UNIVERSITÀ E SCUOLA

Non saranno i social network a seppellire l’italiano

Si è affermato sul latino e le lingue locali, si è diffuso grazie soprattutto alla poesia e ai grandi scrittori, è passato attraverso l’unificazione politica del Paese e due conflitti mondiali. Oggi l’italiano, nell’era del digitale, si confronta con vecchi e nuovi problemi, risorse innovative – come strumenti digitali e social  network -, linguaggi e forme di comunicazione diverse e nuovi fenomeni sociali. Con quali risultati? Lo abbiamo chiesto al linguista Michele Cortelazzo, docente all’università di Padova. 

Nell’Italia del digitale, è cambiato il modo di rappresentare la realtà. Quindi anche quello di esprimersi?

Nell’evoluzione di una lingua, possono esistere anche piccoli cambiamenti di breve periodo (è il fenomeno che va sotto il nome di microdiacronia); ma le lingue cambiano secondo cicli molto lenti e molto lunghi, che superano la durata della vita umana; ed anche i cambiamenti dell’uso, che sono più veloci, non sono però così immediati, in un rapporto istantaneo stimolo-risposta.

Mi spiego meglio. È indubbio che oggi la lingua italiana sia in movimento (ma lo diciamo, con questa parola, già dai primi anni Ottanta), a volte anche in rapido movimento. Ma non è altro che l’effetto della rivoluzione messa in moto dall’unificazione nazionale (come ha mostrato benissimo Tullio De Mauro nel suo capolavoro, la Storia linguistica dell’Italia unita), che poi è avanzata lentamente nel corso degli ultimi 150 anni. Questo processo è stato favorito principalmente da due fenomeni extralinguistici: il progressivo allargamento dell’istruzione e il graduale ampliamento della mobilità interna, e quindi del mescolamento tra italiani di diversa provenienza regionale. Questo ha comportato uno straordinario ampliamento della base dei parlanti italiano (dal 10% circa degli abitanti al momento dell’Unità al quasi 100% di oggi), un allargamento dei domini di utilizzo dell’italiano (con l’acquisizione da parte dell’italiano di settori prima preclusi, come quelli legati alla spontaneità e agli affetti), il cambiamento di gerarchia tra scritto e parlato (con il raggiungimento della normalità da parte dell’italiano, che finalmente nell'ultimo secolo è giunto a essere lingua primariamente parlata, come è normale per le lingue vive, e non più primariamente scritta).

Tutto questo ha comportato anche dei cambiamenti interni alla grammatica e al lessico italiani: diventando lingua parlata e lingua degli affetti, l’italiano ha liberato quei lieviti che erano stati ibernati dalla codificazione, normativa e letteraria, del Cinquecento. Sono del parere che questo processo sia giunto a maturazione negli anni Settanta del secolo scorso, dopo la grande rivoluzione del costume della fine degli anni Sessanta. L’ulteriore evoluzione di questi anni, aiutata dai nuovi mezzi di comunicazione (così come quella maturata negli anni Settanta era stata aiutata, ma non promossa, dalla televisione), mi pare marginale rispetto al processo di lungo periodo che ho descritto: si inserisce in esso, magari ne velocizza l’evoluzione, ma non è una storia nuova e discontinua rispetto all'immediato passato.

Quanto i social network, i nuovi strumenti digitali e il rapido sviluppo dei mezzi di comunicazione hanno trasformato l'uso della grammatica e del linguaggio?

