SCIENZA E RICERCA

Sei creativo? Allora il tuo cervello è più connesso

C’è chi crede che usiamo solo il 10% del nostro cervello, che i bambini siano meno attenti dopo aver consumato spuntini dolci o, ancora, che il cervello “si restringa” se si bevono meno di sei bicchieri di acqua al giorno. Si tratta in realtà di falsi miti, di neuromyths per usare un termine di Paul Howard-Jones, che la scienza ormai ha sfatato. Una ulteriore smentita arriva ora da uno studio condotto da Daniele Durante statistico dell’università di Padova e David Dunson della Duke University: stando ai risultati raggiunti le persone molto creative hanno una più elevata connettività cerebrale tra emisfero destro ed emisfero sinistro. Questo, una volta ancora, ridimensiona la teoria secondo cui il cervello avrebbe una parte dominante, con un emisfero sinistro deputato al pensiero logico-razionale e un emisfero destro a quello creativo.

Professor Durante, ci spiega brevemente come è stata condotta la ricerca?

I dati che abbiamo analizzato si riferiscono a uno studio condotto dal professor Rex Jung, un neuroscienziato dell’università del New Mexico che si interessa alla relazione tra la funzionalità e struttura cerebrale e gli aspetti dell’individuo principalmente legati alla personalità (ad esempio intelligenza, creatività, attitudini).

Lo studio ha avuto come obiettivo quello di comprendere se vi sia una relazione tra la creatività dell’individuo e la sua struttura cerebrale, con particolare riferimento alla connettività strutturale tra le diverse regioni anatomiche del cervello. Lo studio è stato condotto su un campione di giovani adulti senza storia pregressa di disordini cerebrali. Per ognuno di questi soggetti sono state raccolte informazioni sulla loro connettività cerebrale e sulla loro creatività.

La connettività cerebrale è stata misurata tramite Diffusion Tensor Imaging, una tecnica di risonanza in cui viene mappata la diffusione delle molecole d’acqua nei tessuti cerebrali: studiandone la direzionalità è possibile ricostruire i fasci di fibre nervose che connettono le varie regioni del cervello. Questo quindi diventa un dato di rete strutturale che ci permette di sapere, per ogni coppia di regioni del cervello, se queste sono connesse o meno da fasci di fibre nervose.

La misura di creatività invece è stata ottenuta tramite un Composite Creativity Index (CCI), in sostanza un indicatore che riassume aspetti legati al “divergent thinking”. Noi abbiamo confrontato la rete cerebrale dei soggetti con un valore del CCI maggiore dell’85% percentile (alta creatività), con quelli che invece avevano un CCI minore del 15% percentile (bassa creatività). Nel nostro campione avevamo 17 soggetti nel gruppo a bassa creatività e 19 in quello ad alta creatività.

Lei è uno statistico: qual è stato il suo contributo?

Il mio compito, insieme a David Dunson della Duke University, è stato quello di sviluppare nuove metodologie e modelli statistici per l’analisi di questo tipo di dati, per valutare se esistano variazioni statisticamente significative nella connettività cerebrale tra persone a bassa e alta creatività. In pratica si tratta di sviluppare metodi statistici per trasformare l’informazione in conoscenza, quando (come in questo studio) l’informazione contenuta nei dati di connettività è particolarmente complessa e contiene anche una componente di variabilità che è fondamentale quantificare.

Si possono avere moltissimi dati complessi, ma senza adeguati e aggiornati strumenti statistici, c’è il rischio di produrre conclusioni errate o di non produrne affatto. Ad esempio, molte tecniche statistiche attualmente usate nelle neuroscienze riducono il complesso dato di connettività a misure riassuntive prima della parte di inferenza o di modellazione. Questo riduce di molto l’informazione contenuta nel dato di partenza e di riflesso limita le possibilità di conoscenza. Il mio obiettivo è stato quello di sviluppare dei metodi di analisi che fossero più generali, flessibili, e capaci di sfruttare tutta l’informazione contenuta nei dati di connettività cerebrale.

Lo studio sembra smentire il mito secondo cui l'emisfero sinistro è deputato al pensiero logico-razionale e il destro a quello creativo. Cosa ne pensa?

Corretto. Sulla base dei risultati della nostra analisi abbiamo trovato che soggetti ad alta creatività hanno maggior probabilità di connettere regioni appartenenti a emisferi diversi (principalmente nel lobo frontale), mentre all’interno dello stesso emisfero non abbiamo individuato variazioni significative nella connettività cerebrale tra i due gruppi di soggetti. Questo di fatto smentisce la teoria secondo cui l'emisfero sinistro è deputato al pensiero logico-razionale e il destro a quello creativo. Non credo siamo i primi a confutare questa teoria, ed esistono altri studi con simili risultati basati su altre tipologie di imaging e su altre misure di creatività. Ad esempio un recente e curioso studio sulla struttura anatomica del cervello di Einstein ha mostrato che il suo corpo calloso, che riveste un ruolo centrale nella comunicazione tra i due emisferi, era notevolmente più spesso e sviluppato di quello della popolazione. Questo di fatto è in linea con i nostri risultati e, da statistico e da ricercatore, ritengo sia importante continuare gli studi in questa direzione per confermare o confutare quanto ottenuto fino ad ora.

Alcuni studi sostengono che sia possibile "potenziare" la connettività  cerebrale. È d'accordo? In caso affermativo, in che modo e con quali risultati?

Un famoso statistico, John Tukey, diceva: “La cosa migliore di essere statistici è che ci viene concesso di giocare nel giardino di chiunque”, e io aggiungerei che tuttavia è anche importante conoscere con chi stiamo giocando. Da statistico avevo chiaramente tutte le informazioni per poter “giocare” saggiamente con le reti di connettività cerebrale e ideare delle tecniche statistiche che le potessero studiare in modo accurato, ma chiaramente non possiedo tutto il bagaglio di conoscenza che ha un neuroscienziato. Con gli amici al bar forse risponderei che, in base ai nostri risultati, potenziare la connettività cerebrale tra i due emisferi potrebbe portare a dei miglioramenti nella creatività. Tuttavia a un seminario direi invece che una risposta mirata a questa domanda richiederebbe l’opinione di un neuroscienziato con una conoscenza più approfondita della materia e di cosa significhi ad esempio “potenziare”. Ciò che posso fare io da statistico è fornire loro dei metodi di analisi aggiornati, generali ed affidabili per comprendere, nel caso fosse possibile, cosa “potenziare”. Penso questa sia la parte più stimolante di una collaborazione in cui ognuno può contribuire al massimo nel proprio campo di esperienza.

Esiste una relazione tra connettività cerebrale e intelligenza?

Ci stiamo lavorando in questi mesi, così come stiamo lavorando alla relazione tra connettività e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, con l’obiettivo di raffinare gli attuali metodi per poterla prevedere con maggiore anticipo. Come dicevo in precedenza, c’è molto fermento in questo campo del sapere, e credo una buona parte della motivazione sia legata alla crescente disponibilità di questi dati, ed alla crescente collaborazione tra statistici e neuroscienziati con l’obiettivo comune di produrre maggiore e migliore conoscenza in questo importante ambito. Io sono solo uno dei tanti che è stato ispirato da tale tipologia di dati. Spero questo trend di crescente collaborazione continui e possa aprire le porte a nuovi studi. 

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