SCIENZA E RICERCA

Ti dico di no per spiegarti chi sono

Niente regali ai dipendenti pubblici. Una precisazione normativa, quella che si trova in tutti i codici di comportamento, che fa salva l’integrità di chi lavora nelle amministrazioni dello Stato. Perché in fondo di questo si tratta e gli statali, si sa, hanno bisogno di una legge per rigare dritti... Dire di “no”, in questa come in molte altre situazioni, significa mantenersi fedeli ai propri valori e ai propri principi. Ma un rifiuto non è solo questo.

Secondo Adam Grant, docente all’università Wharton in Pennsylvania e autore del best-seller Give and take: a revolutionary approach to success pubblicatonel 2013, la capacità di rispondere di no soprattutto sul posto di lavoro è una delle più importanti abilità che una persona dovrebbe possedere. Innanzitutto per un giusto equilibrio tra vita privata e professionale: senza questa capacità il lavoro finirebbe per “cannibalizzare” la nostra vita. Saper porgere un rifiuto spinge, invece, gli altri a rispettare i nostri tempi e a interpellarci solo con richieste realmente importanti. Il nostro “sì” diventa più significativo e carico di una competenza specifica che altrimenti verrebbe ridotta a un generico gesto di aiuto. Certo, dire di no al proprio superiore non è così facile e talvolta privo di conseguenze, eppure gli psicologi non mancano di sottolinearne il valore. Sfortunatamente, sottolinea Miki Kashtan, co-fondatrice di Bay area nonviolent communication, i capi che riconoscono quanto possa essere prezioso un “no” non sono molti, sebbene sia sinonimo di onestà intellettuale e fiducia. E proprio i leader che da questa collaborazione potrebbero trarre i migliori risultati, rischiano di non poter contare su una qualità così preziosa: troppo forte il timore che il loro ruolo riesce a incutere.    

Dal lavoro alla vita privata dire di no significa comunicare chi siamo. Judith Sills, psicologa e autrice tra gli altri del libro Excess baggage: getting out of your own way, sottolinea su Psychology Today come la capacità di dire di no contribuisca a definire la nostra personalità. “Dire no – sostiene – stabilisce il ‘perimetro’ del nostro io. È come se dicessimo: questo è quello che sono; questo è quello che farò e che non farò; così è come ho scelto di agire”. Rifiutare l’invito di un amico, un’uscita a cena, la richiesta di un figlio significa riconoscere i propri limiti da un lato e i propri obiettivi dall’altro, senza permettere a chi ci sta intorno di influenzare le nostre scelte. Perché dire di no significa innanzitutto scegliere e, a volte, saper cambiare strada nonostante le aspettative degli altri. Implica, cioè, equilibrio e autenticità.

Eppure, comunicare un rifiuto non è sempre facile e anzi, per molti, è una vera impresa. Dire di no può creare conflitti e deludere chi ci sta di fronte, cosa che può indurci ad abbozzare un sì tra i denti (e magari non sentito) piuttosto che un no. 

E in effetti sembra che il nostro cervello reagisca in modo più veloce, intenso e persistente a un segnale negativo che a uno positivo. Un no è più “forte” di un sì. A spiegarlo, già nel 2001, è Roy F. Baumeister dell’università statale della Florida che sottolinea come le esperienze negative abbiano un impatto più duraturo di quelle positive di pari intensità. Le cattive impressioni sono più veloci a formarsi e più dure a morire rispetto alle opinioni positive e, allo stesso modo, le informazioni negative contribuiscono in maniera più determinante alla formulazione di un parere. Ne consegue che una comunicazione di tipo “positivo” e una di tipo “negativo” avranno un impatto differente sugli interlocutori. 

E in precedenza John Cacioppo, docente all’università di Chicago, e il suo gruppo attraverso la misurazione dell’attività elettrica del cervello hanno dimostrato che le informazioni negative portano a un rapido aumento dell’attività cerebrale. Registrando i potenziali cerebrali evento-correlati, cioè la risposta cerebrale a un pensiero o a una percezione (misurabile con elettroencefalografia), hanno infatti verificato che i potenziali negativi avevano una maggiore ampiezza rispetto a quelli positivi. Come dire, un’offesa colpisce di più di un complimento.

E allora qualche consiglio per chi fatica a dire di no. Innanzitutto, sottolinea Judith Still, si dovrebbe iniziare a sostituire il “sì” immediato con un “ci penso”, in questo modo ci si dà la possibilità di valutare la situazione: l’eventuale risposta negativa non sarebbe dettata dall’impulsività ma da una scelta ponderata. In secondo luogo, potrebbe tornare utile ammorbidire il linguaggio con frasi del tipo “è una buona idea, ma non sono in grado di aiutarti”. Un no detto con garbo viene accettato più facilmente. È molto importante, inoltre, saper controllare le proprie emozioni, senza apparire egoisti e incuranti di chi ci sta di fronte: esporre con calma la propria posizione, spiegandone le ragioni, riduce nell’interlocutore l’impatto negativo del nostro rifiuto. Secondo Grant, poi, negoziare la propria decisione “per conto terzi” renderebbe tutto più facile, immaginando cioè che gli interessi in gioco non siano i propri ma di qualcun altro.    

Il problema in fondo è tutto qui: farsi rispettare e dire quello che si pensa, senza prevaricare l'altro. Che si dica di sì o di no.

M.PA.

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