SCIENZA E RICERCA

Vaiolo delle scimmie: l'Oms eleva l'allerta e avverte: "Il vaccino da solo non basta"

Il vaiolo delle scimmie è stato dichiarato emergenza sanitaria globale da parte dell’Oms che ha così elevato l’allerta al grado più elevato possibile. La decisione è arrivata dopo che il comitato degli esperti non aveva raggiunto una posizione condivisa al riguardo ed è spettata così al direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus la scelta di sbloccare la situazione, precisando che “il rischio nel mondo è relativamente moderato a parte l'Europa dove è alto”. 

A un mese di distanza da quando il Comitato di emergenza dell’International Health Regulations convocato dall’Oms aveva convenuto che, in questa fase, il vaiolo delle scimmie non fosse da considerare una emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale, adesso è dunque arrivato un cambio di passo, giustificato dal rapido aumento dei casi a livello mondiale.

“Con gli strumenti che abbiamo in questo momento, possiamo fermare la trasmissione del vaiolo delle scimmie e tenere sotto controllo questo focolaio. È essenziale che tutti i Paesi lavorino a stretto contatto con le comunità colpite per adottare misure che proteggano la loro salute, i diritti umani e la dignità”, ha scritto Ghebreyesus su Twitter affermando anche che è necessario combattere ogni forma di stigma e discriminazione nei confronti di chi contrae la malattia. L'infezione al momento si sta diffondendo prevalentemente tra persone di sesso maschile che dichiarano di avere rapporti sessuali con altri uomini, ma c'è ancora molto da capire sulle modalità di trasmissione del virus e  le Nazioni Unite hanno messo in guardia dal rischio di rappresentazioni stereotipate.

Si cerca quindi di imparare dal passato per evitare da un lato, come accaduto con il virus dell'Hiv, che la malattia sia percepita come un rischio che riguarda una fetta specifica di popolazione e dall'altro che un atteggiamento attendista, come avvenuto con Covid-19, possa ritardare l'innesco di azioni coordinare da parte dei Paesi coinvolti.

Sotto il primo punto di vista va precisato che il vaiolo delle scimmie non è strettamente definibile come una malattia sessuale e in ogni caso, sono eventualmente i comportamenti e non gli orientamenti a esporre a maggiori probabilità di contagio. Come ricorda anche il ministero della Salute la trasmissione del virus può inoltre avvenire anche attraverso contatti stretti e prolungati "faccia a faccia" o contatti con le lesioni cutanee che si generano nei soggetti contagiati e quindi tra le persone a rischio ci sono anche gli operatori sanitari e i membri della stessa famiglia dei casi confermati). Uno studio recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine ha comunque confermato che le reti di contatti sessuali sembrano al momento la principale fonte di propagazione del contagio e nel 98% dei casi le persone che hanno contratto il virus sono risultate essere gay o bisessuali. 

Da inizio maggio, quando è stata rilevata al di fuori dei paesi africani dove è endemica, ad oggi i casi di vaiolo delle scimmie rilevati a livello globale sono ormai quasi 17 mila (con cinque morti in Africa). La maggioranza dei contagi si sta verificando in Europa che, con oltre 12 mila diagnosi, si configura come l’epicentro dell’escalation dell’epidemia.

Nelle scorse ore la commissaria europea per la Salute, Stella Kyriakides, ha fatto sapere che sta per inviare una lettera ai governi europei per "continuare a seguire da vicino la situazione" legata all'evoluzione dei casi di vaiolo delle scimmie e, in occasione dell'incontro con la stampa, il portavoce Ue Stefan De Keersmaecker ha affermato che le oltre 160 mila dosi di vaccino acquistate per gli Stati membri affinché possano rispondere all'epidemia in corso sono "in fase di consegna".

In Italia al momento le dosi arrivate sono 5.300 mila ma altre sono attese per i prossimi giorni e dopo la raccomandazione da parte dell'Agenzia europea per i medicinali (Ema) anche la Commissione Ue ha dato il via libera all'estensione del vaccino Imvane x, già autorizzato dal 2013 nell’Unione europea contro il vaiolo umano, anche per l’immunizzazione degli adulti contro il vaiolo delle scimmie.

Nel nostro Paese i casi di contagio accertati sono oltre 407 e, in un articolo sul Corriere della Sera, Gianni Rezza, epidemiologo e direttore generale della prevenzione del ministero della Salute ha spiegato che "fortunatamente, il ceppo virale che sta circolando anche da noi è simile a quello endemico in Africa occidentale e causa forme cliniche meno aggressive rispetto a quello presente in Africa centrale".

E mentre i Paesi ragionano su quale strategia adottare come profilassi post-esposizione in determinati gruppi di soggetti, l'Oms è intervenuta nelle scorse ore sul tema vaccino osservando che "da solo non basterà a fermare l'epidemia di vaiolo delle scimmie e spiegando che per fermare questo focolaio occorre "necessariamente una responsabilità congiunta, condivisa tra le istituzioni e le autorità sanitarie, i governi e le comunità colpite e gli stessi individui".

Il vaiolo delle scimmie è una malattia infettiva zoonotica, provocata dal virus Monkeypox (MPXV) e identificato per la prima volta nel 1958 in Danimarca, a Copenaghen, in una struttura che veniva rifornita di scimmie asiatiche per la ricerca sul vaccino antipolio. Si tratta di un virus della stessa famiglia del vaiolo bovino e del vaiolo umano (Poxviridae) ma si differenzia da quest'ultimo per la minore trasmissibilità e gravità della malattia che provoca. A dispetto del nome, ad oggi si ritiene che le scimmie non siano i principali diffusori della malattia e si sospetta che i principali responsabili della trasmissione siano i roditori e per questo motivo il commissario alla salute di New York (dove nelle ultime ore i casi confermati di monkeypox sono arrivati a quota mille) ha chiesto all'Oms di cambiare la denominazione del patogeno perché "discriminatoria e razzista".

