CULTURA

Si può raccontare Robert Capa oltre la guerra?

È il 1938 e la rivista inglese Picture post lo definisce “il miglior fotoreporter di guerra del mondo”. Da tre anni quel "fotoreporter" ha scelto per sé un nuovo nome, trasformando Endre Ernő Friedmann, nato a Budapest il 22 ottobre 1913, in Robert Capa, una delle personalità più rilevanti della fotografia del Novecento, fondatore qualche anno più tardi, più precisamente nel 1947 (un anno dopo essere diventato cittadino americano), dell'agenzia Magnum, insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour "Chim", George Rodger e William Vandivert.

La mostra a lui dedicata, allestita al museo di Villa Bassi Rathgeb ad Abano Terme (Padova) e curata da Marco Muniz, affronta una sfida difficile: prova a raccontare Capa "oltre la guerra", presentando reportage poco noti, ritratti di gente comune, artisti e intellettuali, storie altre, lontane dai conflitti: dal progetto condiviso con lo scrittore John Steinbeck che, nel 1947, lo porta a realizzare il resoconto di viaggio Diario russo, al racconto della nascita dello Stato d'Israele (con scatti che vanno dal 1948 al 1950), facendo però iniziare il racconto per immagini da un reportage unico, speciale, realizzato nel 1939, quando Capa viene incaricato di seguire le tappe del Tour de France.

I volti del pubblico del Tour de France

Steinbeck di lui diceva: "Era in grado di fotografare il movimento, l'allegria e lo sconforto. Era in grado di fotografare il pensiero". Nelle espressioni del pubblico, nei volti eccitati di bambini in attesa di veder sfrecciare i ciclisti in gara, nella voglia di esserci, di partecipare e condividere la gioia di un grande evento risiede tutta la poesia di un progetto poco conosciuto. E forse proprio qui è custodito il senso dell'intera esposizione, perché nel racconto del Tour de France Capa trasforma la sua narrazione, la "ammorbidisce", provando davvero a superare l'orrore della guerra, pur restando, con grande consapevolezza, nello scenario di tensioni che anticipano il Secondo conflitto mondiale. Il Tour de France del 1939 appare infatti sottotono, segnato da molte assenze, con diversi campioni esclusi per motivi politici (tra questi anche Gino Bartali): partecipano solo settantanove ciclisti.

Capa si è fatto conoscere come fotoreporter di guerra, con gli scatti realizzati durante la Guerra civile spagnola, e sull'onda di quel successo viene incaricato dalla rivista Match di seguire il Tour. Utilizzando una piccola Contax da 35mm, sale su una motocicletta e segue la corsa, tappa dopo tappa. Ed eccolo il fuoriclasse: fotografa la gente, il pubblico appassionato, bada poco ai ciclisti e cerca invece gli sguardi di chi fa il tifo, di chi aspetta, di chi assiste, immortalando attimi ed emozioni. 

Non è sufficiente avere talento, devi essere anche ungherese Robert Capa

L'anima di Robert Capa e lo sguardo degli amici

Ha lo sguardo divertito e un mezzo sorriso gli attraversa costantemente il viso, svelandosi ogni volta che diventa il protagonista di scatti altrui. Si mostra così, offrendo all'obbiettivo la sua irresistibile espressione: vivace e al tempo stesso rilassata, con una mano a reggere il peso del capo. Nelle fotografie che lo ritraggono sembra sempre a suo agio, ma cosa provava davvero Robert Capa, l'essere umano prima del fotografo, che aveva attraversato, respirato, raccontato il dolore di tante guerre e il cui destino, infine, sarebbe stato segnato ancora dall'orrore del conflitto fino alla morte avvenuta nel 1954 a Thai Binh, proprio a causa dello scoppio di una mina antiuomo?

