SCIENZA E RICERCA

Lotta alla malaria: nuovo passo avanti nella ricerca sulle zanzare Ogm

Nei giorni scorsi l’Organizzazione mondiale della sanità ha annunciato che la Cina ha debellato definitivamente la malaria ma a livello globale la battaglia contro questa malattia, provocata da un parassita che si trasmette all’uomo attraverso la puntura di zanzare infette del genere Anopheles, è ancora tutt’altro che vinta.

Lo si comprende bene guardando i dati relativi al continente africano dove ogni anno oltre 400 mila persone muoiono a causa di questa malattia: secondo i numeri diffusi dalla stessa Oms i casi di malaria nel 2019 sono stati 229 milioni nel mondo e hanno portato a 409 mila vittime, il 67% delle quali bambini al di sotto dei 5 anni di età. E l’Africa da sola rappresenta oltre il 90% dei casi totali e dei decessi. La malaria, ricorda l’Oms, è prevedibile e curabile ma questa possibilità nelle aree più povere del mondo rimane spesso solo teorica, a causa della difficoltà di accesso agli strumenti di protezione e del loro costo.

Da tempo la ricerca scientifica è al lavoro anche per lo sviluppo di un vaccino: su questo fronte le notizie arrivate dalla sperimentazione di fase II di un nuovo prodotto, messo a punto dall’università di Oxford e denominato R-21, sono molto incoraggianti perché il siero ha dimostrato un’efficacia notevolmente superiore rispetto a quella dell’unico vaccino finora in uso.

Un’altra linea di ricerca che potrebbe rappresentare un punto di svolta nella lotta alla malaria è quella che punta ad intervenire direttamente sul vettore della malattia, rendendo sterili le zanzare Anopheles e impedendo così la loro riproduzione.

Sfruttando le potenzialità dell’ingegneria genetica un team internazionale di scienziati, guidato dal professor Andrea Crisanti, da alcuni anni è infatti al lavoro per bloccare le capacità riproduttive delle femmine di zanzara (gli esemplari maschi non pungono e non trasmettono la malattia), fino ad arrivare al collasso della popolazione.

Le strategie possibili, studiate in laboratorio, sono due: quella che ha raggiunto lo stadio più avanzato e si è dimostrata anche la più promettente, agisce su un gene bersaglio molto preciso del genoma della zanzara, denominato doublesex. Come già approfondito su questa testata, si tratta di una sorta di interruttore genetico per la determinazione del sesso dell’insetto e intervenendo su di esso hanno ottenuto una zanzara con caratteristiche morfologiche intermedie, sterile e incapace di pungere.

Restavano però alcuni nodi da sciogliere. Il primo riguardava la necessità di scoprire come trasmettere in toto alle zanzare i geni che bloccano la trasmissione della malaria ribaltando, come Crisanti aveva già spiegato in un'intervista a Monica Panetto, "le leggi dell’ereditarietà, perché tutti gli organismi che si riproducono sessualmente hanno il 50% delle probabilità di ereditare una caratteristica genetica dal padre o dalla madre e il 50% di trasmetterlo alla progenie.

In altre parole era particolarmente importante evitare che la modificazione genetica si diluisse nella popolazione e al riguardo il passo successivo è stato equipaggiare questo gene con il drive, ovvero un dispositivo molecolare capace di far “viaggiare” la modificazione ottenuta, assicurandone l'ereditabilità da parte della discendenza. In questo modo è stato possibile arrivare all’estinzione, in laboratorio, di una popolazione di zanzare Anopheles gambiae nel giro di 7-11 generazioni. 

Un’altra strategia, in fase di sviluppo, mira invece a innestare il gene drive sul cromosoma Y, che determina il sesso maschile, in modo tale da ridurre gradualmente il numero delle femmine e provocare uno squilibrio nella popolazione.

