SCIENZA E RICERCA

Fusione nucleare: il sogno dell'energia pulita

Un progetto del plasma science and fusion center del Mit (Massachussettes institute of technology) e della compagnia Cfs (Commonwealth fusion systems) mira a rendere la fusione nucleare operativa, ovvero commercialmente spendibile, entro 15 anni. Lo ha dichiarato al Guardian Bob Mumgaard,amministratore delegato di Cfs.

L'esperimento pianificato si chiama Sparc, sarà più piccolo di 65 volte rispetto all'esperimento Iter (International thermonuclear experimental reactor), con sede nel Sud della Francia, in cui è coinvolto anche il consorzio Rfx  (Reversed field experiment, di cui fanno parte l’università di Padova, Cnr, Enea, Infn e Acciaierie venete Spa).

Di Sparc abbiamo parlato con Piero Martin, professore di fisica sperimentale al dipartimento di fisica e astronomia di Padova e esperto di fusione termonucleare, il processo che alimenta il sole e che stiamo tentando di riprodurre sulla Terra per far fronte alla sempre crescente domanda di energia a bassa emissione di anidride carbonica.

15 anni per rendere la fusione operativa: le sembra una tempistica realistica o troppo ambiziosa?

Se la promessa è quella di realizzare un prototipo di reattore a fusione entro 15 anni, ovvero un dispositivo pilota che produca una quantità di energia elettrica paragonabile a quella degli attuali impianti tradizionali, più che ambiziosa la definirei irrealistica. Stiamo parlando di sviluppare magneti superconduttori ad alta temperatura e a elevate prestazioni – impresa già da sola complessa e alla quale sta già lavorando ad esempio da tempo la comunità degli acceleratori di particelle – di costruire un primo dispositivo con produzione netta di energia da fusione e successivamente il prototipo del reattore commerciale. Sono progetti che vanno oltre lo stato dell’arte della tecnologia e della fisica. Sarei contento di essere smentito, ma mi sembra decisamente troppo ottimistico. 

Se invece l’idea è quella di svolgere un programma di ricerca su applicazioni di magneti superconduttori ad alta temperatura, allora 15 anni potrebbero essere un tempo ragionevole. Ma sono due sfide ben diverse e sarebbe grave confonderle, perché si rischia di generare confusione che si ritorce poi contro la credibilità della comunità scientifica. La comunicazione sulla fusione in passato ha talvolta sofferto di eccessivo ottimismo e non bisogna ripetere questo errore.

Per raggiungere la fusione l’integrazione è poi cruciale. Se trovo il modo di produrre il miglior radicchio del mondo ho certamente un ingrediente fondamentale per preparare un eccellente risotto, ma da solo non basta: mi serve anche dell’ottimo riso, un buon brodo, della cipolla, una pentola e la capacità e la pazienza per cucinare tutto insieme nel migliore dei modi. Ho bisogno dei migliori ingredienti ma anche dell’abilità di integrarli. 

D’altro canto il fatto che non sia tutto così semplice mi sembra appaia anche dal comunicato del Mit. Leggendolo non è proprio così chiaro cosa quei 15 anni realmente significhino. Il comunicato dell’Eni, ad esempio, di tempi non parla.

Tra i finanziatori del progetto infatti c'è anche Eni, con 50 milioni di dollari. Cosa ne pensa?

In generale l’interesse di investitori privati disponibili a coinvolgersi nella sfida della fusione è positivo e l’interazione pubblico-privato è utile per entrambi. Quanto al caso di Eni, spero che il suo impegno in un progetto così rischioso e dai contorni ancora incerti come quello di Mit-Cfs segni l’inizio di un coinvolgimento anche nella ricerca fusionistica made in Italy. L’Italia occupa un ruolo di primo piano a livello mondiale nella ricerca sulla fusione, sia da un punto di vista dell’ingegneria che della fisica ed offre grandi e affidabili opportunità a chi vuole investire su progetti concreti e tecnologie di punta.

