SCIENZA E RICERCA

Colori italiani sul più grande telescopio del mondo

Italia in prima linea in uno dei più imponenti progetti di astronomia da terra dell’European Southern Observatory (Eso). L’Italia delle industrie e dei laboratori di ricerca. Nel deserto dell’Atacama in Cile, a 3.000 metri sulla cima del Cerro Armazones, l’European extremely large telescope (E-Elt) sarà il più grande occhio terrestre puntato sullo spazio, il più imponente telescopio ottico/vicino-infrarosso della storia con il suo specchio primario di 39 metri di diametro. Dal 2006 più di cento astronomi e astrofisici hanno lavorato per definire le caratteristiche del nuovo telescopio: nel 2012 ne è stata approvata la costruzione, per una spesa complessiva di circa un miliardo di euro, e ora si stanno affidando gli incarichi. 

Ad aggiudicarsi una commessa di 400 milioni di euro per la costruzione della cupola e della struttura portante del telescopio, il contratto più cospicuo mai assegnato dall’Eso, è stato proprio un consorzio di aziende italiane composto da Astaldi, Cimolai ed Eie Group (come sottocontraente incaricato). I numeri sono indicativi della mole dell’impresa, se si considera che l’enorme cupola rotante misurerà 85 metri di diametro, sarà alta quasi 80, con un peso totale di circa 5.000 tonnellate. “Le aziende italiane che hanno ottenuto il lavoro – commenta Massimo Turatto, direttore dell’Inaf-Osservatorio astronomico di Padova – hanno presentato probabilmente un’offerta economica considerata ragionevole, ma a contare è anche l’esperienza maturata da tempo nel settore. Astaldi e Cimolai sono colossi industriali che operano sul piano internazionale. Al loro attivo hanno la costruzione di ferrovie, metropolitane, aeroporti, dighe. Eie Group, un’azienda di Mestre, è specializzata nel disegno e nello sviluppo di strumentazione astronomica e ha già collaborato con l’Eso”. Come nel caso del large binocular telescope in Arizona e del very large telescope in Cile. Ma le collaborazioni di Eie Group, ad esempio, sono anche con il francese Institute des Sciences de l’Univers, con l’università di Tokyo, con l’Istituto nazionale di  Astrofisica (Inaf). Ente di ricerca, quest’ultimo, a sua volta con un ruolo di primo piano nella progettazione e realizzazione di E-Elt.     

Sarà proprio l’Inaf infatti, che rappresenta l’Italia all’interno dell’Eso, a coordinare un consorzio internazionale per la progettazione e costruzione di “Maory”(Multi-conjugate adaptive optics relay), un sistema di ottiche adattive che verrà installato su E-Elt in grado di compensare la turbolenza atmosferica, uno dei principali problemi dei telescopi terrestri. “Un telescopio di 40 metri – spiega Turatto – non solo riceve tantissima luce perché è di dimensioni molto grandi, ma ha una definizione d’immagine eccezionale che rischia però di essere compromessa dalla turbolenza dell’atmosfera terrestre. Per far fronte a questo problema in Italia, e in particolare a Padova, abbiamo sviluppato delle tecnologie che modificano la forma dello specchio così da compensare l’aberrazione introdotta dall’atmosfera. Senza questa tecnologia non avrebbe senso costruire telescopi di queste dimensioni, perché quelli spaziali sarebbero comunque migliori”. L’Istituto nazionale di astrofisica avrà anche il coordinamento del consorzio Hires (High resolution spectrograph) per la realizzazione di uno spettrografo ad alta risoluzione  di cui sarà dotato E-Elt, al quale lavoreranno oltre 30 istituti di ricerca in 12 nazioni europee e sudamericane. 

Una volta ultimato, nel 2024 secondo la tabella di marcia, E-Elt consentirà di indagare in modo dettagliato i pianeti extrasolari, i buchi neri supermassicci, la natura e la distribuzione della materia oscura nell’Universo, solo per fare alcuni esempi, contribuendo ad aumentare in maniera consistente le attuali conoscenze nel campo dell’astrofisica. Ma sarà importante arrivare primi, sottolinea Turatto, dato che esistono altri due progetti americani per l’astronomia da terra che prevedono la costruzione di altrettanti telescopi di dimensioni simili a E-Elt, il Thirty meter telescope nelle isole Hawaii e il Great magellan telescope in Cile. Precedere gli altri significherà essere in prima linea sul fronte delle nuove scoperte. Ma non solo.  

Per costruire strumentazione è necessario sviluppare nuove tecnologie le quali potranno poi trovare impiego anche in ambito industriale. Dunque, con ampie ricadute degli investimenti iniziali sul piano sociale ed economico. Gli studi di ottica condotti a scopo di ricerca, ad esempio, hanno già trovato applicazione in oftalmologia. Mentre a nuove tecnologie di archiviazione e trasmissione dati stanno lavorando gli scienziati di Ska, Square kilometre array, e un giorno probabilmente quelle in fase di elaborazione sostituiranno le attuali (come i compact disc). “Essere i primi a sviluppare nuove tecnologie – sottolinea Turatto – significa avere l’industria pronta per l’applicazione su larga scala ed, evidentemente, avere un vantaggio rispetto ai competitors”. Un’osservazione che dovrebbe tenere presente chi si chiede a cosa serva investire in ricerca nello spazio, nel caso specifico, se ancora le ragioni culturali non bastassero.

Monica Panetto

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012