SCIENZA E RICERCA

Green, biodegradabili e 4D: nuove frontiere nella cura dei tumori

Nanomedicine in 4D, green, biodegradabili e a basso costo per la diagnosi e la terapia del cancro. Nanoparticelle che non si accumulano nel corpo e quindi limitano gli effetti collaterali di trattamenti come la chemioterapia. È questa la nuova frontiera nel campo dei tumori a cui sta lavorando l’università di Padova. A guidare lo studio dal titolo 4Nanomed - 4D Nanomedicine based on biodegradable and biocompatible nanoalloys è Vincenzo Amendola, docente del dipartimento di Scienze chimiche, che ha ottenuto un finanziamento di 140.000 euro dall’ateneo nell’ambito del progetto Stars@UniPD per portare avanti la ricerca.

“L’obiettivo generale – spiega il docente – è di creare una nanomedicina che sia in grado di funzionare come sistema per la diagnosi di tessuti cancerosi o lesioni di vario tipo e anche per la terapia del cancro, tramite la distruzione dei tessuti nei quali queste particelle si vanno ad accumulare. Esistono vari sistemi di questo tipo in letteratura: questo progetto si differenzia rispetto ai sistemi tradizionali perché intende fare ricorso a materiali quadridimensionali. Cercheremo di ottenere cioè dei nanomateriali la cui forma geometrica cambi nel tempo e su scale di tempi significative per l’utilizzo clinico. Lo scopo è di realizzare nanomateriali la cui forma e dimensione tenda a diminuire in modo rapido (ma non troppo) e che abbiano la capacità di degradarsi e di scomparire spontaneamente dopo l’uso”.

Cercheremo di ottenere dei nanomateriali la cui forma geometrica cambi nel tempo e su scale di tempi significative per l’utilizzo clinico

Uno dei limiti principali delle nanomedicine è la tendenza ad accumularsi nell’organismo e a persistere anche per tempi molto lunghi. Se invece il materiale utilizzato ha una struttura quadridimensionale, cioè tende a biodegradarsi spontaneamente o in seguito ad un stimolo esterno, la sua biopersistenza è drasticamente ridotta. Per funzionare in modo efficace il processo di biodegradazione deve avvenire in tempi tali da consentire da un lato la rimozione delle nanoparticelle dall’organismo, dall’altro lato l’azione terapeutica o diagnostica delle nanomedicine.

“Per ottenere la proprietà quadridimensionale – spiega Amendola – si deve far ricorso a materiali che abbiano una struttura particolare, ‘labile’. Il nostro gruppo cercherà di trovare questa capacità in sistemi di leghe metalliche metastabili, leghe cioè che tendono spontaneamente a cambiare struttura nel tempo e ad evolvere verso altre strutture termodinamicamente stabili. Ottenere leghe metastabili non è semplice, specie su dimensioni nanometriche: per raggiungere lo scopo si utilizzerà una tecnica detta ‘ablazione laser in liquido’, in cui ho maturato esperienza”. Con questo metodo, i nanomateriali sono generati direttamente in soluzione liquida tramite un processo rapidissimo, che dura meno di un milionesimo di secondo. È una procedura a basso costo e green, che non utilizza sostanze tossiche o inquinanti. Per comporre la lega si vanno a selezionare gli elementi che devono consentire di svolgere le funzioni diagnostiche e terapeutiche, dunque funzioni di agente di contrasto per imaging per risonanza magnetica o Tac, o funzioni di sensibilizzatore per radioterapie o per rilascio di sostanze chemioterapiche. “Gli elementi – approfondisce il docente – vengono selezionati tra quelli notoriamente biocompatibili, ad esempio l’oro, al contrario di alcuni approcci chemioterapici tradizionali o anche di altre sostanze usate in nanomedicina, che possono avere effetti collaterali significativi ad alte dosi o per tempi lunghi”.

In effetti, gran parte degli studi nel settore propone nanomedicine non biodegradabili che persistono nell’organismo e alcune di queste hanno anche effetti collaterali tossici dovuti alla presenza di elementi non propriamente biocompatibili. “Noi per la prima volta – sostiene lo scienziato – utilizziamo strutture di lega metallica metastabile a base di elementi totalmente biocompatibili per questo tipo di applicazione. Ciò che proponiamo è un nanomateriale nuovo e di tipo diverso”.

Amendola si dedica da tempo a questo filone di ricerca. Si occupa di sintesi mediante ablazione laser con cui realizzare materiali difficili o impossibili da ottenere in altro modo e si sta focalizzando in modo particolare sullo studio di nanoleghe più o meno metastabili che possono avere applicazioni in catalisi, nanomedicina, in fotonica, in ottica e in sensoristica.  “Per questi tipi di indagine – conclude Amendola – è indispensabile instaurare delle collaborazioni, perché si tratta di ricerche multidisciplinari che richiedono competenze e tecniche di indagine diverse. Ad esempio, per ricerche come quelle del progetto 4Nanomed, saranno particolarmente utili i nuovi strumenti che il dipartimento di Scienze chimiche acquisirà a breve grazie al fatto di essere stato selezionato come uno dei dipartimenti di eccellenza dal Miur”.

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