SCIENZA E RICERCA

L'inafferrabile ontologia delle specie

Che cosa sono le specie? La domanda potrà sembrare banale, visto che stiamo parlando di una delle categorie fondamentali nelle scienze della vita. Saremmo tentati di supporre che qualsiasi biologo debba sapere esattamente che cos’è una specie e come distinguere una specie da un’altra.

Ma la realtà è assai più complicata e attorno al “problema delle specie” si arrovellano da decenni biologi e filosofi della biologia. Esistono infatti più di 20 definizioni valide del concetto di specie, ciascuna con vantaggi e limiti, ciascuna preferibile per certi domini della vita rispetto ad altri, ciascuna ritenuta plausibile a seconda degli interessi di ricerca di chi l’ha formulata. Come districarsi in questo ginepraio? Qual è lo statuto ontologico di queste elusive entità?

Esattamente 40 anni fa, nel 1974, un biologo e filosofo della biologia americano propose una “soluzione radicale” al problema delle specie che fece a lungo discutere. Michael T. Ghiselin è una figura poliedrica esemplare. Lavora presso la California Academy of Sciences e dagli anni Sessanta ha pubblicato contributi fondamentali in biologia marina (sue le più importanti ricerche sulle difese chimiche negli opistobranchi) e nell’evoluzione dei comportamenti sessuali (è sua la teoria che spiega i vantaggi dell’ermafroditismo sequenziale legato alla taglia corporea). Gli hanno dedicato una specie e una sostanza chimica usata dai suoi gastropodi prediletti. Ma Ghiselin è anche uno storico della biologia: nel 1969 pubblicò un volume, dal titolo Il trionfo del metodo darwiniano, nel quale spiegava l’unitarietà della grande sintesi darwiniana e per la prima volta si descriveva la modernità del metodo scientifico del naturalista inglese, un metodo innervato di arditi modelli ipotetico-deduttivi e non riducibile a una mera collezione di diligenti osservazioni empiriche.

Per alcuni anni Ghiselin ha tenuto come visiting professor all’università di Siena la prima cattedra di Bio-economia, disciplina che studia i legami fra biologia ed economia, nonché l’applicazione di modelli evoluzionistici nelle scienze economiche.

Tuttavia, è come filosofo della biologia che Ghiselin ha affrontato lo spinoso problema ontologico delle specie. Per districarlo, a suo avviso, bisogna prendere le mosse da una fondamentale dualità: quella fra generi naturali e individui. I generi naturali sono classi di entità, definite in base a proprietà inerenti: sono cioè tipi astratti o essenze (come gli elementi chimici o le categorie di corpi celesti), senza vincoli spazio-temporali, e con membri interni che rispettano le proprietà della classe. Gli individui sono invece totalità composite e coese, dotate di concretezza e di una realtà spazio-temporale definita (nascono, si trasformano, muoiono). Non hanno membri interni, ma parti componenti che si relazionano a un tutto, come le cellule, i tessuti e gli organi in un organismo.

Le classi astratte non evolvono e non sono parte di processi, gli individui sì. Le classi obbediscono alle leggi di natura generali, gli individui alla storia e alle sue contingenze. Le scienze della vita hanno bisogno delle une e degli altri, come ordini differenti ma interdipendenti: leggi di natura e storia.

Dunque, che cosa sono le specie in questo contesto? Se le intendiamo come una categoria (la specie biologica) sono una classe e per definirla Ghiselin predilige la nozione biologica di specie formulata da Ernst Mayr: insiemi di popolazioni riproduttivamente isolati, con il sesso come collante che dà coesione. Ma se stiamo parlando delle specie che compongono a milioni la biodiversità terrestre, quelle non sono generi naturali ma individui, proprio come gli organismi. Hanno una relativa stabilità e un’identità individuale. Sono un tutt’uno con le loro parti, gli organismi. E proprio come gli organismi, nascono (la speciazione), si trasformano, talvolta figliano e prima o poi si estinguono.

Telmo Pievani

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