SCIENZA E RICERCA

Morte improvvisa: la scoperta di un nuovo gene aiuterà la prevenzione

Si stima che ogni anno in Italia muoiano di morte improvvisa circa 100.000 persone. Si tratta di un decesso che avviene in modo istantaneo, in apparente assenza di qualsiasi sintomo o comunque entro un’ora dall’inizio della sintomatologia acuta riferibile al cuore (dolori toracici, palpitazioni..) e colpisce soggetti in pieno benessere. Nel 30-40% dei casi nei giovani sono dovute a malattie ereditarie e una delle cause più frequenti è la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, una malattia riferibile a mutazioni genetiche e che provoca ogni anno due morti ogni 100.000 persone.

Uno studio recentemente pubblicato sull’European Heart Journal da un gruppo di ricercatori dell’università di Padova coordinato dal professor Gaetano Thieneha individuato un nuovo gene, il gene “alfa-T-catenina”, correlato alla cardiomiopatia aritmogena. Le ricerche per la prima volta documentano che le mutazioni nella sequenza del gene sono associate alla morte improvvisa, una scoperta che ha un’importante ricaduta sulle possibilità diagnostiche, che aumentano del 10%, e sulla possibilità di misure preventive.

Negli ultimi dieci anni sono stati cinque i geni individuati nella cardiomiopatia aritmogena nel laboratorio di genetica umana molecolare diretto dalla professoressa Alessandra Rampazzo, del dipartimento di biologia. Le ricerche più recenti si concentravano sulla mutazione delle proteine di particolari geni, i geni desmosomiali quali la desmogleina-2, che fa riferimento ai desmosomi, le giunzioni proteiche che legano fra loro le cellule dei tessuti. Ora l’attenzione si è spostata sul gene “alfa-T-catenina”, importante per la stabilità delle giunzioni intercellulari, in particolare della “fascia adherens”, la cui fragilità causa la morte della cellula. 

“Quando il gene che codifica proteine per le giunzioni intercellulari ha una mutazione – spiega Thiene – stampa una proteina sbagliata e questa finisce per scollare i cardiomiociti, cioè le cellule contrattili del cuore, determinandone la morte, a cui segue una riparazione cellulare con tessuto fibro-adiposo. Questo provoca difficoltà nella trasmissione dell’impulso elettrico con conseguenti aritmie talvolta così gravi da causare morte improvvisa. La comparsa delle manifestazioni cliniche della malattia è in genere legata all’esercizio fisico, in conseguenza del quale il paziente riporta palpitazioni e tachicardia ventricolare che può evolvere in fibrillazione ventricolare”.

“L’obiettivo delle nostre indagini – continua Thiene – è ora quello di capire perché muoiono queste cellule. L’aver scoperto un ulteriore gene associato alla malattia aumenta dal 50 al 60% le possibilità di diagnosi preventiva. La diagnosi genetica consente di individuare i portatori del gene malato che non hanno ancora contratto la malattia, ma che potrebbero manifestarla nel futuro, permettendo di mettere in atto misure preventive. La diagnosi dunque è possibile ed è possibile anche l’identificazione delle basi genetiche. Le diverse mutazioni hanno diverse malignità e quindi possono avere prognosi più o meno sfavorevoli. A quel punto si può intervenire con farmaci oppure con un defibrillatore impiantabile (con un catetere che entra nel cuore), o esterno, che si applica sul petto dei pazienti. Si tratta di una malattia non presente alla nascita ma che si manifesta verso i 10-15 anni con la crescita del cuore. Alla nascita è presente il difetto genetico. Probabilmente l’attività ludico-sportiva, e il carico sul cuore favoriscono l’insorgere della patologia, tanto che si teme che lo sport faccia male non solo perché evoca le aritmie ma perché accelera i fenomeni di progressione della malattia”.

Lo studio vede la collaborazione di  studiosi del dipartimento di biologia del dipartimento di scienze cardiologiche, toraciche e vascolari con la professoressa Cristina basso, Domenico Corrado e Barbara Bauce, mentre  l’équipe genetica è composta da sei ricercatrici, Martina Calore, Emanuela Dazzo, Marzia De Bortoli, Alessandra Lorenzon, Ilena Li Mura e Giorgia Beffagna, tutte sotto i 40 anni. La soddisfazione per questo successo porta con sé un pizzico di amarezza: nonostante la loro bravura sono tutte precarie e la prosecuzione delle loro ricerche non è assicurata. 

Un contributo importante viene però dai finanziamenti esterni: 430.000 euro dalla fondazione Cariparo, cui si aggiungono in questi giorni altri 80.000 euro donati dall’associazione ARCA per istituire una posizione di dirigente medico cardiologo per lo screening clinico genetico delle famiglie affette da cardiomiopatia aritmogena. 

Monica Panetto

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