascosto, al di fuori del programma scolastico. Inizia le prime sperimentazioni di scrittura: di notte, alla luce di una torcia, divora le pagine di libri proibiti (Dumas, Dickens, Stevenson, Kipling, Paul Féval), poi il giorno dopo, fingendo di fare i compiti, scrive, immaginandone il seguito. L’amore per la lettura ha origini orali: fiabe sul lupo o racconti della nonna incidono immagini indelebili, nei sogni e nella memoria.

Nonostante tutto, a scuola Pennacchioni va male, non si comporta da studente modello e nello studio è definito “somaro”, ci scriverà sopra decenni dopo nel romanzo autobiografico uscito a fine 2007 Chagrin d'école (Gallimard, Diario di scuola per Feltrinelli nel 2008), dedicato agli insegnanti e agli alunni difficili del mondo formativo. Attraverso efficaci eintense pagine, l’autore racconta la profonda solitudine e il senso di vergogna di chi non capisce in un contesto in cui tutti gli altri sembrano capire e capirsi “Le mie pagelle lo confermavano tutti i mesi: ero un cretino ed era tutta colpa mia! Da ciò ne derivò un odio per me stesso, un grande senso di inferiorità e sensi di colpa”. E poi, finalmente, ecco l’incontro con alcuni insegnanti che lo salvano, che trovano in lui qualcosa su cui puntare, che non lo fanno più sentire una nullità, che gli indicano la scrittura e la lettura come mezzi per domare quell’orco scolastico che lo sta divorando. Così il libro racconta anche il successivo altro lato della cattedra, l’insegnamento e il personale rapporto con 2500 allievi (bambini e adolescenti per lo più “difficili”).

Per aiutare a imparare qualcosa, l’essenziale è dare consapevolezza del presente relativo (non magico), in grammatica e in psicologia, in letteratura e in matematica. Almeno a chi si oppone. Se volete capire meglio le dinamiche delle banlieuesparigine delle seconde e terze generazioni (e di qualche periferia metropolitana italiana), studiate Pennac! Chi è in difficoltà va più lento, si distrae, ha poca autostima; non c’entra nulla con le intelligenze, le bellezze, i successi. Alcune tecniche scolastiche sono replicabili: come e cosa imparare a memoria, quando e perché fare analisi logica e dettati, l’unica attenzione a singoli e classe, i campionati di dizionari, il rifiuto delle risposte assurde, l’utilizzo di Picasso e Allen. Senza nascondere i fallimenti, senza essere indulgenti verso i colpevoli. Come al solito, per l’autore la musica è di chi legge, i politici non ci fanno bella figura, si mangia poco o niente (i baci Perugina sono funzionali), la scrittura garantisce ironia e godimento.

Daniel Pennacchioni si laurea nel 1968 proprio in Lettere all’Università di Nizza. È determinato a fare lo scrittore e vuole racimolare un po’ di soldi solo per poter scrivere; dopo alcuni lavori saltuari, allettato dalle lunghe vacanze estive che gli avrebbero permesso di dedicarsi con calma alla scrittura, nel 1970 accetta l’incarico di insegnante di francese a Soisson, in una scuola privata convenzionata con lo Stato. Il contatto con studenti difficili lo conquista, in loro rivede sé stesso e s’ingegna per trovare il modo di appassionarli allo studio, per non farli sprofondare nell’abisso dell’ignoranza e della svalutazione di sé. Sarà insegnante (poi a Parigi) per più di ventotto anni, spesso in classi per giovani “disagiati” di età diversa, contesti in cui si trova pure a fare lezione a chi combatte con le prime conoscenze di base e, contemporaneamente, a chi si deve preparare all’esame di maturità. Gli piace così tanto questa professione che ancor oggi, nonostante innumerevoli premi e successi letterari, preferisce definirsi professore piuttosto che scrittore.