Capa ha molti amici, da Hemingway a Picasso, artisti e intellettuali che, nel tempo, provano a leggere la sua anima. L'attrice Geraldine Fitzgerald lo descrive come un uomo "estremamente amichevole [che] trasmetteva un senso di euforia interiore". Ma oltre quella vivacità, quella luce seducente, restavano le tracce oscure di esperienze che lo avevano certamente segnato, e infatti Irwin Shaw scrive: "Solo alla mattina, quando si alza barcollando dal letto, Capa davvero dimostra che la tragedia e il dolore attraverso i quali è passato hanno lasciato i segni su di lui [...] Poi si beve una birra, forte e spumeggiante, si scuote, prova a incollarsi sulla faccia il suo sorriso da pomeriggio, scopre che funziona, capisce che ancora una volta avrà la forza di arrampicarsi su per la lucente collina della giornata, si veste e si mette in cammino, con noncuranza, attentamente spensierato, verso il bar 21 o lo Scribe, il Dorchester, tutti posti ove quest'uomo senza dimora può sentirsi a casa, dove può ritrovare i suoi amici e divertirli, e dove i suoi amici sanno aiutarlo a dimenticare le amare, solitarie ore senza compagnia della notte appena passata e di quella che ha davanti".

Le storie d'amore e il mondo del cinema

Partiamo da una storia d'amore: è il giugno del 1945 quando, a Parigi, Robert Capa incontra Ingrid Bergman mentre lei è impegnata in una tournée per intrattenere le truppe alleate. Si conoscono, si innamorano e il fotografo la segue sul set di Notorious - L'amante perduta (1946) di Alfred Hitchcock e in quello di Arco di Trionfo (1948), diretto da Lewis Milestone. Una storia d'amore breve (durerà due anni) ma intensa, certamente diversa da quella che anni prima aveva legato Capa a Gerda Taro, fotografa di guerra morta a soli 27 anni travolta da un carro armato, in Spagna. Quella con Ingrid Bergman è una relazione che gli apre le porte del cinema, permettendogli di entrare in contatto con attori e registi, diventati presto anche amici, da John Huston a Humphrey Bogart.

Capa lavora sui set di Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis, dove ha una relazione con Doris Dowling, La carrozza d'oro (1952) di Jean Renoir, Moulin Rouge e Il tesoro dell'Africa di Huston, rispettivamente nel 1952 e nel 1953, e La contessa scalza, film del 1954 con Ava Gardner, con la regia di Joseph L. Mankiewicz.

Oltre le guerre?

Ci si chiede, quindi, se sia davvero possibile raccontare la vita e l'arte di Robert Capa oltre le guerre. La risposta si può forse rintracciare nella stessa mostra che contiene la riflessione nel suo titolo: il conflitto c'è, nell'uomo e nel suo racconto fotografico, e anche in questa occasione non può mancare. Viene proposto nell'intimo spazio dell'oratorio, situato nell'angolo a sud-ovest di Villa Bassi, creando un intimo ma potente dialogo tra speranza e dolore.

Le pareti della minuscola chiesa accolgono scatti dal 1943 al 1945, da Italia, Francia, Germania e, tra tutte, si fa notare l'immagine di quello che lo stesso Capa definì "l'ultimo uomo a morire nella Seconda Guerra Mondiale", un caporale americano ucciso da una pallottola sparata da un cecchino in strada. L'ultimo di innumerevoli lutti causati dalle guerre, uno scatto iconico che accompagna il più noto "miliziano colpito a morte", esposto in una piccola sala al piano superiore del museo. Si tratta dell'immagine che ancora oggi definisce maggiormente la produzione di Capa, il quale però non aveva mai nascosto il suo più grande desiderio, purtroppo mai realizzato: "Spero di rimanere disoccupato come fotografo di guerra fino alla fine della mia vita".

Se le vostre foto non sono sufficientemente buone, vuol dire che non siete andati abbastanza vicino Robert Capa

Robert Capa. Fotografie oltre la guerra

una mostra a cura di Marco Minuz

dal 15 gennaio al 05 giugno 2022

Villa Bassi Rathgeb, Abano Terme (Padova)

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