CULTURA

Cinema: la sfida di Sarah, Antigone sul Mar Caspio

Antigone ha il volto di una ragazzina, Sarah, figlia di un pescatore dell’Azerbaijan. Nella Penisola di Absheron, che da Baku si protende nel Mar Caspio, ventosa e scabra, un villaggio costiero è turbato dalla scomparsa del padre di Sarah durante una tempesta. Ma in un luogo in cui regna la povertà, allo sconcerto della gente si sostituisce presto la rassegnazione, preludio alla ripresa immediata del lavoro. Trascorso qualche giorno in ricerche superficiali, il popolo vuole tornare alla quotidianità, secondo la legge del bisogno. Menzer, madre di Sarah, accetta come nuovo compagno il cognato, fratello dello scomparso. E una donna del paese già mette gli occhi su Sarah per il proprio figlio, imbelle e con il doppio degli anni di lei.

I paesani, intanto, sono inquieti: anche se il corpo non si trova, urgono le esequie, con la bara vuota, per non attirare l’ira del mare. Ma Sarah, giovanissima donna in una società dominata da uomini anziani, si ribella: sfidando tutto il villaggio, si oppone al funerale finché non sarà riuscita a trovare le spoglie del padre.

The Fisherman’s Daughter, coproduzione russo-azera diretta da Ismail Safarali e vista al Tertio Millennio Film Fest, è una tragedia classica ricreata nel Caucaso di oggi, in un borgo di mare senza tempo, governato dalla necessità e da retaggi arcaici e tribali. La narrazione è lenta, sospesa, ha il ritmo della risacca del Caspio e dei venti che lambiscono la costa, ora benedizione per la pesca, ora condanna a morte per le barchette malsicure di questi Malavoglia dell’Asia centrale. Se il ritmo e l’atmosfera sono quelli del mito, con la giovane eroina che si contrappone alle leggi comunitarie per seguire quelle della pietà umana, la storia però si intreccia con tematiche attualissime: il ruolo subordinato della donna, le spose bambine, la superstizione ancora viva e fonte di obblighi e rituali, l’emarginazione del diverso. Sarah non è invisa al villaggio solo perché si oppone al funerale in assenza del morto, lasciando che i compaesani cadano preda della paura per i presagi cupi che sembrano infittirsi (le acque senza pesci, un parto finito tragicamente). Sarah sovverte ogni valore tradizionale di quella microsocietà immutabile: osa opporsi alle nozze combinate, sfugge all’autorità del viscido zio, non accetta di perpetuare la sottomissione incarnata dalla madre. E, soprattutto, non teme di frequentare alla luce del sole Farid, adolescente d’animo puro, ma spregiato da tutti, per motivi non chiariti (anche il padre è evitato dagli abitanti del villaggio). La diversità di Sarah è simboleggiata dal colore dei suoi vestiti, un rosso vivo sfacciato che ferisce l’atmosfera tenue degli ocra e azzurri che dominano il cielo e la terra, degli abiti scuri e dimessi delle altre donne del paese.

Ismail Safarali è un regista dal curriculum atipico. Master in economia in una prestigiosa università Usa, l’avvio di una carriera brillante in campo bancario, poi la conversione al cinema (“Mi annoiavo”). Alcuni corti, e il debutto nel lungometraggio con questo film prezioso, in cui i personaggi parlano poco: la colonna sonora è fatta con i silenzi dei compaesani, gli sguardi adirati o speranzosi, l’onnipresente rumore del mare, il volto di Sarah quasi bambina, che scardina un sistema sociale vecchio di secoli con coraggio e ostinazione. Leggendo le note di regia, apprendiamo che il soggetto è autobiografico: nasce dall’angoscia del regista quando il padre scomparve per una settimana. Ma il lutto della perdita si eleva, in The Fisherman’s Daughter, a denuncia sociale. E l’amore per una terra antimoderna, dura e fascinosa (che traspare dalle lunghe sequenze in cui, dall’alto, lo spettatore corre con lo sguardo tra le geometrie delle scogliere e l’infinita gamma delle tonalità delle acque) si accompagna al grido contro le iniquità di regole medioevali, che condannano due adolescenti al disprezzo collettivo per aver passato una giornata insieme allo zoo.

Il finale del film, con la fuga solitaria in barca di Sarah alla ricerca del padre nelle secche lontane, ci riporta al mito e alle ritualità che sottende, in una dimensione onirica che è anche, finalmente, di pacificazione. Speriamo che The Fisherman’s Daughter, una volta passata la tempesta del Covid, conquisti lo spazio che merita sul grande schermo; e che la quattordicenne protagonista, Khamail Gasanova, prosegua al meglio una carriera inaugurata con un personaggio che non si dimentica.

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