L’esordio di Pennacchioni come autore è del 1973: dopo aver fatto il servizio militare, in un breve saggio, Le service militaire au service de qui?, descrive la vita nelle caserme con toni severi e polemici, paragonandola a un luogo tribale con rituali grotteschi. Sceglie di firmarsi con lo pseudonimo Daniel Pennac (contrazione del cognome) per non danneggiare la reputazione del padre, militare in pensione, poco incline a esprimere i sentimenti, ma dalla personalità aperta e generosa, da cui eredita la capacità di trovare il lato ironico in ogni evento. Raccontare storie è per lui un modo di fare critica sociale, soprattutto legata alle scelte urbanistiche, all’integrazione, ai servizi pubblici; così, dopo aver conosciuto Tudor Eliad, scrivono insieme Les enfants de Yalta (1977) e Pere Noël (1979), romanzi “deliranti” di fantapolitica burlesca, come ama definirli lui stesso, che hanno uno scarso successo di pubblico, nonostante le buone critiche. Pennac, dopo questa esperienza, si dedica alle storie per bambini, prive di ironie astruse, doppi sensi e giochi verbali.

Il primo libro è illustrato, Le Grand Rex (1980). Spero che vi sia capitato di avere un genitore che vi ha letto i successivi due testi di Pennac o, se siete un genitore, che li abbiate già letti ai figli, o, se amate la lettura a qualsiasi età, che vi siete goduti presto entrambi i romanzi: Abbaiare stanca (1982) che nell’edizione italiana del 1993 conquista il Premio Cento,e L'occhio del lupo (1984), che affronta il tema struggente della sofferenza nell’esperienza dell’esilio. Non li dimenticherete. L’intensa silenziosa comunicativa amicizia fra i due protagonisti del secondo (un capolavoro) è ricca di delicatezza e di cultura non antropomorfa. I pellegrinaggi per l’Africa, gialla la desertica, grigia l’arida, verde la tropicale; le qualità affabulatorie del ragazzo, fin da bimbo; i tanti animali incontrati, prede e predatori in ogni ecosistema; la loro immagine dell’Altro Mondo (il nostro, “civile”) ci dicono che spesso la realtà umana non merita nemmeno di essere guardata, seppur solitaria l’osservazione sincera può rivolgersi altrove, l’accettazione coerente e sincera dell’altro è premessa indispensabile di ogni pacifica comprensione sociale e sano legame affettivo. Le prime prove narrative per ragazzi avranno un seguito nelle avventure seriali di Kamo, molto note anche in Italia.

Come sempre, vi è in parallelo una intensa vita privata e amicale che condizionerà l’evoluzione letteraria e il successivo grande successo. La svolta profonda si determina attraverso una nuova lunga adulta permanenza all’estero. A fine 1979, dopo dieci anni di insegnamento, Daniel segue in Brasile la prima moglie Irène, che ha ottenuto una cattedra all’Università del Ceará; sente la necessità di un cambiamento, di allontanarsi dalla soffocante situazione politica francese; vi resta per due anni, che si rivelano molto proficui per il lavoro di pensatore, sognatore e autore. In quel periodo scrive circa trecento pagine di una bozza di romanzo che poi, a decenni di distanza, troverà compimento in Storia di un corpo (2012). Il soggiorno è anche fonte di ispirazione per Ecco la storia pubblicato nel 2003 (Dictateur et le Hamac), in cui si lancia nel racconto di rocambolesche vicissitudini di sosia e dittatori; l’idea gli viene quando per un incidente lui, la moglie e due amici incappano su due tizi vestiti di stracci appoggiati alla loro bicicletta che fissano una vecchia televisione e ridono come pazzi, guardando la famosa scena dei panini in La corsa all’oro di Chaplin. Si rivela un momento di incredibile commozione: ridono esattamente delle stesse cose pur non avendo nessun codice culturale in comune, “potenza universale dell’arte”.

