SCIENZA E RICERCA

La lotta all'artrosi passa per le staminali

È iniziata in questi mesi a Padova la sperimentazione sui pazienti di un nuovo trattamento per l’artrosi con cellule staminali mesenchimali. Si tratta di uno studio clinico internazionale coordinato dall’università di Montpellier, che vede coinvolta l’università di Padova con l’Azienda ospedaliera, nell’ambito del progetto europeo ADIPOA-2.

Per comprendere le ricadute che l’indagine potrebbe avere in ambito clinico, si deve considerare che ad oggi non esiste una terapia in grado di curare l’artrosi, una patologia articolare cronica che colpisce fino all’80% della popolazione oltre i 50 anni, ma che si può riscontrare anche in individui più giovani, soprattutto negli sportivi e dopo aver subito traumi. Contrariamente a quanto si pensa, infatti, non si tratta di una malattia che si manifesta esclusivamente in età avanzata, ma dipende anche da fattori genetici, ormonali e ambientali.

Attualmente nel trattamento dell’artrosi, una malattia questa che può determinare una significativa riduzione della qualità della vita e disabilità nel lungo periodo, si interviene con terapie di tipo sintomatico che agiscono sul dolore e sulla limitazione funzionale, ma che non sono in grado di arrestare il danno alle articolazioni. Si cerca inoltre di prevenire i fattori di rischio, come il sovrappeso che incide nella formazione e progressione della malattia. Ma si tratta di interventi, più che altro di tipo palliativo, che non curano in maniera risolutiva il paziente.

Ora un’alternativa arriva da questo progetto internazionale. Il trattamento in fase di sperimentazione prevede una infiltrazione con cellule staminali, proposta per ora per le articolazioni più accessibili come il ginocchio. I medici con una manovra di aspirazione del grasso addominale del paziente ottengono le cellule mesenchimali che inviano a un centro specializzato in Germania. Qui vengono separate dal tessuto di origine, differenziate e restituite per l’infiltrazione.

A Padova il trattamento è stato eseguito finora su alcuni pazienti ed è attualmente in corso. Le persone sono state arruolate attraverso una campagna di informazione sul territorio, condotta negli ultimi mesi dello scorso anno, per annunciare l’avvio della sperimentazione e la possibilità di partecipare al progetto. Il trattamento viene condotto su persone che rispondono a precisi criteri di inclusione: è necessario infatti avere un’età inferiore ai 70 anni, non aver subito traumi o interventi recenti e avere un’artrosi di stadio medio, non grave. L’obiettivo è di testare la terapia su un numero sufficiente di persone per valutarne la reale efficacia sia nei centri italiani che europei. “Ormai – sottolinea Roberta Ramonda dell’Unità operativa complessa di Reumatologia dell’Azienda ospedaliera-università di Padova – le cellule staminali potrebbero rappresentare un’opzione terapeutica valida per numerose patologie, in particolare quelle di tipo degenerativo come l’artrosi. Per questa ragione il metodo che stiamo sperimentando potrebbe dare buoni risultati che saranno convalidati al termine dello studio”.

Il progetto ADIPOA-2 è stato finanziato dall’Unione Europea attraverso il progetto HORIZON 2020, è iniziato nel 2015 e durerà quattro anni. Partecipano 18 centri che comprendono università, istituti di ricerca e centri ospedalieri. In Italia partecipano alla sperimentazione di tipo no-profit l’università di Padova-Azienda ospedaliera e l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, che coordina il progetto a livello nazionale.  

A Padova il progetto è guidato da Leonardo Punzi, docente del dipartimento di Medicina e direttore dell’Unità operativa complessa di Reumatologia dell’Azienda ospedaliera-università di Padova, e comprende Roberta Ramonda, Marta Favero e le dottorande Mariagrazia Lorenzin e Mara Felicetti. Allo studio contribuiscono anche Franco Bassetto, docente del dipartimento di Neuroscienze e direttore dell’Unità operativa complessa di Chirurgia plastica, Cesare Tiengo e Katia Soncin che si occupano delle procedure chirurgiche. Per le procedure diagnostiche, radiologiche e di risonanza è coinvolta invece l’Unità operativa di Radiologia I, diretta da Camillo Aliberti. 

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