SCIENZA E RICERCA

Un viaggio nella new space economy

“Ho ricevuto svariate volte telefonate dagli astronauti sulla Stazione spaziale. Un saluto, una conferma, una informazione. Ma non avevo mai ricevuto un messaggio da una cometa, come una telefonata senza prefisso, una telefonata che non posso restituire. Se Philae non fosse un robot, penserei che abbia freddo o che abbia paura, avendo capito che non tornerà più a casa”. Il riferimento è alla missione Rosetta e all’atterraggio del lander sulla 67P/Churyumov Gerasimenko nel racconto, appassionato, che ne fa Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) dal 2014 al 2018. Nel suo ultimo libro dal titolo Fare spazio. I miei anni all'Agenzia Spaziale Italiana, data alle stampe quest’anno da La nave di Teseo, Battiston – che interverrà al Cicap fest sabato 14 settembre - accompagna il lettore all’interno del mondo dello spazio italiano. Lo fa partendo dagli inizi, ricordando la nascita dell’Asi, le missioni spaziali, le relazioni nazionali e internazionali, le ricadute economiche di un’attività di questo tipo.

L’Italia – dichiara a Il Bo Live – ha una tradizione che si radica negli anni del dopoguerra. Negli anni Sessanta grazie all’intraprendenza del generale Broglio il nostro Paese si trovò a essere il terzo paese, dopo Unione Sovietica e Stati Uniti, a gestire autonomamente il lancio e la messa in orbita di satelliti spaziali. Grazie a questa straordinaria intuizione e tradizione, nei decenni seguenti l’Italia ha continuato a sviluppare il segmento della ricerca, dell’industria e poi anche delle applicazioni e ha creato l’Agenzia spaziale italiana. Questa continuità di azioni e di interventi, l’avere realizzato un’Agenzia dedicata al settore e aver sostenuto nel corso degli anni, sia pure con alti e bassi, investimenti in questo campo è qualcosa che ha lasciato traccia”. L’Italia è stato uno dei Paesi fondatori dell’Agenzia spaziale europea, è il terzo contributore per i programmi di maggior importanza e a livello mondiale si colloca, in sesta, settima posizione, tra i Paesi che investono a livello istituzionale nello spazio risorse importanti. La filiera va dalla grande alle piccole e medie imprese fino alle startup, passando naturalmente per il mondo dell’università e degli enti di ricerca.

Philae tocca la superficie ghiacciata della cometa 67P/Churyomov-Gerasimenko. Video Asi

“Chiaramente – continua – un elemento cruciale è la continuità dell’azione (cosa che non è accaduta nell’ultimo periodo) e la capacità di salvaguardare obiettivi di medio e lungo termine. In questo senso le posizioni che l’Italia ha ottenuto e sta presidiando non si possono considerare raggiunte per sempre. Altri Paesi si stanno avvicinando allo spazio, stanno assumendo un ruolo importante rispetto a 10-15 anni fa: la Cina ha un ruolo determinante, ma anche l’India è estremamente attiva e molti altri Stati e perfino gli Emirati Arabi si sono attrezzati con una propria Agenzia Spaziale”.

Non vanno trascurate del resto le ricadute tecnologiche ed economiche che l’attività spaziale ha sempre avuto. Negli ultimi anni si parla in particolare di new space economy. Il riferimento evidente, spiega Battiston, è a ciò che è avvenuto negli anni 2000 con la new economy: allora è nato ed esploso il digitale, il world wide web, la capacità di offrire servizi grazie a una rete che trasporta informazione e prodotti software che trasformano quell’informazione in un servizio. Con poco sforzo si possono raggiungere uno o un milione di utenti e il valore economico si moltiplica. La new economy è il dominio del servizio e del dato rispetto al manifatturiero. “Se a ciò si aggiunge l’informazione che proviene dallo spazio, si ottiene una ricchezza di informazioni insospettabile il cui sfruttamento porterà a dei vantaggi confrontabili per rapidità di sviluppo, per contenuti e per valori economici a quello che è stata la grande rivoluzione di internet”.

Il fatturato complessivo dell’industria spaziale nel 2016 era di circa 330 miliardi di dollari a livello mondiale. Quello che ci si aspetta è che nei prossimi anni questa cifra aumenti rapidamente proprio grazie alle migliaia di diverse possibili applicazioni dei dati raccolti nello spazio, con ritorni economici di assoluto interesse.

L’introduzione di tecnologie nanosatellitari ha consentito progressi notevoli in questo senso. Fino al 2010 un singolo satellite anche molto potente poteva fotografare la stessa casa o la stessa strada solamente una volta alla settimana o ogni dieci giorni. L’immagine satellitare era scarsa come quantità di immagini, a meno che non si fosse disponibili a pagare e concentrare il tempo di osservazione del satellite su un punto particolare, sacrificando il resto.

Da alcuni anni a questa parte sono stati messi in orbita delle costellazioni di oltre un centinaio di nanosatelliti che producono immagini meno precise, ma che possono osservare complessivamente tutta la Terra una volta al giorno ovunque. “Questo è di un’importanza assoluta – spiega Battiston –, perché ora in qualsiasi luogo, ogni giorno, si ha la certezza di avere un’informazione aggiornata e si possono osservare, in modo sicuro e garantito, dei processi che avvengono su scala quotidiana: dalla misura delle riserve idriche, alle riserve degli idrocarburi e delle raffinerie, al consumo di potenza istantanea delle centrali termoelettriche, al traffico nei porti, nei parcheggi, sulle autostrade”. Ma non solo. I nanosatelliti forniscono dati precisi, ad esempio, anche sulle caratteristiche del raccolto, su possibili complicazioni meteorologiche, sulla produttività del terreno, contribuendo a ottimizzare la produzione in agricoltura. E ancora, i dati satellitari permettono di monitorare l’avanzamento della desertificazione, gli incendi, il livello del mare, migliorando in questo modo la comprensione dei cambiamenti climatici e favorendo politiche di mitigazione più efficaci.

A dare il proprio contributo in questo campo è stato lo stesso Battiston. “Quando si ricopre il ruolo di presidente dell’Asi si possono avere due tipi di soddisfazione. Innanzitutto partecipare ai grandi risultati di iniziative o missioni iniziate anni prima della nomina. Personalmente mi ha dato un’enorme soddisfazione rappresentare l’Italia nel corso della missione Rosetta, sapendo che sulla cometa c’era anche strumentazione realizzata nel nostro Paese. Ciò, sebbene il merito non fosse mio. Viceversa, però, c’è anche la possibilità di lanciare nuovi progetti che daranno i propri frutti a distanza di anni. Tra questi, mi ha particolarmente motivato lanciare il programma industriale sui piccoli satelliti di alta tecnologia, contribuire a portare la nostra industria a quell’autonomia nel settore dei nanosatelliti che le permetterà di essere molto competitiva nello sviluppo delle grandi costellazioni satellitari: si parla anche di 10.000 piccoli satelliti per applicazioni futuristiche, che potrebbero essere operative tra pochi anni nel settore delle telecomunicazioni o dell’osservazione dettagliatissima della Terra. Questo è un progetto che ricordo con molto piacere perché sta già dando i primi frutti”.

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