Sempre a Brasilia, infine, in una piccola libreria di usato, per caso Pennac compra Louis Berretti scritto da Henderson Clarke e scopre il romanzo di genere mystery o hard-boiled, policier o polar, noir o noire o negro, giallo insomma; si appassiona al genere tanto che sarà per anni la sua lettura preferita, ancor più al rientro in Francia, in tutte le varie sfumature. Ed è attraverso il genere giallo che Pennac diventa un grande scrittore, usandolo da grimaldello per fantasia e creatività, per oralità e moralità. Dapprima a quattro mani con uno pseudonimo, poi con Malaussène. Nel 1985 esce Binario morto, una sorta di spy-story pubblicata in collaborazione con gli amici Jean Bernard J. B. Pouy e Patric Raynal, un capitolo a testa senza seguire una scaletta comune, con lo pseudonimo di J.B. Nacray (due o tre lettere ad autore), arrivato in Italia nel 1997, magistralmente tradotto da Luigi Bernardi, come volume inaugurale di una collana per edicole. Pouy e Raynal provocano Daniel sostenendo che non è in grado di scrivere da solo un vero e proprio giallo. Pennac raccoglie la sfida, scommette e, grazie a ciò, per la Série Noire di Gallimard nascono Benjamin Malaussène, investigatore involontario, e la sua stramba famiglia, protagonisti delle storie scritte tra il 1985 e il 1999. Il primo Malaussène uscito nella Série Noire, chi l’avrebbe mai detto? Sarà un tema da sviscerare presto.

Pennac ha schiere di ammiratori entusiasti in Italia, è noto. Non a tutti piace, nulla da obiettare. Se cercate un poco in rete trovare critiche e obiezioni, se frequentate lettori forti qualcuno non lo sopporta. Non condivido, ma capisco. E, comunque, il piacere di ogni lettura è individuale. Sono un fedele entusiasta dalle prime pubblicazioni italiane, l’ho letto, recensito e consigliato tutto. Ricordo un episodio accaduto la sera del 29 marzo 1997. Quel giorno per caso incontrai Pennacchioni in una couscousseria del V° a Parigi. Ero un aitante sottosegretario italiano, lui già un grande scrittore francese. Ero stato un impegnato studente “leccornia” secondo le sue definizioni (le mie incapacità crebbero poi progressivamente), lui uno studente scassinatore “somaro” (la sua genialità venne poi fuori all’improvviso). Pendevo dalle sue pagine e avevo intitolato al capro espiatorio Malaussène il comitato elettorale dell’Ulivo. Non mi conosceva, aveva da poco abbandonato l’insegnamento dopo 25 anni. Arrossii, balbettai, rimuginai. Il giorno successivo gli portai una pianta a Belleville. L’ho poi incontrato altre tre volte, per scelta e con piacere, a Spoleto e Roma, a cena e in teatro, per le prime tratte dai suoi monologhi. Sono schierato, dunque, esprimo consigli di non indifferenza, partigiani.

La produzione letteraria di Pennac ha continuato a essere variegata ed eccellente, al di là del successo mondiale dei Malaussène, romanzi fiabe racconti drammaturgie fumetti documentari breviari saggi, con innumerevoli premi, qualche riduzione cinematografica, frequenti intrecci fra i vari testi, quasi sempre magistralmente tradotti in italiano dalla straordinaria Yasmina Melaouah, che ha prestato la propria intelligenza meticcia alla fantasia meticcia dell’autore, aggiungendo qualcosa di originale e opportuno alle invenzioni linguistiche dell’autore. Impossibile citare tutto e il singolo titolo (senza illustrazione e commento) non sarebbe abbastanza. Limitiamoci all’ultimo volume uscito prima del Malaussène ora in libreria, un’autobiografica epopea onirica: Daniel Pennac La legge del sognatore, Feltrinelli 2020 (orig. 2020)  Siamo sul massiccio del Vercors nel 1954. Il protagonista sognatore vive con i genitori, ha dieci anni, forse è nato il primo gennaio, a scuola ha sentito che la luce è fatta di acqua. Di notte conversa con il compagno di classe Louis, il suo migliore amico, forse nato il giorno prima (a un millesimo di distanza), spesso ospitato a casa loro.

