UNIVERSITÀ E SCUOLA

Valutazione degli atenei, le critiche al sistema Ava

È una forte censura rivolta al nuovo sistema Ava, la procedura di valutazione (e autovalutazione) con cui viene giudicata l’offerta di didattica e ricerca da parte degli atenei, oltre ai risultati conseguiti, e sono accreditati i corsi di studio e le loro sedi. Si tratta di un documento ufficiale di cui, fino a poco tempo fa, non si sapeva nulla, consegnato al ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza quando il governo Letta stava per lasciare il passo all’esecutivo Renzi, e al Miur era prossima a insediarsi l’attuale ministro Stefania Giannini. È la relazione finale della commissione istituita il 3 luglio 2013 dalla stessa Carrozza per formulare un parere proprio sul sistema Ava: ne hanno fatto parte i professori Daria De Pretis, Pasquale Nappi e Andrea Stella. Lo scorso 17 dicembre i tre commissari hanno deciso di rendere pubblico il documento, che ora si può dunque apprezzare in tutta la sua incisività.

Al centro dell’interesse della commissione è il decreto ministeriale 47/2013, firmato dal ministro Francesco Profumo, che dà concretamente vita al sistema Ava ponendone al centro il ruolo dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca. Pur se modificato in parte dal successivo decreto 1059/2013, il provvedimento ha mantenuto il suo impianto, sul quale la commissione è stata estremamente critica.

La relazione prende avvio dagli elementi emersi durante l’audizione in Parlamento del ministro Carrozza svoltasi l’8 giugno del 2013. In quell’occasione, il ministro aveva illustrato alcune linee programmatiche finalizzate a rendere meno burocratico il sistema universitario, arricchire l’offerta formativa e rivedere il ruolo dell’Anvur. Sull’agenzia, in particolare, il ministro sottolineava la necessità di valorizzarne il compito di valutazione ex post, eliminando i rischi di un appesantimento delle procedure preventive e dei vincoli che possono rallentare e peggiorare l’azione degli atenei. La commissione fa proprio questo spunto, notando come il decreto Ava sia espressione di una “logica autorizzativa” incompatibile con ciò che dovrebbe, secondo la relazione, essere lo strumento dell’agenzia previsto dalla legge, ossia un potere valutativo e non decisionale. Il rapporto segnala come la normativa recente assegna all’Anvur “un potere decisionale diffuso che mal si concilia con la terzietà che dovrebbe contraddistinguere un’agenzia di valutazione”. Secondo la commissione le decisioni da applicare sulla base delle valutazioni Anvur devono rientrare “nella competenza esclusiva, di valenza eminentemente politica, del governo”. Ad esempio, il rapporto contesta il compito affidato all’Anvur di valutare preventivamente la coerenza tra obiettivi formativi, risultati di apprendimento attesi ed esiti occupazionali individuati: per la commissione, l’agenzia dovrebbe limitarsi a valutare ex post gli effettivi successi o insuccessi nell’apprendimento e nell’inserimento lavorativo rispetto agli scopi dichiarati. La commissione rivendica inoltre il ruolo del Cun (il Consiglio universitario nazionale) nell’approvazione degli ordinamenti didattici, e in particolare nel loro esame preventivo.

La relazione critica anche la mancanza di contraddittorio con gli atenei nel procedimento di revoca dell’accreditamento e chiusura dei corsi: si disapprova l’impossibilità, per l’ateneo sotto esame, di replicare alle riserve beneficiando di un periodo in cui stabilire correttivi utili a candidarsi al rinnovo dell’accreditamento. Ma è l’intera logica del sistema di accreditamento ad essere messa in discussione dal rapporto: se ne contestano i criteri che, a detta della commissione, sono puramente quantitativi e rispondono a una logica sanzionatoria. Viene richiesta anche maggiore flessibilità sui requisiti minimi dei corsi di studio, limitando i vincoli al numero di docenti.

Altro problema delineato dal rapporto è l’incidenza dei requisiti sul numero dei docenti nei settori di base e caratterizzanti del corso: un principio che, secondo la commissione, sta spingendo sempre più gli atenei a concentrarsi sul rispetto formale delle regole più che sulla qualità dell’offerta formativa, e ha un impatto rilevante anche sulle politiche di reclutamento. Viene contestata anche la rigidità del criterio di un numero fisso di ore di didattica frontale, inadatto alle diverse esigenze delle varie strutture universitarie; negativo il giudizio anche sulle difficoltà di stipulare contratti con docenti esterni, come pure sul requisito di coerenza tra obiettivi formativi e opportunità occupazionali sul territorio (un criterio, quest’ultimo, che viene definito non realistico, perché non tiene conto della mobilità dei laureati).

Ancora rilievi, infine, sui vincoli all’internazionalizzazione (in particolare la mancanza di flessibilità sugli ordinamenti stranieri e gli incarichi a docenti non italiani), sulle università non statali (si chiede che i requisiti sulla docenza siano i medesimi previsti per gli atenei statali) e su quelle telematiche (per le quali si richiama a un maggiore controllo sulla qualità della didattica).

In conclusione, al decreto Ava viene attribuito l’effetto di ridimensionare l’offerta didattica e di condurre verso la chiusura corsi di studio “validi e molto frequentati” secondo criteri che nulla hanno a che vedere con la qualità dell’offerta formativa. Si paventa anche “l’introduzione forzata del numero programmato” anche in corsi “dei cui laureati il paese ha grande necessità”. La commissione raccomanda che, al pari dell’attività di ricerca, anche quella formativa sia valutata “sulla base dei risultati conseguiti” e non “sulla proiezione astratta delle sue teoriche potenzialità”. Il rapporto si chiude con l’auspicio di maggiori fondi destinati alla valutazione dei corsi di laurea con l’ausilio di esperti esterni che compiano sopralluoghi nelle singole sedi: una procedura che, se attuata ovunque, richiederebbe secondo la commissione un impegno pari a “qualche decina di milioni di euro”. Un onere considerato “non proibitivo”, e comunque, secondo il rapporto, ampiamente giustificabile.

Martino Periti

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