CULTURA

La bella addormentata non è una favola di Natale

Quando si dice “bella addormentata”il pensiero corre alla favola dei fratelli Grimm. Eppure di belle addormentate ne esistono anche nella scienza. Sono quegli studi che passano inosservati per lungo tempo dopo la pubblicazione, il numero di citazioni è pressoché nullo, salvo poi riscoprirne l’importanza a distanza anche di 50, 100 anni. A coniare il termine “sleeping beauties” è Anthony Van Raan nel 2004. Finora si era ritenuto che gli esempi di belle addormentate nella scienza fossero relativamente scarsi. In realtà una ricerca pubblicata qualche mese fa su Pnas, che si avvale di metodi matematici e statistici di analisi, dimostra il contrario. Ne parla uno degli autori, Emilio Ferrara del Center for Complex Networks and Systems Research dell’Indiana University.

Avete analizzato 22 milioni di articoli sia di ambito scientifico che nel settore delle scienze sociali. Che metodo avete utilizzato?

Per prima cosa abbiamo definito una misura matematica capace di catturare sia la durata del periodo “dormiente” sia l’intensità del risveglio. L’abbiamo chiamata “coefficiente di bellezza” (beauty coefficient), perché grandi valori identificano articoli che hanno “dormito” a lungo e che hanno avuto un grande impatto dopo il loro risveglio. Una volta definito il coefficiente di bellezza, abbiamo calcolato questo valore per ognuno dei 22 milioni di articoli e poi li abbiamo riordinati in una graduatoria e suddivisi per categorie scientifiche. Gli articoli che dominano le graduatorie di ogni disciplina perciò rappresentano le più importanti “belle addormentate” (Sleeping Beauties) di sempre in quel particolare ambito scientifico.

In quali ambiti di studio esiste il numero maggiore di Sleeping Beauties? Avete dato una spiegazione a questi risultati?

Un aspetto affascinante e inaspettato è che abbiamo trovato importanti Sleeping Beauties nella maggior parte delle discipline. Questo vuol dire che sfere (potenzialmente) differenti del sapere umano contribuiscono egualmente con risultati fondamentali al progresso della scienza. Spesso i risultati di una disciplina vengono “dimenticati” per lungo tempo, per poi essere riscoperti da altre discipline. Abbiamo osservato questo particolare schema in maniera ricorrente. In generale, com’era intuitivo aspettarsi, discipline come la matematica, la fisica, e la statistica abbondano di Sleeping Beauties. Il motivo principale è che alcuni risultati sono eccessivamente innovativi per l’epoca in cui sono stati pubblicati e molti anni, o addirittura decenni, devono trascorrere prima che questi risultati possano essere verificati e accettati dall’intera comunità scientifica. Alcuni esempi includono: teoremi matematici molto complessi che richiedono grandi sforzi per essere assimilati e per trovare applicazione in altre discipline (per esempio l’ingegneria); teorie fisiche per le quali una validazione sperimentale ha richiesto decenni e nuove tecnologie (per esempio il Large Hadron Collider per la verifica della teoria del bosone di Higgs); oppure, metodi statistici molto complicati che sono diventati utilizzabili solo con l’avvento dei moderni e potenti super computer.

Esistono casi esemplari di Sleeping Beauties?

