SOCIETÀ

Trattamento dei detenuti: siamo fuori dalla Costituzione

Riflettere sulla pena e sulla sua esecuzione nel nostro ordinamento è compito esclusivo degli esperti di diritto penale, o anche i costituzionalisti hanno qualcosa da dire? Parte da qui la riflessione di Andrea Pugiotto, docente di diritto costituzionale a Ferrara, che a Padova ha tenuto una lezione in cui ha provato a dimostrare non solo che quanti operano in questo ambito giuridico hanno senz'altro voce in capitolo, ma che le norme penali e la loro applicazione presentano moltissime implicazioni, e comportano altrettante controversie, su cui chi studia la Costituzione ha l'obbligo di riflettere e pronunciarsi. Secondo Pugiotto esistono diversi esempi di come la pena, tanto nella sua traduzione in testo di legge (dimensione statica) quanto nella sua esecuzione (dimensione dinamica) possa fuoriuscire dal dettato e dai princìpi della Carta: esempio della prima specie, l'ergastolo; della seconda, l'internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari o il sovraffollamento carcerario. Fattispecie diverse (pena propriamente detta, nel primo caso; misura di sicurezza, oppure conseguenza dell'applicazione distorta della pena, nel secondo) ma tutte, per Pugiotto, riconducibili a un medesimo principio: ogni misura afflittiva va considerata giuridicamente come pena e valutata come tale; e non è rilevante, in questo senso, se in un dato ordinamento le diverse misure abbiano qualificazioni differenti. È la linea su cui si muove da tempo la Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha condannato l'Italia su questioni come, appunto, la condizione dei detenuti o l'esistenza dei manicomi giudiziari badando al rispetto sostanziale dei diritti di chi è sottoposto, secondo la Corte europea, a trattamenti inumani, e senza troppo dissertare sulla natura giuridica dei provvedimenti in base ai quali una persona viene privata della libertà o della dignità. Un modo di argomentare radicalmente diverso da quello della nostra Consulta quando ad esempio, nel valutare la costituzionalità dell'ergastolo, lo ha ritenuto legittimo in quanto, nella prassi, è una pena non perpetua: qui, secondo il docente, la Corte ha rinunciato al suo compito di valutare il testo di legge (e quindi la previsione astratta di un "fine pena mai") per privilegiare l'aspetto della sola applicazione della pena, che con l'istituto della liberazione condizionale "neutralizza" la morte in carcere dell'ergastolano. Eppure, secondo Pugiotto, gli aspetti di inconstituzionalità connessi alla previsione normativa dell'ergastolo abbondano: si pensi all'ergastolo con isolamento diurno, o l'ergastolo ostativo, che impedisce la concessione dei benefici penitenziari. Tutti casi in cui appare violato il disposto costituzionale del "senso di umanità" nell'applicazione della pena, così come la finalità di "rieducazione" cui essa deve "tendere" (tendere, perché, in quest'ottica, non è pensabile una rieducazione del detenuto contro la sua volontà). Finalità rieducativa che, per la stessa Consulta, è l'unica che la Costituzione attribuisca alla pena: abbandonando così, con la sentenza 313/90, le precedenti teorie sulla pluralità di scopi cui la pena sarebbe ordinata, compresi, quindi, quelli punitivi. Sembra coerente, da questo punto di vista, l'abolizione che (soltanto nel 2007) il nostro Parlamento ha deciso dell'ultimo caso in cui il nostro ordinamento consentiva la pena di morte (le leggi militari di guerra): in questo modo si è eliminata l'ultima eccezione al principio della finalità esclusivamente rieducativa della pena, e si è sancito che, per il nostro ordinamento, nessuna persona è da considerare perduta alla società e alla convivenza civile. Un caso di mancata applicazione del dettato della Carta è invece, per Pugiotto, il comma che prevede che le violenze fisiche e morali sulle persone private della libertà siano sanzionate: una lacuna che, per il giurista, è determinata dall'assenza del reato di tortura. La tutela dei diritti involabili dell'uomo riguarda il detenuto per tutta la durata della restrizione della sua libertà: la Consulta stessa ha rimarcato come la limitazione dei diritti è ammissibile solo per le esigenze strettamente correlate alla loro condizione di carcerati. Appare così indifferibile, secondo il costituzionalista, adeguarsi alla condanna della Corte europea, che ci impone in tempi strettissimi di risolvere il dramma del sovraffollamento delle carceri: un problema il cui unico rimedio immediato, per Pugiotto, è ricorrere ad amnistia ed indulto, e non certo costruire nuovi istituti di pena. A sostegno della sua tesi, il docente cita Flick: pensare di diminuire il numero dei detenuti ampliando la capienza delle carceri è efficace quanto lo è stato, a Roma, costruire il Raccordo anulare per eliminare le code.

Martino Periti

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