SCIENZA E RICERCA

Attenzione: 45 minuti, poi il cervello rallenta

Tempo pieno o tempo parziale? Di fronte alla scelta i genitori si trovano divisi: se per alcuni si tratta spesso di una strada obbligata nel tentativo di conciliare tempi scolastici e di lavoro, altri ritengono l’impegno scolastico pomeridiano troppo gravoso per i figli. In ogni caso, la resa scolastica in termini di attenzione e profitto è la stessa in entrambe i casi? Nel pomeriggio i ragazzi sono concentrati quanto la mattina? Da molti anni è in corso un dibattito su quanto l’organizzazione scolastica e universitaria, con le sue giornate fatte di parecchie ore di immobilità in aula, sia conciliabile con le limitate capacità di attenzione del nostro cervello.

“La capacità di rimanere concentrati su contenuti che ci vengono veicolati e che richiedono uno sforzo mentale costante, focalizzato su un obiettivo – spiega Roberto Dell’Acqua, docente del dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova – è nota come attenzione sostenuta. Nel caso degli studenti in aula c’è chi cerca di memorizzare subito la lezione e chi, invece, attraverso una propria chiave interpretativa traduce i contenuti in appunti per delegare la memorizzazione a una fase successiva”. 

Non si tratta di un processo lineare, ma di un fenomeno psicofisiologico caratterizzato da un’alternanza tra momenti di aumento e di calo  del livello dell’attenzione su cui influiscono diversi fattori, tra cui il ritmo circadiano. “Le performance migliori – sottolinea Dell’Acqua – si ottengono nelle due ore che precedono il mezzogiorno, con un decremento sensibile nella fase pomeridiana, soprattutto dopo il pasto”. E suggerisce: “Se si considera che la soglia di attenzione è di 40-45 minuti, il consiglio è di osservare 15 minuti di pausa tra una lezione e l’altra nel corso della mattinata, in modo da  preservare l’efficienza attentiva anche nel pomeriggio”. 

Dello stesso avviso anche Andrea Canevaro, docente di pedagogia all’università di Bologna: “A creare problemi è la difficoltà di distribuire le energie tra riposo e attività. Molti bambini riposano male, in alcuni casi vengono letteralmente strappati dal letto”. L’inizio della mattinata, il passaggio dal sonno alla veglia, è sempre un po’ complicato e per questo le ore più feconde sono quelle centrali. In un articolo su NewScientist Russell Foster, direttore dello Sleep and Circadian Neuroscience Institute dell’università di Oxford, sottolinea come per un adolescente svegliarsi alle 7 sia come per un cinquantenne alzarsi alle 5. Per questa ragione alcune scuole negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno spostato in avanti l’orario di inizio della giornata scolastica, con un miglioramento del profitto nel caso della Monkseaton High School vicino a Newcastle. 

A influenzare la durata dell’attenzione sono anche le risorse che lo studente ha a disposizione e che variano a seconda della fase dello sviluppo, delle caratteristiche personali, dell’abitudine a essere impegnati e dal grado di stanchezza. Le capacità attentive non rimangono invariate nell’arco della vita, ma vanno via via incontro a un processo di normale decadimento, evidente in età senile. In pieno sviluppo nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, raggiungono il massimo della loro potenzialità tra i 18 e i 26 anni. “Si consideri che l’attenzione nel bambino – sottolinea Dell’Acqua – può anche essere ‘istruita’: il bambino si distrae facilmente, ma aumentando di volta in volta anche di poco il tempo dedicato al compito, l’attenzione può essere educata a essere sostenuta”.  

Un ruolo altrettanto importante giocano la durata del compito, l’interesse e la motivazione, che potenziano l’intensità dell’attenzione. Attraverso esami elettroencefalografici è stato rilevato che quanto più l’individuo si “abitua” al compito, tanto più con il passare del tempo cala il livello di attivazione delle risorse di attenzione e aumenta la possibilità di compiere errori. Alcune ricerche, tra cui quelle di Giacomo Stella autore di studi sullo sviluppo cognitivo, hanno poi dimostrato che la partecipazione a compiti monotoni è accompagnata a un rendimento inferiore, che diminuisce con l’aumentare del tempo di impegno. Quando le attività sono ripetitive il livello di attivazione delle risorse di attenzione tende a scendere e, con il passare del tempo, si abbassa la qualità della prestazione. “Lo studente – sostiene Andrea Canevaro – segue meglio le lezioni se sono impegnative e non banali. La banalità non aiuta l’attenzione”. Si deve partire da concetti semplici per andare verso argomenti più complicati. I bambini sono attratti ad esempio dalla mitologia, una materia che potrebbe invece apparire complessa. 

Anche il modo di comunicare tra i ragazzi esercita la propria influenza. Secondo Massimo Santinello, docente di psicologia dell’università di Padova, oggi la durata dell’attenzione nei ragazzi è sempre più ridotta. Le modalità di comunicazione sono cambiate rispetto a un tempo e il ricorso ai social media e alla messaggeria istantanea è divenuto sempre più diffuso. Questo richiede un cambio di rotta anche nella scuola e rende necessaria una didattica differente da quella tradizionale, più “rapida” e che dia continuamente stimoli nuovi. Diventa necessario anche riflettere sull’organizzazione dei ritmi e dei calendari sia a scuola che nell’università. 

Monica Panetto

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