SCIENZA E RICERCA

Ulivi e Xylella: un'emergenza vera

In Salento gli ulivi continuano ad appassire. Si tratta del CoDiRO, il cosiddetto Complesso del disseccamento rapido dell’olivo, che da almeno due anni non si riesce fermare (la prima delibera di giunta della Regione Puglia è del 29 ottobre 2013).

Il principale sospettato è il batterio Xylella fastidiosa, probabilmente venuto dall’America attraverso l’importazione di piante di caffè o ornamentali. Il batterio si insedia e inizia proliferare nei vasi del legno, ostruendoli progressivamente. Il governo italiano e l’Unione europea, spinta dalla Francia, hanno iniziato a muoversi per contenere l’epidemia, ma c’è chi parla di un pericolo sopravvalutato o addirittura montato ad arte da politici e multinazionali per sostituire gli ulivi millenari con degli OGM. “Chiariamo innanzitutto una cosa: è vero che al disseccamento rapido sono state associate anche altre cause, ed è possibile che ci sia un concorso – risponde Domenico Bosco, docente di entomologia agraria presso l’università di Torino –. La comparsa della Xylella è tuttavia l’unico fattore nuovo di cui siamo a conoscenza a cui ricollegare l’insorgenza dell’epidemia, e inoltre dalle analisi risulta quasi sempre associata alla sintomatologia”. In effetti le linee guida elaborate dalla Regione Puglia parlano anche del lepidottero noto come “Rodilegno giallo” (Zeuzera pyrina) e di funghi patogeni appartenenti a diversi generi (Phaeoacremonium e Phaeomoniella), sempre però in associazione a Xylella.

Ma quanto è davvero pericoloso il batterio? Nelle Americhe provoca da anni morie tra le vigne e i frutteti, e sappiamo che attacca almeno 300 piante. In Salento è presente una sottospecie, denominata Pauca, che infetta l’ulivo e almeno altre otto-nove tra cui ciliegio, mandorlo e oleandro. Anche se non è affatto detto che in futuro non abbia la potenzialità di attaccare altre piante di grande importanza agraria. Bosco studia la Xylella dal 2007, anno in cui ha svolto un periodo di ricerca presso l’università della California (Berkeley): per questo è stato chiamato fin dall’inizio a occuparsi dell’emergenza in Salento, contribuendo anche al documento dell’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con sede a Parma), sulla base del quale si sta muovendo la Commissione Europea. “Quella in atto in Puglia è purtroppo la peggior emergenza fitopatologica degli ultimi decenni in Italia – racconta lo studioso –. È vero però anche che molti patogeni una volta introdotti in un nuovo ambiente attraversano all’inizio una fase di espansione esponenziale; successivamente un insieme di fattori ecologici e biologici generalmente riportano a una situazione di equilibrio dinamico”. Quindi l’infezione prima o poi si fermerà? “Speriamo di sì, nel risalire la Penisola potrebbe perdere vigore e delimitarsi geograficamente. Bisogna inoltre tener conto che finora non ci sono state epidemie simili in ambienti con inverni freddi. A rischio di diffusione quindi in questo momento è soprattutto l’area del Mediterraneo”.

Certo è che Xylella è venuta per restare: fino ad ora non è mai stato possibile eradicarla dai luoghi in cui si è insediata. Ha troppe piante ospiti, e molti vettori. Il batterio infatti si diffonde esclusivamente attraverso gli insetti che si nutrono di linfa: in particolare in Salento ha trovato il Philaenus spumarius, noto come sputacchina: una specie polifaga diffusissima in tutta Europa, fino ad ora relativamente poco studiata dai ricercatori perché ritenuto inoffensiva. Inoltre non si può escludere che anche le cicale possano aiutare il morbo ad espandersi, anche se non ci sono ancora report affidabili sul loro ruolo. Le giovani ninfe del Philaenus vivono sulle piante erbacee, mentre gli adulti prediligono le piante di alto fusto, in particolare l’ulivo, e in questo modo diffondono l’infezione. In questi giorni sono state proprio messe in atto delle misure per contrastarne la diffusione? “Finché l’insetto è allo stadio larvale si raccomanda di  trinciare le erbacee intorno agli ulivi e soprattutto di smuovere il terreno. Per gli adulti per ora non ci sono purtroppo alternative agli insetticidi”. Misure che incontrano la resistenza di fasce non trascurabili dell’opinione pubblica e degli agricoltori. A queste si aggiungono le ultime misure imposte dall’Unione Europea per tentare di isolare i focolai: si parla di eradicare non solo gli ulivi malati, ma anche tutti quelli che si trovano nel raggio di cento metri, a meno che non ci si trovi nella provincia di Lecce, dove ormai l’infezione è troppo diffusa.

Gli abbattimenti in massa sono davvero soluzioni accettabili? “In realtà la normativa è interpretabile: per il momento nella zona tampone a nord di quella infetta si tende ad abbattere solo le piante infette, mentre per quelle nel raggio di 100 metri ci si limita a saggiarle con il test sierologico ELISA. Una procedura abbastanza sicura e rapida, anche se a breve c’è il rischio che i laboratori certificati siano intasati da centinaia di migliaia di richieste analisi”. Gli alberi però proprio non possono essere curati? “La speranza c’è sempre, magari tramite una potatura drastica dei rami o delle branche che presentano i sintomi. In passato sulla vite le potature non hanno avuto alcun effetto, mentre sugli agrumi c’è stata qualche risposta, ma solo intervenendo già sui primissimi sintomi grazie a un attento monitoraggio. Per gli ulivi non si sa ancora. Se lo stadio della malattia è avanzato non c’è alternativa. Penso inoltre che l’Ue non si fidi di una misura tanto soggettiva e aleatoria”.

È verosimile, come è stato detto, che la Monsanto voglia sostituire gli ulivi pugliesi con esemplari transgenici di sua produzione? “No, per il momento sono state sperimentate soltanto delle viti transgeniche resistenti alla Xylella, peraltro non della Monsanto. Del resto fino ad ora non c’erano mai state epidemie tra gli ulivi”. La situazione insomma è pericolosa, e secondo lo studioso l’agricoltura di un’intera zona potrà essere salvata solo a prezzo di interventi rapidi e di molti sacrifici. Certo le soluzioni prospettate dagli esperti non sono indolori. Nella californiana Tenecula Valley la Xylella aveva praticamente distrutto la viticoltura; in seguito le viti sono state ripiantate, tenendo però sotto controllo la diffusione dei vettori con gli insetticidi. In California centrale i focolai sono stati gestiti in maniera diversa, tramite un piano molto vasto e capillare di vegetation management: sono state sostituite piante che favoriscono i vettori con altre piante. Anche queste operazioni non sono però scevre di impatto ambientale. “Ci troviamo a gestire emergenza senza avere una conoscenza precisa del problema, quindi chi contesta ha sempre qualche ragione – conclude Domenico Bosco –. È possibile che alcune misure in futuro si rivelino eccessive, ma in epidemiologia le cose sono due: diminuire l’inoculo, abbattendo le piante, oppure sopprimere o contenere la popolazione del vettore. Se non si interviene l’epidemia galoppa, e allora rischiamo di perderci l’olivocultura”.

Daniele Mont D’Arpizio

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