SOCIETÀ

Quelle domeniche al centro commerciale

La completa liberalizzazione degli orari dei negozi, domeniche e festivi compresi, è un provvedimento che adegua le normative italiane a standard ormai generalizzati e semplifica la vita ai consumatori, o rappresenta una spinta al consumismo e un’ennesima violazione dei diritti dei lavoratori? In Italia, l’eliminazione dei vincoli agli orari di apertura degli esercizi commerciali, è stata introdotta dal Governo Monti con il Decreto legge 2012/2011, poi legge 214/2011. Il cambiamento è stato nettissimo e la questione, che era rimasta sottotraccia finché la materia era disciplinata dalle Regioni, nel giro di qualche mese è esplosa con il generalizzarsi delle aperture festive in particolare nella grande distribuzione. Problemi non solo di ordine pratico e di rispetto dei diritti, ma anche etici: a sollevarli è stato anzitutto un movimento nato dal basso, fra le commesse degli esercizi commerciali e i loro familiari e diffusosi grazie ai social network ”Domeniche no grazie“, che ha trovato alleati anche inaspettati - dalle associazioni del piccolo commercio alle diocesi.

In Veneto, da quando don Enrico Torta, parroco di Dese, e don Canuto Toso, della diocesi di Treviso, sono scesi in piazza appoggiando le manifestazioni delle commesse che protestavano contro le aperture domenicali dei centri commerciali nei quali lavoravano, la questione ha assunto una doppia natura: riflessione sull’etica lavorativa in tempo di crisi economica - sui diritti dei lavoratori e le esigenze dei consumatori - ma anche scontro di principio tra laici e religiosi sul valore della domenica, il consumo e il tempo da dedicare alla socialità e alla famiglia. Già nei mesi scorsi, d'altronde, la diocesi di Padova si era pronunciata in modo fortemente critico attraverso il vescovo Antonio Mattiazzo e aveva lanciato una campagna “per recuperare la domenica come giorno di festa”, che si spingeva fino alla provocazione dell’invito a boicottare gli esercizi aperti la domenica. E non solo nel giorno tradizionalmente dedicato al riposo, ma anche in tutti gli altri, stilando apposite “liste bianche” degli esercizi che rispettano la pausa domenicale, e invitando a preferirli per gli acquisti. Nel logo della campagna volti grigi e tristi in adorazione del dio-euro sono messi in diretta contrapposizione con la gioia dei fedeli alla messa, colorati e sorridenti: un approccio che non ha mancato di provocare attriti con le organizzazioni del grande commercio. 

Al di là delle notizie di cronaca, è sufficiente porre la domanda ai cittadini, come ha fatto il Bo, per scoprire quanto la questione sia controversa e le opinioni divise. A quanti sono convinti che gli esercizi commerciali debbano restare sempre aperti, a completo servizio del consumatore, e a quelli che vedono in questa tendenza un adattamento a abitudini ed esigenze imposte dai tempi sempre più ristretti che dominano le vite di tutti  e un’opportunità per i giovani che possono finalmente essere assunti con contratti regolari, i religiosi che hanno appoggiato le mobilitazioni delle commesse rispondono.che la domenica dev’essere per tutti un giorno di riposo, da passare con la famiglia e gli affetti. Lavorare in un giorno festivo è un’abitudine diseducativa che fa sembrare, anche agli occhi dei più piccoli, tutti i giorni uguali. Inoltre, si incentivano la cultura del consumismo e fenomeni di concorrenza sleale che vedono fortemente penalizzate le piccole attività a conduzione familiare. Queste ultime  e le loro associazioni, infatti, sostengono la protesta.

Molti i comuni italiani concordi con questa linea di pensiero, e da parte di alcune Regioni, fra cui anche il Veneto, pende un ricorso alla Corte costituzionale per invalidare gli articoli della legge 214/2011 in materia e tornare alla disciplina precedente. Per loro, la possibilità di entrare a far parte dell’European Sunday Alliance, un organismo internazionale con sede a Bruxelles attivo in tutti i paesi europei con lo scopo di diffondere la consapevolezza dell’importanza del riposo domenicale e, più in generale, della garanzia di orari lavorativi tali da sensibilizzare tutte le società al valore del tempo libero: un ritorno ad una vita più “slow” che in Europa ha trovato il sostegno dell’opinione pubblica e dei legislatori di molti Paesi.

Alla luce di uno studio condotto quest’anno dalla Confcommercio, è infatti possibile scoprire che molti Paesi esteri sono intervenuti sulla questione regolamentandola con rigore. Negozi chiusi per Austria e Germania, che si riservano aperture domenicali solo in casi eccezionali. Il Belgio impone che vi sia, per ogni attività, almeno un giorno di riposo settimanale; si può scegliere un giorno feriale piuttosto che uno festivo, ma va comunicato tempestivamente agli enti competenti locali. Nei Paesi Bassi i festivi e le domeniche sono giorni di chiusura. Il governo autorizza fino a un massimo di 12 aperture domenicali all’anno, purché non siano più di una al mese. Per quanto riguarda la situazione della tanto bistrattata Grecia, vige l’obbligo di chiusura domenicale, senza distinzioni per le aree turistiche.

Molti gli imprenditori invece che, in controtendenza rispetto alla crisi di settore, decidono di investire nelle grandi catene di ipermercati puntando molto su questa modalità. Assai più comodo per tutti coloro che sono costretti a lavorare sei giorni su sette, continuativamente; prospettive decisamente meno felici invece, sono quelle che attendono i piccoli negozi specializzati, che hanno fatto fortuna a partire dal secondo Dopoguerra. Le “botteghe” di paese (il panificio, la drogheria, il salumiere, l’enoteca…) a meno di cambiamenti si troveranno a cedere il testimone a queste enormi strutture che sembrano contenere al loro interno tutto ciò di cui l’uomo necessita per vivere, con una formula che ottimizza i tempi e stuzzica i clienti con proposte studiate ad hoc per i loro stili di vita sempre più compressi, un cambiamento tutt’altro che indolore. Per gli addetti, in primo luogo.

Se da un lato infatti non è pensabile mantenere gli orari tradizionali, nati per rispondere alle esigenze di famiglie in cui le casalinghe si organizzavano liberamente fra spese e lavori domestici mentre i mariti stavano al lavoro e oggi completamente inadeguati di fronte ai limiti di tempo dettati dalla necessità di avere due redditi in casa, altrettanto problematico è pensare a una situazione in cui i grandi centri commerciali sono aperti in permanenza anche nei giorni festivi, tanto per la concorrenza potenzialmente distruttiva sul commercio di vicinato, quanto per la pressione sugli addetti e, più in generale, per la perdita di tempi propri, di riposo e di socialità non rivolta al consumo che comportano. 

Vista in quest’ottica, la media imprenditoria sembra proporsi  come nuovo frullatore sociale. Poco importano le critiche; per dare un segnale forte all’economia italiana, non si guarda in faccia a nessuno. Cosa sono, d’altronde, quei vecchi testi ingialliti, carte dei diritti dei lavoratori o Vangeli, di fronte alla nuova dimensione della domenica come festa del consumatore? Una visione chiara, sulla quale parrocchie e lavoratori non sembrano però concordare del tutto.

Gioia Baggio

Michele Ravagnolo

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