UNIVERSITÀ E SCUOLA

Studenti "smart"? Non esattamente

Avere a disposizione un computer e una connessione internet non rendono automaticamente i ragazzi “più smart”, né tanto meno bastano a trasformarli automaticamente in e-Citizen informati e consapevoli. È quanto emerge dal documento Studenti, computer e apprendimento: dati e riflessioni, appena pubblicato dal MIUR sulla base di una ricerca OCSE curata da Andreas Schleicher e Francesco Avvisati, la quale a sua volta riprende le rilevazioni OCSE-PISA del 2012.

I dati per una volta danno i ragazzi italiani leggermente al di sopra della media OCSE nell’utilizzo delle cosiddette ICT(Information and Communications Technologies), e questo nonostante il World Economic Forum reputi ancora l’Italia un paese relativamente arretrato in questo campo. L’analisi parte dai dati sulla Digital Reading, ovvero le capacità dei ragazzi (il campione è formato da quindicenni scolarizzati) di raggiungere, decifrare e valutare i contenuti di una serie di pagine web. Un’attività che, oltre allo sforzo particolare della lettura su schermo, necessita di una serie di competenze: la struttura stessa dell’ipertesto, caratterizzato dalla presenza dei link, obbliga infatti il lettore a tenere costantemente la bussola della concentrazione, pena il rischio di perdersi nel mare del web.

In questo campo il punteggio medio degli studenti italiani si colloca sui 504 punti, rispetto a una media OCSE di 497. Dopo Singapore e Corea, ma nella stessa fascia di Usa e Francia e prima di paesi come Belgio (502), Norvegia (500), Svezia (498), Danimarca (495) e Germania (494). Un risultato abbastanza buono per il Paese, se ad esempio si considera che le nostre scuole non brillano né per le dotazioni informatiche (abbiamo un PC ogni 4,1 studenti quindicenni, contro una media OCSE di 3 studenti), né per l’utilizzo di internet o del computer per i compiti scolastici.

Il fatto è che la capacità di usare proficuamente il web oggi dipende solo in parte dalla disponibilità di un computer e dalle ore passate davanti allo schermo: gli effetti migliori sembrano anzi prodursi quando gli studenti fanno un uso moderato della tecnologia, non eccessivamente limitato ma nemmeno troppo intenso. L’Italia ad esempio ha una percentuale inferiore alla media di “internet-dipendenti”, ovvero ragazzi che stanno più di 6 ore al giorno davanti al computer di casa: il 5,7% contro una media OCSE del 7,2%. Altri paesi hanno dati che si avvicinano al 10% (Danimarca, Olanda e Grecia) o lo superano (la Svezia è al 13,2%), ma questo non ha impedito loro di avere prestazioni peggiori delle nostre nell’utilizzo di internet.

Detto questo i dati non sono del tutto tranquillizzanti. Basti pensare che anche nella Penisola oltre un terzo degli studenti esaminati ha capacità di lettura e comprensione sul web elementari (20,9%) o addirittura insufficienti (15,7%). Gli studenti italiani dimostrano inoltre una particolare difficoltà nell’utilizzo di internet per svolgere compiti scolastici, in particolare nel pianificare ed eseguire una ricerca, nonché nel valutare l’utilità o l’attendibilità di un’informazione. Hanno insomma le abilità di base, ma anche più difficoltà quando hanno compiti precisi da eseguire, risultando “lost in navigation” in misura maggiore rispetto alla media OCSE. Anche in Italia si sta infine creando il pericolo di un nuovo digital divide sociale, che si gioca non tanto sull’accesso alla rete (anche i poveri oggi sono collegati in una misura superiore al 92%), quanto sulla reale comprensione delle sue potenzialità. Gli studenti provenienti da famiglie con condizioni socio-economiche modeste tendono infatti ad usare la Rete per giocare e passare il tempo, piuttosto che per cercare notizie e informazioni pratiche.

Con internet insomma si può comunicare o isolarsi, trovare sia informazioni di qualità che le cosiddette “bufale”: per orientarsi non bastano solamente capacità tecniche, ci vogliono spirito critico e una minima base di cultura.  “Non si tratta solo di avere le chiavi di accesso al web (...) ma anche della capacità di navigare in modo intelligente e proficuo – scrive Francesco Avvisati, uno dei due curatori della ricerca OCSE Students, Computers and Learning. Making the Connection – Molti ragazzi (...) cliccano su quello che si muove e non sono selettivi nella loro navigazione, non vanno in modo diretto verso l’informazione che cercano e dovrebbero poi mostrarsi consumatori critici dell’informazione online, la cui qualità è lungi dall’essere uniforme”.

Resta il problema di chi e come debba oggi insegnare queste capacità ai ragazzi. Oggi la necessità, evidenzia il documento del ministero, non è tanto quello di “considerare la tecnologia come il centro del processo educativo”,  quanto piuttosto di promuoverne l’uso consapevole e critico. Un obiettivo difficile da centrare senza ricorrere a quelle strategie didattiche attive (come i lavori di gruppo e per progetti) che incidono più favorevolmente sul clima di classe, sulla motivazione e sull’apprendimento degli studenti, ma sono ancora poco utilizzate rispetto alle tradizionali lezioni frontali. E a questo riguardo è la stessa scuola italiana a denunciare le proprie insicurezze: secondo l’indagine TALIS del 2013 il 36% dei docenti italiani delle superiori ritiene di aver bisogno di percorsi specifici sull’uso didattico delle ITC, contro una media del 18,9% negli altri paesi OCSE. Formare insomma prima i formatori.

Daniele Mont D’Arpizio

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