Il nuovo tassello raggiunto dalla ricerca in cui sono impegnati gli studiosi dell'Imperial College di Londra, della North Carolina State University, dell’Università tedesca di Würzburg e della britannica Keele University è stato quello di dimostrare che il processo di gene drive, una volta avviato, può essere interrotto e diventare reversibile, rendendo così meno pressanti anche alcuni interrogativi di ordine etico, collegati all'uso di tecniche capaci di portare alla soppressione di una specie (sia pure pericolosa per la salute umana). 

La chiave per controllare il processo ed eventualmente fermarlo è stata individuata nella proteina anti-CRISPR AcrIIA4 originaria del batterio Listeria monocytogenes e si tratta di un passaggio fondamentale proprio perché consente di limitare nello spazio e nel tempo l'applicazione delle tecnologie di gene drive. 

I risultati più recenti di questo lavoro sono stati pubblicati nei giorni scorsi su Nature Communications in uno studio intitolato A genetically encoded anti-CRISPR protein constrains gene drive spread and prevents population suppression: ne abbiamo parlato direttamente con il professor Andrea Crisanti, docente di Microbiologia e direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova, oltre che professore di parassitologia molecolare all'Imperial College. 

L'intervista completa al professor Crisanti sugli ultimi progressi nella lotta alla malaria attraverso le tecnologie genetiche applicate alle zanzare Anopheles. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

L'individuazione del gene da modificare

Prima di approfondire i risultati dello studio da poco pubblicato su Nature Communications abbiamo chiesto al professor Andrea Crisanti di ripercorrere la fase iniziale di questo lavoro di ricerca e di spiegarci come si è arrivati alla determinazione del gene bersaglio. 

"La scelta del gene su cui intervenire è una storia molto lunga - introduce il direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell'università di Padova - ed è il risultato di una serie di tentativi, molti dei quali falliti: i geni selezionati dovevano avere delle caratteristiche specifiche perché dovevano essere geni coinvolti nella sterilità delle femmine, dovevano essere recessivi (nel senso che la femmina eterozigote è fertile) e non dovevano avere nessun effetto di fitness sui maschi. Non esistono molti geni con queste caratteristiche. Noi all’inizio avevamo identificato tre geni che sono coinvolti nella fertilità femminile, principalmente nel processo di differenziazione dell’apparato femminile, ma avevamo riscontrato una difficoltà: il drive funzionava ma questi geni avevano una flessibilità strutturale che permetteva a determinate mutazioni di generare un gene funzionale". Il professor Crisanti entra più nel dettaglio di questo meccanismo. "Il problema è che se ci sono delle mutazioni nella regione che funziona da bersaglio per il gene drive - che di fatto è una nucleasi, cioè un enzima che taglia il DNA in modo estremamente specifico -  la nucleasi non funziona più e questi geni hanno un vantaggio selettivo: il gene drive chiaramente pone una pressione selettiva gigantesca perché di fatto se funziona elimina la specie, quindi qualsiasi mutazione che è in grado di neutralizzare questo processo ha un vantaggio selettivo enorme".

Il gene doublesex

Il passo successivo è stato provare a utilizzare un gene particolare che si chiama doublesex e, come si può già intuire dal nome, definisce quale sarà il sesso della zanzara.  "Ogni insetto - approfondisce il professor Andrea Crisanti - ha una via di identificazione del sesso che differisce a seconda della specie. In alcuni casi è un meccanismo molecolare che conta il numero di cromosomi X, in altri sono fattori ambientali e in altri ancora è la presenza di un cromosoma Y. Tutti questi segnali possono essere estremamente diversi ma confluiscono, attraverso una serie di catene di trasmissione del segnale, su un unico gene, il doublesex".

