CULTURA

La doppia Tempesta di Verona tra Shakespeare e la politica

Triste spettacolo, la cultura dilaniata da appetiti politici. In un mondo ideale, penseremmo che la nomina di coloro che devono dare forma e colore ai nostri sogni risponda a una sola logica: i più capaci, creativi, anticonformisti. E invece istituzioni prestigiose rimangono congelate per mesi, per anni a disquisire sulle implicazioni partitiche della scelta di questo o quel candidato. È successo a Verona: l’Estate Teatrale, una delle rassegne più prestigiose d’Europa, nata 71 anni fa al Teatro Romano come festival shakespeariano di prima grandezza, era pietrificata da anni dall’incapacità di trovare un successore allo storico direttore, Gianpaolo Savorelli. Bandi, proroghe, rinvii, polemiche, mentre a Savorelli, a più riprese, si chiedeva a mezza voce di restare a gestire una transizione che non finiva mai. Si è finalmente scelto: nuovo direttore artistico sarà Carlo Mangolini, per anni responsabile del settore teatro di Operaestate Festival, e già le ciarle politiche si abbattono sulla nuova nomina, accusando il designato (oggi in forza allo Stabile del Veneto) di essere parte di un progetto di colonizzazione dell’Estate Teatrale da parte dell’istituzione veneziana. Prima che Mangolini abbia potuto pronunciare una sola sillaba ed enunciare una larva di progetto. Ma terminiamo il prologo depressivo, e parliamo di teatro.

L’Estate 2019 si è aperta con la Tempesta coprodotta dagli stabili di Napoli e Genova, regia di Luca De Fusco. Non una prima assoluta, perché pochi giorni prima l’allestimento era stato inaugurato a Pompei: peccato quindi che la prima parte dello spettacolo, non al debutto, sia stata piagata da gravi problemi di amplificazione. La scenografia di Marta Crisolini Malatesta è dominata da una altissima biblioteca che si apre ad anfiteatro verso gli spettatori. E qui un altro inciso: la scena è, sostanzialmente, un vasto fondale che prende forma e si anima attraverso proiezioni video, le installazioni di Alessandro Papa, che alternano elementi drammatici e, insieme, oggetti di scena: la tempesta iniziale viene mostrata così, proiettata sulla parete, e nei diversi piani di questa biblioteca semivirtuale, tra uno scaffale di libri e l’altro, compaiono e scompaiono immagini di dipinti, personaggi, effetti vari. A teatro l’utilizzo di scenografie virtuali, risolte con proiezioni anche molto sofisticate, è sempre più frequente. È una soluzione comoda ed efficace: costi ridotti, ingombri e volumi inesistenti, risultati di grande impatto. Ma quando la proiezione diviene, come in questo caso, elemento sostitutivo della scenografia e della sua fisicità, e non è a sua integrazione, è come se una parte della macchina teatrale abdicasse. Oggi la tecnologia è perfettamente in grado di proporci allestimenti dal vivo con attori virtuali, con notevoli risparmi logistici e pratici: sarà la prossima tappa?

Chiuso l’inciso, torniamo all’atmosfera da salotto alto borghese evocata dalla Tempesta di De Fusco e dai costumi, pure della Crisolini Malatesta. Prospero, il Duca di Milano detronizzato dal fratello con l’aiuto del re di Napoli Alonso e naufragato nell’isola magica, è un gentiluomo d’inizio Novecento. Ariel e Calibano, lo spirito d’aria e il mostro terrigno, sono due maggiordomi, alter ego del protagonista, opposte creazioni della sua mente. I giovani innamorati, Miranda, figlia di Prospero, e Ferdinando, rampollo di Alonso, sono in tenuta da tennisti d’antan. Ma gli altri personaggi (i protagonisti del complotto, naufragati anch’essi sull’isola dodici anni dopo Prospero) sono in abiti di epoche diverse, forse a simboleggiare la atemporalità della vicenda, e la ciclicità delle trame che innalzano e abbattono i potenti, visione riaffermata dai dipinti proiettati sulla biblioteca, che spaziano dal Rinascimento a Magritte. 

Se Prospero è, drammaticamente e nella tradizione registica, motore dell’intero intreccio, De Fusco ne fa il dominus assoluto della messinscena, imperniata sui suoi tormenti (il conflitto tra un sapere sublime ma slegato dall’esperienza) e la sua psiche, di cui ogni personaggio è creazione. Una conoscenza al centro dell’agire assennato o dissennato (i congiurati distruggono e divorano libri), che è un vortice in cui l’umanità può elevarsi o annullarsi. Quanto ai momenti comico-triviali, De Fusco sceglie per i duetti tra Trinculo e Stefano (Alfonso Postiglione e Gennaro Di Biase) toni e scherzi da varietà partenopeo, slapstick, segnati da accenti e mimiche dialettali volutamente chiassosi e sguaiati; così come guarda all’avanspettacolo, più che a Shakespeare, la Giunone-Marilyn Monroe evocata nelle celebrazioni finali per il matrimonio di Miranda e Ferdinando. Nel complesso, un allestimento che si fonda, più che su idee di particolare portata innovativa, sull’eccezionale carisma-non carisma di Eros Pagni. Il Prospero di Pagni, tra gli ultimi esponenti di una generazione di attori in grado di recitare Shakespeare senza apparire miserella, sostiene l’intero peso della messinscena tra sussurri e mezzi toni, senza necessità di alzare la voce nemmeno per un istante. L’autorevolezza composta del timbro, l’efficacia misurata del gesto lo rendono un deus ex machina suo malgrado, un mattatore schivo la cui personalità emana dalla naturalezza dello stare in scena. Al servizio di Pagni, e adeguate al suo tono, sono le luci discrete, mai invadenti di Gigi Saccomandi.

Anche le musiche di Ran Bagno sembrano rinunciare a linee melodiche più altisonanti per accompagnare, con riserbo e delicatezza, gli incanti e le cupezze di Prospero con suggestioni rapide e arcate melanconiche. Quanto al resto del cast, Gaia Aprea dà vita alla diade Ariel – Calibano con energia, ma penalizzata da maschere che la obbligano a una dizione troppo enfatica per non risultare incongrua rispetto agli acquerelli vocali di Prospero. E, per gli altri, tocca purtroppo riscontrare un salto di qualità tra l’impostazione sicura e policroma degli attori più maturi (su tutti l’Antonio di Paolo Serra e il Gonzalo di Enzo Turrin) rispetto ai giovani: se la recitazione di Miranda e Ferdinando (Silvia Biancalana e Gianluca Musiu) è volutamente orientata all’ingenuità e alla purezza di anime incorrotte, l’esito è più lamentoso che fresco. Applausi calorosi a una Tempesta che deve tutto al suo protagonista, esempio di stupenda canizie artistica.

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