CULTURA

Caterina, la ragazza che volle farsi uomo. Una storia vera dal XVIII secolo

Caterina ha quattordici anni. La sua famiglia non è ricca e lei non è particolarmente bella, ma i suoi genitori le vogliono un gran bene. Probabilmente è proprio la certezza di sentirsi amata che permette alla ragazzina di accogliere con gioia e naturalezza la sua passione travolgente per una compagna di scuola, Margherita. Di Margherita, Caterina è tanto innamorata che non le basta passare con lei gran parte della giornata: la sera, dopo cena, torna a trovarla, spesso vestita come un maschio, e insieme trascorrono altre ore felici. E tutto andrebbe per il meglio, se un giorno il padre di Margherita non le scoprisse – e soprattutto se questa storia (vera) non si svolgesse quasi tre secoli fa, nella prima metà del Settecento.

“Il passato è una terra straniera. Le cose si fanno diversamente, laggiù” ha scritto L.P. Hartley all'inizio del suo The Go-Between (Messaggero d'amore ). E certo questa è la sensazione che ci capita di provare, quando osserviamo i gruppi di famiglia irrigiditi in posa nelle fotografie color seppia di fine Ottocento o ci aggiriamo nelle sale fastosamente decorate di un palazzo barocco. Eppure, come un sorriso o un tono di voce, in luoghi lontani da quello in cui viviamo abitualmente, ci fanno sentire all'improvviso familiare la persona che abbiamo davanti, anche in tempi a noi remoti possiamo scoprire affinità con la nostra epoca, così che vicende antiche si illuminano di una luce più intensa. Merito, quasi sempre, di chi ha saputo evidenziare i nessi tra passato e presente, senza tuttavia appiattire gli avvenimenti narrati sul piano di una forzata contemporaneità.

Difficile, in questo senso, immaginare per la Storia di Caterina che per ott'anni vestì abiti da uomo (il Mulino 2014) una guida migliore di Marzio Barbagli che, autore di testi importanti come La sessualità degli italiani e Omosessuali moderni, ha qui usato le sue vastissime conoscenze, insieme a una scrittura avvincente e limpida, per dare alla sua protagonista una statura da eroina, incastonandone il travestimento maschile e le peripezie, fino alla morte tragica, nel contesto del suo tempo e insieme evocando un confronto sottile con le Caterine degli anni 2000, che scoprono giovanissime di essere attratte da altre donne e non intendono rinunciare alle loro passioni.

Ma Barbagli ha avuto a sua volta la fortuna di incontrare, sempre attraverso i secoli, un compagno di viaggio d'eccezione, che del libro è insieme coprotagonista e coautore: il primo ad appassionarsi alle vicende di Caterina fu infatti il grande medico e scienziato Giovanni Bianchi, che per un caso fortuito aveva incontrato la ragazza, credendola un uomo, e che le dedicò un saggio, pubblicato nel 1744 e riportato integralmente in appendice nel volume del Mulino. È in effetti grazie a questo studioso enciclopedico, di pessimo carattere (aveva “un troppo alto concetto di sé” e “un acceso spirito polemico”), ma anche di enorme coraggio intellettuale e di sterminata cultura (rifondatore dell'Accademia dei Lincei, “insegnò filosofia, medicina, botanica, giurisprudenza, teologia e lingue classiche”), se oggi conosciamo la storia di Caterina.

Ed eccola dunque, lei, Caterina Vizzani, figlia di un legnaiolo, che dopo le minacce del padre di Margherita, abbandona definitivamente le vesti femminili e diventa Giovanni Bordoni, fugge da Roma dove è nata e cresciuta, vi torna poi brevemente, trovando l'aiuto di un canonico, e grazie a lui viene assunta (assunto?) come valletto di uomini importanti. Ed è bravissimo, Giovanni, in questo mestiere: sa fare mille cose – legge, scrive, pettina le parrucche, serve il cioccolatte... – e quelle che non sa fare, si ingegna a impararle presto. Unico difetto, una passione incontenibile per le donne, tanto che uno dei suoi datori di lavoro se ne lamenta con il canonico. Viene convocato il padre del “ragazzo”, che prima tace imbarazzato e poi rivela al prete la verità: Giovanni in effetti è Caterina e ha sempre fatto così. Inutile dire che il canonico tace la sua scoperta.

E noi oggi nulla sapremmo di questo colloquio, se dopo un finale tutt'altro che lieto (in seguito a una ferita d'arma da fuoco di cui è stato vittima fuggendo verso Roma con la fidanzata e la sorella di lei, Giovanni/Caterina muore all'ospedale di Siena, rivelando in extremis la sua identità e chiedendo una sepoltura “da pulcella”), la vicenda non giungesse alle orecchie di Giovanni Bianchi che, ricordando bene di avere incrociato nel corso di un viaggio quel capace valletto, si interessa alla sua storia. Esegue l'autopsia della ragazza (scoprendo tra l'altro che – contrariamente a quanto si pensava all'epoca delle “tribadi” – i suoi organi sessuali non presentano anomalie), interroga chi l'ha conosciuta, invia lettere, viaggia in cerca di testimonianze di prima mano.

Il frutto di queste ricerche sarà un saggio non lungo, ma denso di notizie e di osservazioni in cui Bianchi si conferma un uomo di scienza deciso a verificare le nozioni apprese senza lasciarsi condizionare dai pregiudizi. Pubblicato “alla macchia” per aggirare la censura ecclesiastica, il testo girerà negli ambienti intellettuali italiani e europei e dopo qualche anno sarà tradotto in inglese a cura di John Cleland, anche se l'autore di Fanny Hill lo modificherà in parte, aggiungendo diversi commenti moralistici ben lontani dallo spirito illuminista di Bianchi.

Uno spirito invece ben vivo nel testo che Barbagli ha costruito intorno alla Breve Storia della Vita di Catterina Vizzani Romana, prendendo i vari fili di cui essa si compone e arricchendoli di notizie, confronti, approfondimenti. Così che la vicenda, per tanti versi eccezionale, della coraggiosa e sventurata Caterina finisce per inserirsi, nulla perdendo della sua singolarità, in quella di una schiera di donne che, prima e dopo di lei, hanno amato altre donne, a volte di nascosto, altre volte allo scoperto, sempre – in un modo o nell'altro – entrando in relazione con il loro tempo.

E se, come scrive Barbagli in chiusura, il mondo di Caterina, così come quello, quasi due secoli dopo, di Sibilla Aleramo, “ci appare ormai sempre più lontano”, difficile, se non impossibile, è immaginare cosa riserverà il futuro: anch'esso una terra straniera con la quale il legame più forte che possiamo pensare di avere è, come per il passato, il senso di una comune umanità.

Maria Teresa Carbone

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