"Questo gene - continua il microbiologo dell'università di Padova e docente di Parassitologia molecolare all'Imperial College di Londra - esiste in due forme, una maschile e una femminile, attraverso un processo che si chiama splicing: praticamente il gene viene trascritto con un unico filamento di RNA e, a seconda del segnale che arriva, può essere trasformato in un filamento che codifica nella versione maschile oppure in un filamento che codifica nella versione femminile. L'esito dipende dal fatto che un pezzo che codifica per questo gene venga eliminato o meno durante questo processo. In modo particolare una parte di questo gene è molto importante per la differenziazione femminile in quanto, se viene eliminato, determina l’impedimento del processo di maturazione del gene stesso e di fatto questo porta le zanzare a differenziarsi come maschi o a produrre dal punto di vista fenotipico dei caratteri molto simili a quelle maschili. Nel caso specifico questo vuol dire che non sviluppano le ovaie o producono caratteristiche genitali esterne maschili o non hanno un apparato boccale in grado di pungere. E’ infatti importante ricordare che soltanto gli insetti di sesso femminile pungono e il motivo è che hanno bisogno di tanta energia per produrre le uova". 

Tra le altre cose, ricorda Crisanti, il gene doublesex "è presente in tutti gli insetti e quindi questa tecnologia può essere utilizzata non solo per le zanzare ma per tutti gli insetti che trasmettono malattie o che sono dannosi per l’agricoltura".

La spinta del gene drive

La tecnica del gene drive ha poi consentito di trasmettere la mutazione desiderata nella totalità dei casi, facilitandone la diffusione nella popolazione. " E' un meccanismo molecolare - spiega il professor Crisanti - che selettivamente distrugge la parte femminile di questo gene e che si propaga generazione dopo generazione. Quando l’organismo femminile eredita due copie del gene danneggiato di fatto non è in grado di procreare. Il risultato è che questa modificazione genetica si diffonde e quando raggiunge una certa frequenza di fatto la popolazione collassa".

Un altro aspetto interessante, aggiunge il docente è che "questo gene è estremamente conservato e non tollera mutazioni. Quindi tutte le eventuali mutazioni che dovessero generarsi non sono funzionali e questo ha consentito di eliminare popolazioni di zanzare in laboratorio".

Lo sviluppo di un anti-drive per rendere reversibile (e più accettabile) il processo

Finora la tecnica è stata utilizzata soltanto in laboratorio tra zanzare in gabbia. "Il passo successivo - entra nel merito il professor Crisanti - dovrebbe essere chiaramente quello di usarla in ambiente esterno e qui entriamo in un settore che, oltre a essere di carattere tecnologico, è anche di carattere legale e regolatorio. Ovviamente una tecnologia di questo tipo, che è in grado di modificare la traiettoria evolutiva di una specie, genera comprensibilmente apprensione".

Era quindi importante capire come rendere reversibile questo processo, per interromperlo in caso di problemi o per essere certi che la diffusione sia limitata ai contesti in cui occorre intervenire. "Per questo motivo abbiamo sviluppato una tecnologia capace di bloccare il gene drive ed è l’argomento della pubblicazione su Nature Communications di questi giorni. Esistono - spiega il coordinatore dello studio - delle molecole capaci di bloccare selettivamente le nucleasi responsabili del gene drive e abbiamo dimostrato che queste molecole sono in grado di fermare la diffusione di questo processo. Ciò significa che abbiamo uno strumento che ci consente, qualora ce ne fosse la necessità, di limitare sul campo la diffusione del gene drive sia dal punto di vista geografico che temporale, proprio per far sì che questa modificazione genica si sviluppi e si propaghi soltanto nelle aree in cui è necessario".

"Riteniamo - prosegue Crisanti - che questa tecnologia sia uno strumento essenziale per facilitare il processo regolatorio perché chiaramente avere a disposizione un antidoto è un motivo di rassicurazione per tutti coloro che inizialmente potrebbero opporsi a questa prospettiva, perché preoccupati dall’impossibilità di fermarla nel caso in cui ci fossero dei problemi. E’ un passo avanti che ci permette di “addomesticare” questa tecnologia e di applicarla anche soltanto per usi locali". 

