SOCIETÀ

Divertiti, bambino!

Prima la scuola. Poi un’ora di nuoto, un’altra di violino e, se avanza qualche minuto, aggiungiamo un paio di laboratori creativi. Giornate pienissime, organizzate in ogni dettaglio; attività come tessere di un puzzle da finire in ventiquattro ore. E il giorno dopo si ricomincia, lasciando nulla al caso. Un’unica regola: vietato annoiarsi. “Niente televisione, ma pianoforte dalle cinque alle sei, chitarra dalla sei alle sette, danza il mercoledì, judo, tennis, scherma il sabato, sci di fondo ai primi fiocchi di neve, corso di vela ai primi raggi di sole, ceramica i giorni di pioggia, viaggio in Inghilterra, ginnastica ritmica”, scriveva Daniel Pennac nel suo libro Come un romanzo (Feltrinelli), offrendo la sintesi perfetta della frenesia da impegni e attività a ogni ora del giorno. “Nessunissima possibilità lasciata al più piccolo quarto d’ora di faccia a faccia con se stesso. Guerra al sogno! Dagli alla noia! La bella noia... La lunga noia... Che rende possibile la creazione... Facciamo in modo che non debba mai annoiarsi”. Solo qualche breve pausa per il riposo notturno e poi di nuovo danza, tennis, judo, scherma. Una provocazione, un invito a riflettere.

Ma se provassimo a chiedere ai bambini cosa ne pensano? Il neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni pone questa domanda nel libro L’infanzia non è un gioco (Laterza). “Non un minuto di noia: ovvero come gli adulti confondono l’educazione al gioco con l’intrattenimento di se stessi”. Un titolo che svela subito la sostanza e arriva dritto al punto senza girarci intorno. “Se sei già stato in un parco giochi sai di che cosa sto parlando. La malinconia che da sempre mi prende non appena ci metto piede ha certamente a che fare con il senso greve e appiccicoso di una richiesta pressante: Divertiti bambino!”. E Benzoni aggiunge: “Tutto pieno. Tutto già stabilito. Fuggiamo la loro noia come un male pericoloso perché nella noia c’è, in realtà, l’unica possibilità per noi di divenire imprevedibili. Una rappresentazione piuttosto efficace di quanto questa imprevedibilità possa essere dirompente si trova già nel dipinto di Bruegel del 1560, Giochi di bambini. Un paesaggio urbano e oltre 250 bambini intenti a giocare, da soli, a coppie o in piccoli gruppi. Nessun adulto a sorvegliare. Un catalogo quasi enciclopedico dei giochi infantili, in cui si riconoscono molte attività ancora oggi familiari.

Il dipinto "Giochi di bambini" di Bruegel, 1560

Eppure, osservata da una certa distanza, l’immagine ha l’aria sinistra di una grande rissa, di una rivolta di strada, di un tumulto popolare”. Qualcosa di pericoloso, che sfugge al controllo. Per evitare il rischio, dunque, è necessario tenerli impegnati. Sempre. L’organizzazione è gestita da ‘genitori-agenda’, allenatissimi ma esausti, chiamati ad affrontare la sfida del divertimento quotidiano. Sembra una impresa da supereroi. Basta fare una rapida ricerca su Google per trovare un gran numero di corsi di coaching per genitori, distribuiti in tutta Italia. Le aspettative sono alte e l’ansia da prestazione può a volte portare a esagerare, riempiendo le giornate dei figli con infinite attività, pensando di fare una cosa buona e giusta. 

La verità è che la noia può portare benefici sorprendenti. A confermarlo uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in psychology in cui “la bella noia, la lunga noia”, citata da Pennac, viene associata allo sviluppo della funzione esecutiva, l’insieme di abilità che permettono ai bambini di pianificare, progettare, organizzare e prendere decisioni. Il tempo speso in attività meno strutturate, spiega Jane Barker, psicologa all’università del Colorado, “potrebbe permettere ai bambini di sviluppare funzioni esecutive autogestite, portando a benefici futuri”. La noia come alleata, per imparare a gestire le pause, il silenzio e i pensieri liberi, a sviluppare la creatività e l’autodeterminazione.

Per parlar di (buona) noia, la Harvard medical school si affida a Boredom, saggio di Perri Klass che inizia citando Tom Sawyer, la noia e la sua risposta alla noia, elementi al centro di “una storia di individualità e immaginazione capace di alimentare la creatività traendo nutrimento dalla natura e dalla narrativa di un universo predigitale”. Se state cercando un modello medico a cui paragonare la noia – continua Klass - potete immaginarla come una forma di angina, il dolore causato dalla privazione temporanea di ossigeno, che genera la protesta di un tessuto carente di un nutriente essenziale. Noi siamo fatti per essere interessati, e la noia può essere il modo che il cervello usa per dirci che manca qualcosa. Eppure, se un bambino non trascorre un po’ di tempo in questo stato problematico, come potrà mai imparare a uscirne? “Stimoliamo i nostri bambini e noi stessi sette giorni su sette, come se la noia e il vuoto fossero tossici. Ma la noia può essere un’ottima cosa, soprattutto quando i ragazzi dicono: costruiamo una casa sull’albero, facciamo uno spettacolo di marionette!”, spiega Michael Rich, professore associato di pediatria alla Harvard medical school e direttore del Centro sulla salute infantile dell’ospedale pediatrico di Boston, citato nel saggio da Klass insieme allo studio di Teresa Belton della University of East Anglia, nel Regno Unito, che ha approfondito il legame tra noia e creatività. Insieme a un collega, ha intervistato alcune persone di successo, tra cui un romanziere, un poeta, un artista e un neuroscienziato, tutti hanno citato la noia come fonte importante di ispirazione e creatività. Il neuroscienziato di cui parla Belton nello studio è Susan Greenfield, professore a Oxford, che a sua volta ha studiato i benefici della noia e le insidie dell’intrattenimento esagerato. Greenfield ha fatto notare come, nella società moderna, ai bambini vengano proposte attività programmate e narrazioni preconfezionate che, di fatto, escludono la possibilità di inventare la propria storia. “Un albero nel parco non chiede di essere scalato, un foglio bianco non chiede di essere disegnato. Non sei annoiato quando ti inventi una storia”.

Francesca Boccaletto

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