CULTURA

Non solo poesia: il Leopardi “scienziato”

Nella sua biblioteca, notoriamente ricchissima, c’erano anche libri di chimica, astronomia, matematica, fisica. E non mancavano le frequentazioni con alcuni degli scienziati di primo piano di inizio Ottocento. Il suo nome rimanda solitamente ad alcune delle opere più celebri della letteratura italiana, ma Giacomo Leopardi fu a pieno titolo anche un “filosofo naturale”, sia per le sue competenze scientifiche che per l’originalità del suo pensiero. E proprio nell’approfondita conoscenza della natura va cercato il senso più profondo della sua filosofia morale.

Nel suo ultimo libro, Io sono quella che tu fuggi. Leopardi e la Natura (Edizioni di storia e letteratura 2015), Gaspare Polizzi illustra “la ricchezza della concezione leopardiana della natura e la presenza in essa di una trama di conoscenze scientifiche, significativa rispetto al sapere del tempo e talmente efficace da indirizzare non solo tante riflessioni sulla natura disseminate nello Zibaldone, ma anche la filosofia della natura che emerge dalle Operette morali… e che traspare… nei Canti e negli altri componimenti poetici”. L’autore articola il suo argomentare in otto capitoli dedicati ad altrettanti ambiti del sapere scientifico: dall’astronomia alla fisica, dalla chimica alla matematica fino alla biologia, dalla tecnologia alla storia della scienza all’antropologia. E fa continui rimandi alla produzione poetica di Leopardi che di queste conoscenze, e del loro evolversi, si nutre.

Ad affascinare il poeta in modo particolare era l’astronomia. A sei anni aveva assistito a un’eclissi solare e a 13 al passaggio di una cometa, fenomeni che allora incutevano timore nei popolani di Recanati ma non nel giovane Leopardi già avvezzo ai libri di astronomia della biblioteca di famiglia. Sempre a 13 anni, era il 1811, scriveva il suo primo lavoro sull’argomento, la Dissertazione sopra l’astronomia. Due anni dopo era la volta di una più poderosa Storia della astronomia, pubblicata solo nel 1880. La sua attenzione ruotava intorno ai nomi di Isaac Newton, Niccolò Copernico e Galileo Galilei. Se da un lato però abbracciava completamente il nuovo sistema newtoniano, riconoscendo allo scienziato il merito di aver fatto nascere l’astronomia fisica, maggior cautela riservava almeno all’inizio alle teorie di Copernico e Galileo, per la rigida adesione alla religione cattolica impartita dal padre Monaldo. Solo in seguito, nell’opera più matura, riconobbe al primo il coraggio di aver sfidato il sistema geocentrico allora imperante e vide nel secondo un modello di stile e di pensiero. Il rapporto con Galileo, tuttavia, rimase nel tempo sempre ambivalente. Aderiva alle sue idee e insieme, per certi versi, se ne distanziava. Si prenda la matematica, spiega Polizzi. Il linguaggio matematico costituiva per Galileo uno strumento necessario per lo studio della natura. Leopardi lo considerava invece un linguaggio convenzionale, una verità di ragione e non di fatto, che ben poco aveva a che fare con la variabilità della natura. Va detto che la matematica non fu mai centrale nella formazione del poeta e scarso era anche l’interesse nei confronti di questa disciplina.

Cosa diversa per la chimica. Negli scaffali della sua biblioteca trovavano posto, tra gli altri, il Trattato elementare di chimica del 1791 di Antoine-Laurent de Lavoisier, gli Elementidi chimica di Luigi Valentino Brugnatelli, ma anche opere di taglio divulgativo allora in voga come la Chimica delle donne di Giuseppe Compagnoni. Il poeta studiava la chimica dei fluidi, i processi di ossidazione, partecipava al dibattito sui problemi relativi alle dimensioni, alla penetrabilità e divisibilità della materia. Frequentava chimici di primo piano dell’epoca, come Domenico Paoli, amico di famiglia, Francesco Orioli e Gaetano Cioni. Paoli  favorì i contatti del poeta con l’ambiente accademico pisano e con il Gabinetto scientifico-letterario di Giovan Pietro Vieusseuxa Firenze. Qui conobbe Cioni a cui lo univa la passione per la letteratura, oltre a quella per la chimica.

Ancora, lo appassionavano l’idrostatica e l’idrodinamica, due campi della fisica che estendevano il modello newtoniano ai fluidi. E lo coinvolgevano gli aspetti sperimentali: nel piccolo laboratorio di casa Leopardi erano presenti due campane pneumatiche e due sfere di Magdeburgo in miniatura. Il poeta riconosceva il sistema newtoniano come “l’espressione più completa della interpretazione fisica della natura”, sottolinea Polizzi nel suo volume. Ma, gradualmente, cominciò a riconoscerne anche i limiti: essendo considerato un “punto di arrivo” per la scienza moderna, il modello di Newton rappresentava un ostacolo al progredire della conoscenza. “I fisici moderni – scriveva nello Zibaldone – si sono contentati e contentansi di questo sistema, servendosene in quanto ipotesi opportuna e comoda nelle parti e occasioni de’ loro studi che hanno bisogno, o alle quali è utile una ipotesi”. E non pensavano a soluzioni alternative.

Pur non possedendo, poi, una vera e propria “wunderkammer”, una camera delle meraviglie, Leopardi manifestava interesse per gli oggetti curiosi, realizzati con tecniche complicate, e per la “tecnologia” in genere. Dunque per gli “artificialia” e i “mirabilia”. A casa conservava, tra gli altri, una sirena di Cagniard de la Tour, una suoneria meccanica, un igroscopio a pupazzo, un microscopio solare.

Via via Polizzi si sofferma sui tratti salienti del pensiero leopardiano e sul loro evolversi. Tra le righe affiorano i concetti di “immaginazione creativa”, capace di cogliere aspetti della natura come nessuna scienza poteva fare. Emerge il carattere di casualità del progresso scientifico, o ancora la graduale denuncia della sua inconsistenza e falsità. Fino alle estreme conseguenze: Lla conoscenza scientifica non è soltanto incapace di andare al fondo della realtà naturale; essa, in aggiunta, è ‘innaturale’ proprio perché tende a superare la naturale ignoranza necessaria alla felicità delle cose”. Un concetto, quello cui approda Leopardi, ben noto.

Monica Panetto

 

 

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