Uno strumento più democratico nella lotta alla malaria

Ogni due minuti, ricorda l'Oms, un bambino muore a causa della malaria e metà della popolazione mondiale rimane a rischio di contrarre la malattia. Dal 2017 la stessa Oms ha sostenuto un gruppo di 21 paesi in lotta per l'eliminazione della malaria, attraverso un'iniziativa speciale chiamata E-2020. L'obiettivo era quello di arrivare all'annullamento dei casi in tutti i paesi che hanno aderito al progetto entro la fine dello scorso anno, ma dal report diffuso in occasione dell'ultimo World Malaria Day è emerso che solo 8 paesi sono riusciti nell'intento, più altre 3 nazioni che non facevano parte del programma. E la crisi pandemica ha reso più complessa questa battaglia provocando ritardi nei servizi di diagnosi e cura della parassitosi e interruzioni nelle misure preventive. 

"La lotta alla malaria - sottolinea il professor Crisanti - è fondamentalmente un problema di sostenibilità. L’Italia è uscita dalla malaria nel 1956, quando c’è stato l’ultimo caso di trasmissione autoctona, attraverso tre strumenti: gli insetticidi, la terapia delle persone malate e il controllo ambientale, vale a dire l’eliminazione dell’habitat di riproduzione delle zanzare. Questi tre strumenti purtroppo in Africa perdono di efficacia. Innanzitutto perché nel tempo si è sviluppata la resistenza agli insetticidi. Lo stesso è accaduto nei confronti di molti farmaci e i pochi che sono rimasti non si vuole utilizzarli per misure di contrasto perché una delle cose che succede quando si usano farmaci in grandi quantità su un elevato numero di persone è che in genere si selezionano parassiti resistenti. E per quanto riguarda tutti i processi che hanno come obiettivo quello di ridurre l’habitat di riproduzione delle zanzare di fatto non sono applicabili in Africa perché hanno dei costi enormi e hanno anche conseguenze ecologiche non trascurabili. Penso che se proponessimo di prosciugare tutte le paludi della valle del Po la popolazione del Veneto e dell’Emilia Romagna insorgerebbe perché le considera un habitat prezioso. Gli aspetti ecologici non vanno trascurati".

"In Africa - continua il docente - l’unica misura che ha avuto un impatto sono state le zanzariere perché sono poco costose e facili da applicare. Il problema fondamentale della malaria è la povertà: in un continente di un miliardo e mezzo di abitanti, in cui l’80% delle persone non ha accesso all’acqua e l’elettricità può essere un sogno, è chiaro che le misure che hanno avuto effetto per combattere la malaria in Italia poco prima degli anni ’60 non sono idonee. Quindi è nata l’idea di creare un sistema che è autosostenibile perché di fatto il gene drive non ha bisogno di nessun altro intervento, visto che questo meccanismo molecolare, una volta rilasciato, funziona da solo. Per controllare la malaria occorre uno strumento poco costoso, facile da impiegare e che sia anche democratico perché l’effetto non deve dipendere dal reddito. A volte invece si creano delle differenze sociali rilevanti che portano i ricchi ad essere protetti e i poveri ad ammalarsi. E non è questo quello che noi vogliamo".

Il gene drive sul campo: le regioni selezionate

"Pensiamo - conclude il professor Crisanti - che questa tecnologia, dal punto di vista dello sviluppo genetico e molecolare, sia giunta a maturità e ci siamo impegnati a raggiungere l’obiettivo di ottenere il permesso di rilascio entro i prossimi due anni. Abbiamo selezionato tre regioni africane e la ragione per la quale ci siamo limitati a tre è che il processo regolatorio ha bisogno di stabilità politica e di competenze scientifiche sul territorio e purtroppo non tutti i paesi africani rispondono a queste caratteristiche. Noi, per esempio, eravamo impegnati in Burkina Faso e in Mali e ci sono stati gravi rivolgimenti politici che a volte hanno messo in pericolo il nostro staff sul campo e in alcuni casi siamo stati costretti e rivedere i nostri progetti.

Alcune delle regioni che in questo momento ci sembrano più idonee sono l’Uganda e il Kenya, sperando che questi paesi possano assicurare una certa stabilità politica perché in operazioni come queste, in cui occorre trovare uno staff che sia disposto a recarsi sul posto per diverso tempo, ci sono anche problemi di sicurezza che non sono sempre facili da gestire".

 

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