Ogni disciplina richiederebbe una discussione a parte. Un esempio veramente celebre in fisica è quello del paradosso di Einstein, Podolsky, e Rosen proposto in un articolo del 1935. I tre postularono l’incompletezza della meccanica quantistica proponendo un “esperimento mentale” che dimostra con un paradosso l’effetto oggi noto come “entanglement quantistico”. Nonostante l’articolo destò un immediato seppure breve interesse nella comunità dei fisici, esso venne velocemente dimenticato per via dell’impossibilità per la tecnologia del tempo di verificarne la correttezza in maniera sperimentale. Dovettero passare quasi 60 anni prima del “risveglio” dell’articolo in questione, coincidente con la verifica empirica del postulato di Einstein e colleghi. Questa lunga attesa, e l’importante impatto al risveglio, hanno portato questo articolo (e Einstein) nell’olimpo della top 10 delle più grandi Sleeping Beauties di sempre. Altri importanti esempi coinvolgono articoli pubblicati tra 50 e 100 anni fa, che descrivono procedure di laboratorio per isolare elementi chimici o fisici, che sono divenuti pilastri fondamentali per scoperte recenti, inclusa quella del grafene che ha portato al premio Nobel per la fisica del 2010. Infine, alcuni articoli nel campo della statistica, di autori celebri come Pearson e Fisher (riconosciuti come i fondatori delle scienze statistiche), sono stati riscoperti solo di recente grazie all’avvento dei Big Data e dei super computer.

Avete individuato anche le riviste in cui più frequentemente gli studi sono stati “dimenticati”?

Ci sono numerose riviste multidisciplinari con una lunga tradizione di Sleeping Beauties, per esempio, Philosophical Transactions of the Royal Society, e i Proceedings of the Royal Society of London. Per quanto riguarda discipline specifiche, come la matematica, prestigiose riviste come Acta Mathematica e gli Annals of Mathematics hanno pubblicato numerose Sleeping Beauties. In fisica, la rivista che domina in termini di Sleeping Beauties è Physical Reviews.

Esiste una ragione, un filo rosso, che determina il risveglio dell’interesse nei confronti di studi dimenticati per lungo tempo?

Ci sono due meccanismi che concorrono allo stesso tempo nel causare il risveglio delle Sleeping Beauties. Il primo meccanismo è il progresso scientifico e l’avvento di nuove tecnologie (nelle scienze sperimentali), dati su larga scala e capacità di calcolo (nelle scienze computazionali), che permettono la verifica e l’adozione di metodi e procedure scoperte in passato ma mai utilizzate per motivi pratici. Il secondo meccanismo è quello che chiamiamo in gergo “l’impollinazione multidisciplinare” (disciplinary cross-pollination): articoli pubblicati in un ambito scientifico vengono scoperti da altri settori disciplinari molto tempo dopo; il valore di un articolo spesso può sfuggire agli esperti di una certa disciplina, ma avere un grosso impatto in altre. Per esempio, alcuni articoli pubblicati nelle Scienze Sociali decenni fa, oggi fanno parte dei pilastri fondamentali di una nuova disciplina, la Scienza delle Reti (Network Science). 

Con il vostro studio avete evidentemente dimostrato che non sempre l’importanza di una ricerca emerge subito. Oggi però gli indici bibliometrici (citazioni, impact factor etc.) sono fondamentali nella valutazione del lavoro di ricerca. Qualche considerazione in merito?

La valutazione della ricerca e dell’impatto accademico sono entrambe procedure critiche affinché il progresso scientifico possa continuare e le limitate risorse possano essere distribuite in base al merito. Bisogna però tenere in considerazione il fatto che, talvolta, alcuni risultati non hanno un immediato impatto, e al contempo articoli che sembrano avere un impatto immediato (perché magari trattano di argomenti molto contemporanei e caldi) vengono presto dimenticati senza lasciare traccia. Una nota di cauzione è d’obbligo: il nostro studio non dovrebbe essere però strumentalizzato come evidenza che qualunque lavoro che passa inosservato ha il potenziale, in un secolo, di essere riscoperto e cambiare il corso del progresso scientifico. Infatti, molte delle top Sleeping Beauties che abbiamo identificato sono state pubblicate da autori molto importanti nelle rispettive discipline, e rappresentano più un’eccezione che non la regola per quegli autori. L’impatto scientifico e il successo accademico vanno di pari passo, anche se talvolta ci sono delle eccezioni. Il nostro lavoro sottolinea l’importanza di valutare queste eccezioni con procedure ad hoc atte a stabilire il potenziale impatto a lungo termine di certe discipline e ambiti di studio.

M.Pa.

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