SOCIETÀ

Un'Italia ancora poco istruita

È in fondo alla lista dei paesi istruiti l’Italia, davanti soltanto a Spagna, Portogallo e Malta. Lo riferisce il Rapporto sulla conoscenza 2018 di Istat che fotografa il nostro Paese negli ultimi anni e lo fa a partire dall’analisi del concetto di ‘sapere utile', cioè di come la conoscenza sia utile e utilizzata nei diversi ambiti della società. L’Italia è un’economia industriale ad alto reddito ma anomala perché, rispetto ai maggiori sistemi europei, il livello di istruzione e di competenze non sono elevati.

Nel 2015 le imprese con massimo 50 dipendenti attive nella manifattura e nei servizi di mercato erano circa 770.000. Per queste il livello di istruzione degli imprenditori si ferma in media al diploma secondario superiore mentre quello dei dipendenti è ancora più basso. Il rapporto mostra però che nelle imprese dove gli imprenditori sono più istruiti, anche i dipendenti tendono ad avere livelli più alti di formazione e che, dove vi sia un buon livello di istruzione di imprenditori e personale, vi sono anche salari migliori e soprattutto tassi di sopravvivenza dell’impresa più elevati. In generale, quindi, si può dire che la conoscenza  fa bene all’economia e questo viene confermato anche dal fatto che il livello di istruzione in Italia influisce ancora di molto sulle possibilità di occupazione e sui redditi percepiti. Nel 2016, infatti, il tasso di occupazione delle persone tra 25 e 64 anni, laureate o con altri titoli, è del 79% contro il 51% delle persone con un titolo secondario inferiore o altro titolo. Stesso vale per i redditi per cui il divario tra gli individui con istruzione alta e istruzione media nel 2014 è pari al 48%, quello tra individui con istruzione media e bassa è del 21%.

Tuttavia, il numero limitato di professionisti, tecnici e laureati assunti e gli scarsi investimenti in ricerca e sviluppo (l’Italia in questo campo continua a investire di meno rispetto alle maggiori economie europee), hanno contribuito allo sviluppo di produzioni caratterizzate dal basso contenuto di conoscenze specifiche che possono essere riprodotte altrove e a costi minori. Vero punto dolente per il nostro Paese però è il forte ritardo, rispetto ai paesi più avanzati, nei livelli d’istruzione. Nel 2016 la quota di persone tra i 25 e i 64 anni con almeno un titolo di studio secondario superiore ha raggiunto il 60%, una cifra ancora inferiore del 16% rispetto alla media europea. Si è ridotto l’abbandono scolastico che dal 20% di dieci anni fa è arrivato al 14% ma rimane ancora forte il divario con il resto dell’Europa in quanto a numero di laureati. Aumenta invece la regolarità negli studi soprattutto al sud anche se la percentuale di laureati in corso è ancora molto bassa (16%) e di molto inferiore rispetto agli atenei del Nord.

Relativamente alle competenze di base (linguistiche e numeriche), invece, la media italiana dei giovani italiani si attesta poco al di sotto di quella europea, ma il tasso di conoscenza è variabile a seconda del tipo di scuola frequentato e dell’area geografica di provenienza. Nell’ambito delle capacità informatiche il rapporto rivela, invece, come in Italia solo il 52% della popolazione faccia uso quotidianamente del computer rispetto al 64% di quella europea. Stessa situazione anche per le aziende: solo il 72% delle imprese italiane possiede un sito internet e solo il 10% lo utilizza per la vendita online contro il 77% e il 16% dell’Europa. 

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