CULTURA

Robert Capa, fotografare la guerra da vicino

“Sapeva di non poter fotografare la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino, mostrando l’orrore di un intero popolo attraverso un bambino”, John Steinbeck descriveva così la potenza fotografica di Robert Capa (Budapest 1913 – Thai Binh 1954), il suo intenso rapporto con i conflitti e quella sua capacità unica di fissare in uno scatto il dolore e lo smarrimento dell’essere umano di fronte alla devastazione della guerra. “Se le tue fotografie non sono buone, vuole dire che non sei abbastanza vicino”, diceva Capa stesso, racchiudendo in poche parole il senso profondo del fotogiornalismo, quel bisogno di stare addosso agli eventi e, se necessario, dentro la sofferenza.

A settant’anni dalla fondazione di Magnum Photos*, la mostra Robert Capa Retrospective - al Museo Civico di Bassano del Grappa, fino al 22 gennaio 2018 - raccoglie 97 fotografie in bianco e nero scattate tra il 1936 e il 1954. L’allestimento racconta i maggiori conflitti del ventesimo secolo, articolandosi in diverse sezioni: Copenhagen 1932, Francia 1936-1939, Spagna 10936-1939, Cina 1938, Seconda guerra mondiale 1939-1945 (Gran Bretagna, Italia e Nord Africa 1941), Francia 1944, Germania 1945, Europa orientale 1947-1949, Israele 1948-1950, Indocina 1954. Una conclusione forzata perché proprio in Indocina, il 25 maggio 1954, calpestando una mina anti-uomo, Robert Capa perse la vita. “La raccapricciante tendenza della guerra moderna è la disumanizzazione - scrive Richard Whelan, biografo di Capa – La sua strategia era di rendere la guerra di nuovo un fatto personale tramite primi piani di gesti individuali ed espressioni del volto […] In fin dei conti il grande impatto della fotografia di Capa deriva dalla sua personalità”.

 

La fotografia rappresentava per lui “la possibilità di esprimere idee e opinioni sul mondo – spiega il curatore della mostra, Denis Curti -, di determinare un punto di vista preciso, spesso schierato e parziale, ma sempre chiaro e riconoscibile. La celebre foto Il miliziano colpito a morte è entrata nella memoria collettiva come l’icona della Guerra civile spagnola. Per anni si è scritto che Capa avesse costruito questa immagine, ai fini della propaganda antifranchista, facendo recitare a un anonimo combattente repubblicano il ruolo del soldato che muore, in un angolo dell’Andalusia”. Oggi sappiamo che quella foto fissa davvero l’attimo della morte dell’operaio tessile Federico Borrell Garcìa, detto Taino, appartenente alla Juventudes Libertarias, affiliata alla Cnt, ucciso nel 1936, all’età di 24 anni, da una pallottola franchista sulla collina di Las Malaguenas, presso Cerro Muriano (Whelan riporta un diversa versione: il miliziano sarebbe stato ucciso da fuoco amico durante un’esercitazione).

C’è un filo rosso che attraversa l’intero lavoro di Capa, Whelan lo definisce “il trionfo del coraggio dell’uomo sulle più terribili avversità”. Trotsky sul palcoscenico sbatte i pugni, infuriandosi per le condizioni dell’Unione Sovietica, durante una conferenza blindatissima davanti a un pubblico di studenti universitari allo stadio di Copenhagen, il 27 novembre del 1932. Poco più in là, ecco i volti delle madri napoletane in lutto, al funerale di venti ragazzi morti nel tentativo di combattere i tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. E ancora, le truppe americane vengono immortalate sulla costa della Normandia il 6 giugno 1944. È la cronaca del D-Day e la storia di questi scatti merita di essere raccontata: tutti i negativi di questa serie, eccetto undici, vennero rovinati da un tecnico di Life che aveva impostato l’asciugatrice a una temperatura eccessiva (così la raccontò Capa), la rivista pubblicò gli scatti con una didascalia che scaricava la responsabilità, spiegando come “l’immensa eccitazione del momento avesse impedito a Capa di tenere salda la macchina fotografica, facendo sì che le foto fossero sfocate”.

Spostando lo sguardo, lentamente, da un’immagine all’altra, riusciamo a entrare nella vita degli esseri umani che Capa aveva fotografato da vicino, incontriamo le loro emozioni, la loro fame di vita e insieme la loro profonda sofferenza. Gli scatti attraversano il tempo e lo spazio, proponendo un viaggio che dalle miserie legate alle guerre raggiunge la leggerezza poetica dei ritratti degli amici artisti di cui Capa amava circondarsi, regalando un nuovo respiro, da Ernest Hemingway a John Steinbeck, da Ingrid Bergman a Truman Capote, da Henri Matisse a Pablo Picasso.

Francesca Boccaletto

 

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