UNIVERSITÀ E SCUOLA

Disagio in famiglia: la sperimentazione parla con un'app

“Siamo partiti con una sperimentazione su otto famiglie a Bassano – spiega Paola Milani, docente del dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’università di Padova – e non avremmo mai pensato di ottenere un riscontro tale a livello nazionale”. Si tratta del programma che l’università di Padova sta portando avanti da qualche anno allo scopo di ridurre il numero di bambini che rischiano di essere allontanati dai propri genitori per problemi economici, di abbandono o trascuratezza della famiglia. Pippi (è il nome del progetto che sta per Programma di intervento per prevenire l’istituzionalizzazione) si basa su una rete di sostegno alla famiglia fatta da rappresentanti politico-istituzionali, équipe multidisciplinari (composte da assistenti sociali, psicologi, educatori a domicilio, pediatri), scuola e coinvolge altre famiglie come appoggio.

Dopo la fase iniziale molte città hanno chiesto di prendere parte al programma, al punto da spingere oggi il ministero del lavoro e delle politiche sociali a premiare Pippi con tre milioni di euro di finanziamento. Risorse che permetteranno, nel 2014/2015, di coinvolgere tutte le regioni d’Italia (a eccezione della provincia di Trento, della Valle D’Aosta e delle Marche), per un totale di 500 famiglie.

Il modello teorico e operativo su cui si fonda il progetto è tanto semplice nella sua immediatezza, quanto articolato negli strumenti che offre. Basta immaginare un triangolo (nel senso letterale del termine) e metterci all’interno un cerchio: ambiente, bisogni di sviluppo del bambino e competenze dei genitori rappresentano le tre dimensioni in cui si colloca il ragazzo, messo al centro dell’intervento educativo. Di volta in volta gli educatori lavorano con la famiglia su questi aspetti, registrando e condividendo i risultati su una piattaforma web (RPM online). E approda oggi su tablet: con una app sviluppata nell’ateneo padovano dallo stesso team, formato dal Laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare, dal dipartimento di ingegneria dell'informazione e dal centro servizi informatici di ateneo. Un’applicazione “smart”, più interattiva e di facile utilizzo, naturale prosecuzione della piattaforma attualmente in uso.

L’obiettivo è di sostenere il lavoro di raccolta dati dell’operatore sociale direttamente sul campo e la condivisione in tempo reale con gli altri membri dell’équipe. Non solo: il nuovo strumento permette infatti sia al bambino che ai genitori di partecipare al percorso educativo, esprimendo direttamente e in modo autonomo i propri bisogni. Come? Grazie a un bottone in bella vista nella nuova app che consente di scegliere tra modalità “bambino”, “genitore” e “operatore”: a seconda dell’impostazione cambiano il linguaggio e le funzioni, pur all’interno dello stesso modello teorico e operativo di base.  

“Si è scelto di sviluppare l’applicazione – spiega Carlo Fantozzi docente del dipartimento di ingegneria dell'informazione e coordinatore della parte informatica – in ambiente Android da un lato per la densità di informazioni da visualizzare in alcune schermate, dall’altro per l’accessibilità dei costi in previsione della diffusione dello strumento a livello nazionale”. L’intenzione, infatti, è di fornire l’applicazione agli operatori e alle famiglie che, ormai sempre più spesso,  possiedono un tablet e possono così utilizzarla senza alcuna spesa aggiuntiva.

I primi feedback da parte degli operatori di Genova e Venezia a cui è stata sottoposta RPMapp sono stati positivi e a partire da gennaio la sperimentazione avrà luogo con le famiglie. "L'utilizzo dell'app – sottolinea un educatore di Venezia che ha testato lo strumento – può davvero metterci in un rapporto di vicinanza e di immediatezza sia con i bambini che con i genitori. Ci aiuta a cambiare la logica di potere tra servizi e famiglie e contemporaneamente facilita e velocizza il lavoro di documentazione finalizzato anche a valutare i nostri interventi”.

E Paola Milani conclude: “Il nostro obiettivo principale è di fungere da traino per un cambiamento culturale, per nuove politiche di intervento che facciano della famiglia, pur in difficoltà, un elemento attivo nel processo di crescita guidato dagli operatori”. Un percorso che pone accanto all’intervento sul territorio, attività di ricerca e formazione del personale coinvolto.

M.Pa.

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