Il virus è stato identificato per la prima volta come patogeno umano nel 1970 quando è stato isolato in un bambino di nove mesi nella Repubblica Democratica del Congo. Dal momento della sua scoperta il vaiolo delle scimmie ha cominciato a circolare in diverse nazioni dell’Africa centrale e occidentale con due clade geneticamente distinti: il primo, diffuso soprattutto nel bacino del Congo, tende ad evolvere in quadri clinici più gravi, mentre il secondo (che, come detto, è lo stesso che sta circolando al momento in Europa) è associato a una malattia più lieve. In alcune aree del continente africano il virus Monkeypox è endemico e la trasmissione avviene principalmente attraverso il contatto con animali selvatici. Fino all'esplosione dei focolai europei il vaiolo delle scimmie era stato isolato al di fuori del continente africano solo in casi sporadici, collegati a viaggi internazionali o movimentazione di animali. 

Come spiega l'Istituto superiore di sanità, nell'uomo la malattia si presenta con febbre, dolori muscolari, cefalea, rigonfiamento dei linfonodi e stanchezza. Sintomi parainfluenzali a cui in seguito si aggiungono manifestazioni cutanee quali vescicole, pustole, piccole croste. Sono proprio queste lesioni, dove si concentra la maggior quantità di virus, a rappresentare un significativo veicolo di contagio in caso di contatto. La trasmissione può avvenire anche attraverso tramite droplets (goccioline), ma come ha precisato il professor Vincenzo Baldo, direttore dell’unità operativa complessa di Medicina preventiva e valutazione del rischio dell’Azienda ospedale - università di Padova in un'intervista al nostro giornale, "devono essere di grandi dimensioni, e ciò implica la necessità di essere molto vicini al soggetto infetto". Il contagio per via aerea non avviene quindi attraverso la semplice vicinanza ma richiede un contatto stretto e prolungato. 

Il patogeno che provoca il vaiolo delle scimmie è un virus a DNA, caratterizzato da una velocità di mutazione molto inferiore rispetto a quella che tipicamente associata ai virus a RNA (come SARS-Cov-2). Tuttavia la rapidità con cui l'infezione si è propagata in Europa a partire dal mese di maggio ha portato la comunità scientifica a domandarsi se fosse emersa una variante più contagiosa. Finora gli esperti avevano parlato di uno sviluppo piuttosto lento per il patogeno, specie se confrontato con velocità di mutazione del coronavirus di Covid-19, ma secondo uno studio portoghese pubblicato su Nature Medicine il patogeno presenta oggi circa 50 differenze nel genotipo rispetto ai virus correlati isolati nel 2018 e nel 2019. Si tratta di un dato 6-12 volte superiore rispetto a quello che ci si sarebbe aspettato per questo tipo di virus sulla base di stime precedenti. Gli studiosi portoghesi sospettano che all'origine dei nuovi focolai di vaiolo delle scimmie ci siano uno o più ingressi da un Paese in cui il Monkeypox virus circola in modo persistente, con 'super diffusori' e viaggi internazionali che possono avere alimentato una ulteriore escalation dei contagi. Gli autori ipotizzano che nell'indurre questi cambiamenti del genoma virale possano avere giocato un ruolo anche enzimi del sistema immunitario umano. I ricercatori precisano comunque che non ci sono al momento evidenze sulla possibilità che le mutazioni stiano favorendo la diffusione del Monkeypox virus, ma che non è nemmeno possibile escluderlo. Un altro fattore che potrebbe concorrere all'attuale circolazione del patogeno, ha sottolineato  l'immunologa Antonella Viola, è il calo dell’immunità a livello della popolazione mondiale dovuto al fatto che dopo l'eradicazione del vaiolo umano le vaccinazioni non sono più state seguite. 

Di diffusione "inattesa e preoccupante" ha parlato di recente anche la virologa Ilaria Capua, direttrice dell'One Health Center of Excellence dell'Università della Florida, spiegando che "è urgente intervenire, perché non andrà via da solo e i casi continuano a crescere" e aggiungendo che un'ulteriore fonte di rischio è rappresentata dal fatto che "potremmo avere a breve serbatoi di vaiolo della scimmia anche fra i roditori europei".

Il rischio paventato da Roberta Capua è di fatto lo stesso su cui si erano soffermati circa un mese alcuni scienziati in un approfondimento pubblicato sulla rivista Science in cui emergeva apprensione davanti all'evenienza che possano stabilirsi serbatoi di vaiolo delle scimmie negli animali selvatici al di fuori dell’Africa. E qualche giorno fa, sempre sulle pagine di Science, un articolo firmato da Michael T. Osterholm, direttore del Centro per le malattie infettive dell’università del Minnesota e da Bruce Gellin, capo del Centro di strategie di salute pubblica della Rockefeller Foundation, ha fatto il punto della situazione dell'andamento dei contagi di vaiolo delle scimmie sostenendo che "a meno che il mondo non sviluppi ed esegua un piano internazionale per contenere l’attuale epidemia, sarà un’altra malattia infettiva emergente che rimpiangeremo di non aver tenuto a freno”. 

Insomma, sebbene ci siano valide ragioni per escludere che il virus Monkeypox abbia caratteristiche tali da assurgere a prossima pandemia è altrettanto vero che è meglio farsi trovare preparati perché una tale escalation di casi non ha precedenti e le misure di contenimento vanno prese prima che sia troppo tardi. 

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012