L’evoluzione dei mezzi di comunicazione è così rapida oggi, da non permettere ad essi di influire profondamente sul mutamento linguistico, né per quel che riguarda il più profondo mutamento di grammatica e anche di lessico, né nel più veloce mutamento degli usi. Pensiamo a quanto rapidamente sono mutati negli ultimi decenni, per effetto dell’evoluzione tecnologica, i rapporti tra scritto e parlato come mezzo per la comunicazione a distanza. Fino agli anni Ottanta sembrava proprio che l’unico mezzo per interagire rapidamente a distanza fosse l’oralità trasmessa (tipicamente quella permessa dal telefono, che aveva ormai soppiantato la lunga tradizione di comunicazione informale scritta, rappresentata dalle lettere familiari). Poi, il fax prima, internet (con la mail e le chat) dopo, i social dopo ancora, hanno riportato in primo piano la scrittura (sia pure una scrittura fortemente debitrice del parlato, anche nei suoi aspetti di immediatezza di reazione e di trascuratezza formale). Ora sta chiaramente riprendendo piede l’oralità, con l’uso sempre maggiore di video anche per rappresentare fatti privati (la forma più tipica mi pare quella costituita dalle dirette in Facebook), ma anche la ripresa dei messaggi sonori, al posto dei brevi messaggi di testo (penso ai messaggi vocali di Whatsapp).

Non credo, quindi, che social network e strumenti simili siano dei potenti modificatori della lingua italiana. Certamente, poiché le esigenze comunicative dei social sono coerenti con le caratteristiche del mutamento dell’uso della lingua italiana nell'ultimo secolo, possono essere dei fattori di accelerazione e di potenziamento di qualche innovazione in corso. Ma attenzione: i social danno spazio anche ai conservatori, a chi, in nome della lealtà linguistica tipica di tutte le comunità parlanti, dà il suo contributo per frenare l’evoluzione, a chi, insomma, si dà da fare per garantire un passaggio comunicativamente morbido da una generazione all'altra. Nei social si riproduce quello che nella storia si è sempre prodotto nella società, un mix di innovazione e conservazione che trova, di momento in momento, un punto di equilibrio. Certo, oggi il processo è più rapido; ma proprio perché più rapido, ha meno possibilità di sedimentarsi.

Si dice che il mezzo modifica il messaggio. È stato così per la scrittura, per la stampa e le altre forme di comunicazione. Cosa ha perso, o rischia di perdere e cosa invece ha guadagnato la nostra lingua nell’era dei tweet da 140 caratteri?

Si poteva pensare che il limite dei 160 caratteri degli sms e dei 140 dei tweet avrebbe favorito una comunicazione sintetica (al limite della ipersemplificazione). In realtà, presto si è dovuti ricorrere agli sms concatenati, poi hanno ripreso forza le chat (quella di Facebook, per esempio), o mezzi privi di limiti, come Whatsapp. È rimasta una comunicazione rapida, non tanto per le caratteristiche tecnologiche del mezzo, ma perché riprende i caratteri di certa comunicazione orale, immediata, fatta di ‘sì, no, subito, arrivo’; ma poi nei social, come Facebook, proliferano i messaggi fiume, mentre Twitter non è decollato.

Parlando del fenomeno delle migrazioni. Come cambia, se cambia, la lingua quando si mescola con lingue, dialetti e culture così diverse tra loro?

Le lingue che giungono in Italia difficilmente influenzeranno l’italiano, per due motivi: da una parte la dispersione e la marginalità internazionale di molte delle lingue parlate dagli immigrati, dall'altra il fatto che rispetto ad esse è l’italiano (e in certe comunità linguistiche lo stesso dialetto) ad essere la lingua di prestigio. Certo, possiamo recuperare da quelle lingue dei prestiti lessicali (tipo kebab), ma nulla di più. Semmai, nell'incontro tra lingue, l'italiano è in debito, e spesso in affanno (con rincorse provinciali anche nel mondo universitario), rispetto all'inglese, che in questo momento è la lingua di maggior prestigio comunicativo internazionale (ma chissà cosa ci attende nel futuro).

I cambiamenti in atto fanno bene allo sviluppo di una lingua?

La lingua è fatta di evoluzione e di ricerca via via di un equilibrio: succede anche oggi all’italiano e l’italiano dei prossimi dieci o vent’anni non sarà né migliore né peggiore delle fasi precedenti; avrà dei punti di forza e dei punti di debolezza, né più né meno dell’italiano di oggi e di ieri (semplicemente saranno punti di forza e di debolezza diversi).

Francesca Forzan

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