SOCIETÀ

Rapporti di coppia: la coerenza paga sempre

Jämställdhetsbonus. Una parola svedese per cui in Italia non esiste traduzione. Si collega infatti al sistema di congedo parentale che nel Paese scandinavo prevede 480 giorni di permesso lavorativo per accudire i figli sotto agli otto anni, e che i due genitori possono dividere equamente: in questo caso la coppia viene premiata con un bonus in denaro, lo jämställdhetsbonus appunto, in rispetto e a promozione dell’“uguaglianza di genere”. Senza contare che, dei 480 totali, 60 giorni sono spendibili solo dal padre e non sono cedibili all’altro partner.

Nonostante l’evoluzione delle società, il modello svedese rimane agli occhi dell’Europa meridionale un modello di equità sociale e parità di genere difficilmente raggiungibile, soprattutto nel campo della tutela della famiglia, ma che mostra un trend ideale sulla traccia del quale ci stiamo lentamente muovendo. Da questo punto di vista, il Global Gender Gap Report 2013 dà un’immagine chiara del panorama mondiale,  dove la penisola scandinava si conferma leader dell’uguaglianza fra i sessi, assieme a poche altre eccellenze (Islanda, Irlanda, Svizzera, Nuova Zelanda e Filippine). Il 71° posto mondiale dell’Italia non stupisce, se non, forse, in relazione al 69° della Cina e al 61° della Russia, che sembrano quindi comportarsi meglio di noi.

Ecco perché Livia Oláh, descrivendo i risultati della ricerca Gender Equality Perceptions,  Division of Paid and Unpaid Work, and Partnership Dissolution in Sweden, condotta con Michael Gähler, si preoccupa di definire bene il contesto della sua applicazione: non tutte le conclusioni cui giunge potrebbero avere valore in aree con modelli sociali diversi, come il nostro; mentre altre, a sorpresa, potrebbero ricoprire una valenza universale. Docente nel dipartimento di Sociologia dell’università di Stoccolma e coordinatrice del progetto fp7 Families and Societies, Oláh riassume gli esiti del suo lavoro con il minaccioso “Vivi come predichi o sii pronto a pagarne le conseguenze” che apre un suo recente seminario nell'ateneo patavino. La studiosa ha infatti misurato sul lungo periodo la coerenza fra visione ideale della suddivisione del carico di lavoro nella coppia (testata nel 1999) e l’effettiva messa in pratica di questa teoria (nel 2003) da parte di 1478 svedesi coinvolti in un rapporto di coppia, sulla base dei dati del Young Adult Panel Study. Per poi verificare l’incidenza della rottura del loro rapporto fra il 2003 e il 2009. Nel 2003 circa il 67% degli individui conviveva, mentre il 33% era sposato, a riflettere un andamento nazionale consolidato nel quale il matrimonio lascia sempre più spazio alla convivenza; un modello che secondo i recenti dati Istat, sta sperimentando anche l’Italia, anche se in forma più circoscritta. Alla luce dei sondaggi eseguiti nel 1999 e nel 2003, lo studio riconosce quattro categorie basate sulla coerenza fra teoria e pratica, e che ruotano intorno ai due poli dell’egalitarismo, la filosofia di una perfetta equità di genere nel rapporto di coppia, nel quale il lavoro - sia retribuito che domestico - è suddiviso in parti uguali, e del tradizionalismo, che interpreta l’immagine classica della famiglia, nella quale l’uomo porta a casa il pane, mentre la donna cura casa e figli.

Nel groviglio delle empiricità, i ricercatori non hanno potuto concludere che la suddivisione più o meno equa del lavoro fra i partner sia determinante per la stabilità della coppia. E non si registra nemmeno una differenza di genere: perché gli uomini (svedesi) di indole egalitaria si ritengono offesi quando restano esclusi dalla gestione di casa e famiglia. Ciò che invece risulta evidente è che gli individui “coerenti”, la cui vita di coppia rispecchia il proprio modo di pensare, sono quelli che più difficilmente vedranno fallire il proprio rapporto affettivo: tanto nel caso che sia di tipo egualitario, quanto se trovi la propria realizzazione in una coppia tradizionale. Insomma, le persone che “vivono come predicano” hanno molte più chances di una lunga e felice vita di coppia rispetto a quelle che lo studio etichetta come “ambivalenti”, portatrici di un ideale nella gestione del ménage familiare, ma quotidianamente costrette a fare i conti con una realtà che determina un diverso stile di vita.

Nonostante, dunque, alcune osservazioni riflettano una società molto diversa da quella italiana, la conclusione dei ricercatori appare valida in qualsiasi contesto, perché estranea a giudizi di valore che premino le coppie egalitarie rispetto alle tradizionali. Non un risultato scontato per una ricerca svedese, dalla quale sarebbe stato più facile aspettarsi un’esaltazione dell’equità di genere come scudo contro il pericolo della dissoluzione della coppia.

Chiara Mezzalira

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