Cosa già dimostrata in pratica: l’industria italiana ha ottenuto commesse hi-tech per la costruzione di componenti di Iter per circa un miliardo di euro, sbaragliando la concorrenza europea, e il nostro governo ha avviato da qualche mese la fase realizzativa del progetto Dtt, un esperimento tokamak per la cui costruzione verrà investito mezzo miliardo di euro e che studierà il controllo dei flussi di energia in condizioni di alto campo magnetico prodotto da bobine superconduttrici. Per la costruzione di Dtt ci sono già concrete manifestazioni di interesse da parte di vari paesi, inclusa la Cina. La fusione italiana è senza dubbio una solida opportunità di investimento sia per società a controllo pubblico come Eni, sia in generale per industrie che guardino al futuro della tecnologia e vogliano partecipare dei benefici e delle ricadute connessi allo sviluppo di questa fonte di energia.

La chiave di volta del progetto Mit-Cfs sembrano essere i materiali con cui verranno costruiti i magneti superconduttori: un nastro d'acciaio ricoperto di un composto di ittirio, bario e ossido di rame (Ybco). In cosa consistono questi materiali e che vantaggi danno?

I superconduttori sono materiali che offrono una bassissima resistenza al passaggio della corrente elettrica e sono quindi componenti importantissimi per un futuro reattore a fusione. In questi dispositivi il combustibile, il plasma, viene tenuto insieme da intensi campi magnetici, prodotti proprio da correnti elettriche. Usare superconduttori ha quindi molti vantaggi tecnologici, soprattutto quando occorre farli funzionare 24 ore al giorno e 365 giorni all’anno. Quelli usati oggi necessitano però di essere mantenuti a temperature molto basse (in Iter, ad esempio, saranno tenuti a 269 gradi sotto zero). La scienza sta quindi studiando materiali con proprietà superconduttive anche a temperature maggiori, e quindi più facili da gestire e in grado di produrre campi magnetici più elevati. Per ciò che riguarda le loro applicazioni di potenza siamo però ancora in fase di ricerca e infatti la prima fase del progetto del MIT riguarda proprio il loro sviluppo.

La fusione nucleare potrebbe essere una soluzione per combattere le conseguenze del cambiamento climatico?

Senza dubbio. L'obiettivo è produrre energia in grande quantità da fonti virtualmente inesauribili e ampiamente disponibili sul pianeta, libera da CO2 e sicura. La fusione produce energia elettrica “decarbonizzata”, usando come combustibile acqua e litio, in maniera sicura e senza scorie radioattive di lunga durata. La fusione sarà un elemento fondamentale di scenari energetici sostenibili e basati su vettori come idrogeno ed elettricità. 

Il progetto Sparc si annuncia essere più piccolo di 65 volte rispetto a Iter. Che cosa comporta questo e a che punto siamo oggi con i lavori del consorzio Rfx?

Le dimensioni di Iter sono il risultato di un intenso lavoro di ottimizzazione da parte di ricercatori di tutto il mondo per minimizzare i rischi e massimizzare le prestazioni. Iter è stato progettato per funzionare in maniera affidabile e per raggiungere il suo importantissimo scopo: dimostrare la fattibilità scientifica della fusione integrando tutte le necessarie tecnologie. Le sue dimensioni consentiranno di affrontare con affidabilità problemi molto complessi legati agli sforzi nei magneti, all’azione dei neutroni sui superconduttori, allo smaltimento della potenza termica del plasma e alla capacità di auto produrre il trizio necessario.

A Padova si sta dando un grande contributo al successo di Iter, con le attività di fisica e ingegneria che vedono i ricercatori coinvolti nell’esperimento Rfx e in altre macchine internazionali, nel progetto Dtt e nella realizzazione della Neutral beam test facility, il più grande laboratorio dedicato a Iter dopo Iter stesso che ha sede proprio a Padova. Il consorzio Rfx sta realizzando il prototipo di un potente acceleratore di particelle che servirà a riscaldare il combustibile di Iter. I lavori procedono a grande velocità – un altro bell’esempio della qualità della fisica e dell’ingegneria italiana – tanto che quest’anno inizieranno i primi esperimenti. Colgo l’occasione per ricordare che il laboratorio del consorzio Rfx è sempre disponibile ad accogliere visitatori che vogliano toccare con mano lo stato dell’arte della ricerca sulla fusione. Una bellissima esperienza di avvicinamento alla scienza, per capire che i fatti concreti sono la forza della ricerca.

Francesco Suman

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012