SOCIETÀ

Editori contro Google: la guerra dei link

La chiamano link tax, la guerra sui contenuti giornalistici. In vari Paesi non solo dell’Europa gli editori delle maggiori testate giornalistiche chiedono a Google e agli altri aggregatori di notizie il pagamento di una tassa per la pubblicazione online delle notizie. In altri termini, gli editori chiedono una quota a loro favore per le notizie giornalistiche indicizzate dai motori di ricerca e distribuite attraverso i servizi di aggregazione di notizie come Google news, grazie ai quali l’utente può crearsi una sorta di notiziario personale entro uno spazio informativo unico. Rendendo visibili i titoli e una breve selezione del testo degli articoli indicizzati, gli aggregatori fanno risparmiare tempo prezioso e consentono di essere costantemente aggiornati sugli argomenti di proprio interesse, ma presentano – dal punto di vista degli editori – un problema non di poco conto. Dalla news dell’aggregatore si può infatti passare alla pagina con l’articolo originale, ma non necessariamente: spesso per il lettore i contenuti visibili nella news sono più che sufficienti, e l’aggregatore sostituisce a tutti gli effetti la consultazione online del giornale originario, che non è affatto detto sia gratuita o non abbia contenuti pubblicitari alla cui visione il giornale deve una parte dei propri introiti.

E qui si apre il terreno del contendere. I primi a dichiarare guerra sono stati gli editori brasiliani: nel 2006 e nel 2010 la Associação Nacional de Jornais (Anj) tentò un accordo con Google sottoscritto da 154 quotidiani membri della Anj. Il progetto non ottenne i risultati sperati e, di fronte al rifiuto di Google di pagare per l’indicizzazione, la Anj decise di interrompere l’esperimento. "Rimanere in Google News non ci ha aiutato ad aumentare il pubblico dei giornali su internet" dichiarò in quell’occasione il presidente della Anj Carlos Fernando Lindenberg Neto. Google aveva risposto fin da subito con una petizione online in difesa della libertà della Rete. In sostanza Google non riteneva di dover pagare i diritti per gli articoli giornalistici citati, anzi sosteneva e sostiene tuttora che il servizio contribuisce ad aumentare il traffico sui siti online dei giornali supportando, e non danneggiando, l’editoria tradizionale. Nessuna violazione, secondo Google, in quanto in generale è lo stesso impianto normativo europeo della legge sul diritto d’autore (differente, come noto, da quello delle leggi basate sul copyright) che consente il diritto di citazione come una eccezione prevista dalla stessa norma. Google agirebbe in termini legali in quei Paesi dove vige il sistema a diritto d’autore. Inoltre se gli editori si sentissero veramente danneggiati potrebbero benissimo bloccare l'indicizzazione da parte di Google cambiando il codice, inserendo in una banale linea il comando “no robot”. Google indicizza solo quei siti che glielo consentono, operando in sintonia con le indicazioni dei gestori dei siti.

In Europa il primo paese a dichiarare guerra al servizio Google News è stato, quasi 10 anni fa, il Belgio. Nel 2006 la Copiepresse, l’associazione degli editori belgi di lingua francese e tedesca, aveva accusato il motore di ricerca di danneggiare il traffico dei suoi giornali online. All’epoca la giustizia belga aveva dato ragione agli editori, condannando Google a pagare i danni e rimuovere i contenuti incriminati, tornando a inserirli solo dopo aver chiesto debita autorizzazione. Si trattava, insomma, di una sorta di royalty per l’uso delle news distribuite da quei siti web che svolgono funzioni di aggregatore.

Dopo due sentenze a favore di Copiepresse Google concordava con i giornali del Belgio una collaborazione che metteva fine alla controversia, attraverso un accordo che prevedeva la pubblicità dei servizi di Google sui media degli editori e l’ottimizzazione, da parte di questi ultimi, dell’uso delle soluzioni pubblicitarie di Google tramite i servizi AdWords, AdSense, AdMob e AdExchanges. AdWords consente di inserire annunci sulle pagine dei risultati di Google, mentre AdSense pubblica gli annunci sui singoli siti web, e in questo caso Google paga i webmaster dei siti dove sono visualizzati gli annunci che vengono cliccati. AdExchange è un servizio di "offerte in real-time" per comprare inserzioni sul network, mentre AdMob usa applicazioni per la pubblicità sui dispositivi mobili. In altri termini l’accordo belga è stato decisamente vantaggioso per entrambe le parti: una collaborazione per la monetizzazione dei contenuti, sia attraverso modelli premium che soluzioni pubblicitarie, che comporta l’aumento del coinvolgimento dei lettori mediante gli strumenti social di Google e la collaborazione per la distribuzione dei contenuti originali degli editori sulle piattaforme mobili, in particolare gli smartphone e i tablet.

In merito alla faccenda news i vari Paesi stanno tenendo comportamenti differenti. Ad oggi, la Francia ha seguito la soluzione belga e Hollande su twitter sbandiera l’orgoglio di aver negoziato un “accordo unico al mondo’ che prevede che Google versi agli editori francesi 60 milioni di euro per l'indicizzazione dei contenuti. Difficile però stabilire se l’accordo commerciale sia una vittoria degli editori o di Google, che acquista così una presenza significativa nel mondo del giornalismo digitale, senza che si sia arrivati ad una regolamentazione per legge. In altri termini i 60 milioni non andranno nelle casse degli editori, come si sarebbe fatto con una legge, ma il fondo è destinato “allo sviluppo dell'editoria digitale in Francia nel quadro di un partenariato commerciale per il quale Google s'impegna ad insegnare agli editori come guadagnare di più dalla pubblicità su internet”.

Il fondo verrà gestito da un consiglio di esperti rappresentanti dei media francesi che selezioneranno i progetti innovativi provenienti dal mondo dei media giornalistici. Come scrive il FattoQuotidiano si tratta di una boccata di ossigeno per giornali e per i siti del Paese che aiuterà i cronisti nella "transizione digitale", in una fase molto difficile dal punto di vista finanziario. Da parte sua, il presidente di Google Eric Schmidt – che metterà a disposizione tecnici e ingegneri per la realizzazione dei progetti – sostiene che “è molto meglio aver trovato un accordo con gli editori, che aver fatto ricorso a una legge” considerato l’esigenza di avere “una stampa libera e indipendente”. Come acutamente scrive Massimo Mazza nel post dall’eloquente titolo “Google rompe la triplice alleanza degli editori” – Francia, Germania, Italia - un accordo “politico” è sembrato essere il più adeguato, soprattutto quando Google sembrava deciso a non indirizzare più i suoi utenti verso i siti dei media francesi. Interessante sarà capire come altri Paesi europei intenderanno muoversi a riguardo.

Antonella De Robbio

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