UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università, cosa aspettarsi dal nuovo governo?

La tenebra incombe sulla formazione del governo. Mentre l’Italia attende la prima seduta delle Camere, che il 23 marzo sarà preludio al complesso tentativo di creare una maggioranza, può essere utile ricapitolare gli impegni per il mondo universitario assunti dalle maggiori forze politiche durante la campagna elettorale: un aiuto per capire cosa potrebbe attendere il mondo accademico a seconda di chi concorrerà al prossimo esecutivo, e anche per comparare dichiarazioni programmatiche e future decisioni politiche. Abbiamo scelto i punti principali del programma sull’università delle quattro formazioni che hanno superato la soglia del 3 per cento: l’alleanza di centrodestra (hanno superato la soglia tre dei quattro partiti alleati, ma il programma è unico), il Movimento 5 Stelle, il Partito Democratico e Liberi e Uguali.

Centrodestra. Tra le formazioni considerate, è quella che ha presentato il programma più sintetico: dieci temi sviluppati in brevissimi punti programmatici. L’ottavo tema è “Più qualità nella scuola, nell’università e nella sanità pubblica”: a causa dell’ampiezza dell’oggetto, non è sempre chiaro a quale dei tre settori si riferiscano i singoli punti, perlopiù enunciazioni di principi guida. Si parla di “più libertà di scelta nell’offerta formativa”, di “incentivazione della competizione pubblico-privato”, “aggiornamento e meritocrazia”, “azzeramento del precariato”, linee che trovano sintesi nel generale “rilancio dell’università italiana per farla tornare piattaforma primaria della formazione”.

Movimento 5 Stelle. È il soggetto che offre il programma più articolato. Si promette un “cospicuo aumento” del fondo di finanziamento ordinario per gli atenei, ma al contempo se ne propone una profonda ridefinizione dei criteri. Da un lato si prospetta di incrementare la quota premiale, dall’altro si lega l’erogazione ai singoli atenei a una combinazione di dieci parametri: dalla spesa storica alla qualità di didattica e ricerca, dalla “qualità dei processi e controlli” al “successo dei propri laureati” nel lavoro ma anche nella ricerca; dal reclutamento all’impatto sul territorio al numero di docenti “improduttivi”, per finire con l’internazionalizzazione e il sostegno agli atenei “situati in aree economicamente depresse”.

Sul piano delle politiche di reclutamento, l’abilitazione scientifica nazionale andrà revisionata, introducendo un “meccanismo neutrale e oggettivo con l’accertamento del possesso di predeterminati requisiti”. Si propone poi di reintrodurre la figura del ricercatore a tempo indeterminato, abrogando l’attuale normativa. Il sistema dei punti organico, secondo il Movimento, va sostituito con una programmazione nazionale sulla base delle esigenze “ipotizzate preventivamente dagli atenei”: una pianificazione che darebbe luogo a un “meccanismo nazionale di assegnazione dei docenti” che sostituirebbe in toto le attuali procedure comparative. Molto spazio per il capitolo sui doveri e le incompatibilità: va introdotta una modalità di verifica sull’attività dei docenti, grazie a “un sistema di timbratura obbligatoria” che preveda, “in caso di assenza, sanzioni pecuniarie e disciplinari”. Si intende anche limitare “i ruoli professionali extra accademici, quali consulenze, incarichi politici (assessori, presidenze di enti pubblici o partecipati), progettazione”. Più controlli sui docenti a tempo definito.

Sul piano del diritto allo studio, si vuole incrementare il numero delle borse di studio e innalzare la soglia per l’esenzione dal pagamento della tassa di iscrizione.

Per quanto concerne la didattica, è previsto un inasprimento dei controlli e dei criteri di accreditamento per i corsi degli atenei telematici non statali, mentre si propone di incentivare la creazione di corsi online per le università pubbliche. Per la governance, si immagina una riforma dei principali organi nazionali competenti sull’università, in particolare limitando “competenze, funzioni e costi” dell’Anvur, premessa di una profonda modifica del sistema della valutazione della qualità della ricerca. Per gli enti di ricerca, infine, si propone di aumentare i fondi pubblici, creare un’agenzia unica nazionale per la ricerca “controllata dalla Presidenza del Consiglio”, abolire la quota premiale del fondo di finanziamento.

Partito Democratico. Il PD dedica all’Università una delle sei pagine che nel programma sono riservate a cultura e istruzione. Il contenuto, molto sintetico, ha tra i punti chiave l’aumento del fondo di finanziamento ordinario; il reclutamento “strutturale e continuativo” di 10.000 ricercatori di tipo B nei prossimi 5 anni; una maggiore autonomia nelle assunzioni, superando il sistema dei punti organico; l’istituzione di un’Agenzia nazionale della ricerca. Si propone poi di introdurre strumenti che favoriscano l’afflusso di studenti e docenti dall’estero; un piano straordinario di investimenti in ricerca di base; la realizzazione a Napoli di un secondo polo nazionale della ricerca, analogo allo Human Technopole di Milano.

Sul piano del welfare studentesco, è prevista l’istituzione dei livelli essenziali delle prestazioni, con criteri omogenei su tutto il territorio nazionale; un piano straordinario di edilizia universitaria; il “rafforzamento” delle borse di studio; il consolidamento del sistema delle lauree professionalizzanti, per incentivare le immatricolazioni da istituti tecnici e professionali.

Liberi e uguali. Il partito dedica ampio spazio ai temi dell’istruzione e della ricerca, al primo posto tra i capitoli del programma. Il principio guida è il maggior favore possibile per l’accesso alla formazione accademica, con la “progressiva gratuità” a partire dall’abolizione delle tasse universitarie, finanziate attraverso il contributo richiesto ai redditi più alti, e l’aumento di residenze e borse di studio per studenti.

Sul piano dei finanziamenti LeU propone l’aumento dell’FFO, da ottenere trattando con l’Unione Europea un aumento progressivo di quote di Pil nazionale riservate agli atenei al di fuori del patto di stabilità. Va abolita la “retorica del merito”, fonte, per Liberi e Uguali, della discriminazione delle università del Centro-Sud; da abrogare, per gli stessi motivi, anche ogni criterio che determini la competizione tra dipartimenti universitari.

L’Anvur va abolita o radicalmente riformata, per sostituirla con un ente a più ampia partecipazione della comunità scientifica (i nuovi criteri di valutazione dovranno essere definiti da una conferenza nazionale, in modo da superare “la logica della competizione tra atenei”). Andrà attuato un “congruo piano di investimento pluriennale per il reclutamento di giovani ricercatori e professori associati”, con l’immissione in cinque anni di “almeno 20.000 nuovi ricercatori negli atenei e 10.000 negli enti pubblici di ricerca”. Riforma radicale anche per l’abilitazione scientifica, che dovrà valere almeno per un decennio.

Non rimane che attendere: quando il nuovo governo muoverà i primi passi, potremo valutare se ciascuno degli scenari proposti per l’università sia frutto di una visione. O di un visionario.

Martino Periti

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