La mamma Moune ha appeso sopra i due lettini un disegno coloratissimo di Federico Fellini, lei è costumista e aveva lavorato per molti film del regista italiano, anche allo Studio 5 di Cinecittà, lo adora. Quella notte il bimbo sognatore sogna un’inondazione di luce e di acqua, tutto sembra vero, la città viene sommersa. Quando si sveglia deve sbrigarsi perché hanno in programma un’escursione alla diga per apprendere come immergersi con le bombole e in auto racconta il sogno. Louis commenta che da grande l’amico non potrà che fare lo scrittore (effettivamente comincerà e continuerà sempre nel capanno lì costruito dal padre), mentre per sé stesso prevede il posto di personaggio (effettivamente diventerà Kamo decenni dopo). Non credono molto ai particolari che il piccolo sognatore descrive per rispondere alle domande che gli fanno, così lui decide di trascrivere da quel momento in avanti tutti i sogni che farà; non a caso la maggior parte delle sue trovate narrative sono ricordi che imparerà a trasformare in storie, restando sempre fedele alla casa del Vercors, divenuta il punto di ritrovo fisso della tribù Malaussène e la cornice di alcuni suoi romanzi.

Cinquant’anni dopo quel primo sogno, Louis torna a trovarlo, hanno avuto figli e nipoti, decidono di tornare alla diga dell’infanzia e di noleggiare l’attrezzatura per liberarsi della gravità dell’aria e compiere una gita subacquea come un tempo. Sotto scopre una città sommersa. Sogno o son desto? Fa tutto parte di un sogno? Oppure è proprio la vita che è tutto un teatro? Pennac riesce di nuovo a stupirci, affascinarci e rapirci fra metafore e onomatopee, con un gioco di sogni, uno nell’altro come matrioske russe, un nuovo genere letterario più misterioso e immaginifico del noir, più sincero e reale dell’autobiografia. La narrazione è in prima persona e procede attraverso 8 parti e 74 scene separate, cronologiche e di varia lunghezza, nelle quali sia gli eventi da sognatore che quelli da sveglio si integrano di finzioni e realtà, un’unica fiaba magica con il filo rosso del sostanziale omaggio a Fellini, il preferito “regista” della meraviglia e dello sbalordimento, che trascriveva e disegnava i propri sogni e ne parlava con chi di dovere.

Come accennato, dopo l’adolescenza a Nizza e l’incontro col cinema felliniano, negli anni settanta in un ex convento del Nord da giovane insegnante nella scuola media di sgangherati alunni spediti lì dall’istituzione scolastica a formare le cosiddette “classi differenziate”, Pennac aveva fatto largo uso del far scrivere ogni mattina i sogni della notte precedente su taccuini privati, da raccontare e dettare alla lavagna, ma da non usare nei temi. L’azzeccata copertina e la complice traduzione aiutano a sottolineare l’immaginazione letteraria. Televisione e calvados in albergo a correggere i compiti. Nel 2019 Pennac ha poi avuto l’occasione per definire un progetto teatrale su Fellini, essendo il 2020 il centenario dalla nascita (a Rimini) di Federico Fellini (con celebrazioni e mostre in tutt’Italia). Al Piccolo Teatro di Milano il 20 gennaio 2020 vi fu l’anteprima dello spettacolo dedicatogli da Pennac, una meraviglia! Il romanzo era uscito pochi giorni prima, una drammaturgia diversa pur altrettanto mirabolante. E nei prossimi giorni Pennac sarà pure al cinema con il documentario Ho visto Maradona.

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