SOCIETÀ
Alle radici della crisi venezuelana
Caracas, 19 febbraio 2014. Foto: Reuters/Daniel Becerril
Mentre l’Ucraina attraversa giorni drammatici, in Venezuela va intensificandosi il movimento di protesta contro il presidente Nicolás Maduro, successore di Hugo Chávez e guardiano dell’eredità politica del movimento chavista. L'opinione d David Smilde, sociologo della University of Georgia e profondo conoscitore del Paese sudamericano.
“Le manifestazioni sono cominciate un paio di settimane fa, organizzate inizialmente da un piccolo gruppo di studenti della classe media che si oppongono al governo – spiega David Smilde, che si trova in questo periodo nella capitale Caracas – Il loro messaggio principale è a favore delle libertà democratiche, di espressione e di riunione, e contro la criminalizzazione del movimento stesso”. In particolare, i giovani venezuelani stanno reagendo con sempre più determinazione ai modi brutali impiegati dalle forze dell’ordine, che anziché disperdere i manifestanti ne stanno ingrossando le fila.
Un passo falso, forse, da parte di Maduro, che molti accusano di aver orchestrato personalmente la repressione in atto. “Io non credo che le cose stiano esattamente così – dice Smilde – Però è certo che, come minimo, il governo non è stato finora in grado di controllare le forze dell’ordine e garantire la sicurezza dei dimostranti”. Poliziotti, agenti dell’intelligence e anche i membri dei cosiddetti “colectivos”, temuti gruppi armati pro-governativi, non hanno esitato ad aprire il fuoco, causando per ora la morte di cinque persone (tra cui anche un sostenitore di Maduro). L’ultima vittima, la ventiduenne Genesis Carmona - uccisa non a Caracas ma a Valencia, subito a ovest della capitale - ha suscitato grande indignazione giacché l’anno scorso era stata incoronata reginetta in un concorso nazionale di bellezza.
Le manifestazioni hanno portato, il 18 febbraio, all’arresto di Leopoldo López, l’uomo politico che si è più esposto a sostegno delle proteste e che ora rischia di essere incriminato, tra le altre cose, anche per terrorismo. Peraltro, López ha così soppiantato in popolarità Henrique Capriles, sconfitto da Maduro nelle ultime elezioni (dell’aprile del 2013), e si trova ora a occupare la posizione di nuovo leader dell’opposizione.
Per conto loro, Maduro e i suoi accusano gli Stati Uniti, cui non è mai andato giù né Chavez né il chavismo, di interferire nelle vicende venezuelane nella speranza di provocare la caduta del governo socialista. Washington, sostengono le autorità di Caracas, sarebbe colpevole di finanziare e organizzare i gruppi di opposizione responsabili degli scontri di queste settimane. Le dichiarazioni fatte nei giorni scorsi dal segretario di Stato John Kerry, che si è detto allarmato del trattamento dei manifestanti da parte delle autorità, hanno alimentato ulteriormente la polemica. Tant’è che Maduro ha fatto espellere tre diplomatici americani. “È vero che gli Stati Uniti danno soldi ad alcune organizzazioni non governative venezuelane che sono critiche del governo – dice Smilde, che scrive anche sul blog del Washington Office on Latin America, un centro di ricerca cui è affiliato – Ma non mi pare che la cosa sia particolarmente rilevante per gli avvenimenti di questi giorni”. Piuttosto, Maduro sta utilizzando astutamente lo spauracchio americano per sviare l’attenzione del pubblico dalle ragioni dei manifestanti. “Quello dell’interferenza nella sovranità venezuelana da parte di potenze straniere è un punto molto sentito dalla gente di qui, data la storia dell’America Latina”, dice Smilde.
A fare da sfondo al tumulto di questi giorni è in realtà il malessere crescente di una parte almeno della popolazione rispetto alle condizioni precarie in cui versa il Paese, in particolare la difficile situazione economica e il dilagare di criminalità e violenza di strada. L’opposizione considera Chavez, le cui rigide politiche di controllo dei prezzi e della valuta hanno lasciato a Maduro un’inflazione fuori controllo (+56,3% negli ultimi dodici mesi) e una scarsità sempre più evidente di beni di prima necessità, personalmente responsabile della crisi. Crisi che però colpisce di più la classe media e medio-alta che i lavoratori poveri che formano da sempre lo zoccolo duro del movimento chavista e quindi, per adesso, non minaccia direttamente la sopravvivenza del partito di governo. “Paradossalmente, in Venezuela oggi c’è maggiore scarsità di beni di consumo, ma i consumi di per sé sono in crescita – dice Smilde - Il che significa che il venezuelano medio ha più accesso a cibo, servizi sanitari e istruzione, ma la loro reperibilità e qualità complessiva si stanno nel frattempo deteriorando”.
L’opposizione, che rappresenta la classe media arrabbiata, continua però a fare, secondo Smilde, lo stesso errore di sempre: si intestardisce su una strategia politica incentrata solo sulla mobilitazione della propria base elettorale e non prova a allargare la propria piattaforma politica anche altri gruppi demografici, ad esempio i sempre più numerosi disillusi del chavismo. È quindi possibile che anche questo movimento di protesta, come già i precedenti, sia destinato semplicemente a dissolversi nelle prossime settimane.
Due eventi potrebbero però far precipitare la situazione a favore dell’opposizione: un’intensificazione della crisi economica, con più inflazione, più scarsità e più disoccupazione, e la violenza contro i manifestanti. “I venezuelani sono profondamente democratici – dice Smilde - e credono fermamente nei propri diritti”. Difficile che accettino quindi con leggerezza la repressione violenta delle proteste in corso.
Valentina Pasquali