SCIENZA E RICERCA

Cellule staminali "naïve": nuove possibilità per la ricerca sulle malattie rare

Pubblicato su Nature Cell Biology, lo studio di un team padovano sulle iPS cells: grazie alla microfluidica, una tecnologia che permette di coltivare le cellule in piccoli tubi di silicone biocompatibile, sono state generate cellule staminali pluripotenti indotte con stato di sviluppo “primitivo”. Hanno caratteristiche simili alle cellule presenti durante la prima settimana di sviluppo di un embrione umano e si potranno utilizzare per lo studio in vitro di importanti malattie genetiche. I ricercatori padovani sono i primi ad ottenerle efficientemente, a partire da cellule adulte e non da embrioni umani. Il team è guidato da Graziano Martello del laboratorio di cellule staminali pluripotenti del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova e da Nicola Elvassore del laboratorio di Ingegneria delle cellule staminali all’Istituto veneto di medicina molecolare.

Cosa sono le iPS cells

Le iPS cells (cellule staminali pluripotenti ) sono di grande interesse per la comunità scientifica e hanno un’enorme rilevanza in ambito biomedico. Possiedono la straordinaria capacità di poter dare origine a qualsiasi cellula del nostro corpo, dai neuroni alle cellule beta pancreatiche, queste ultime, ad esempio, in grado di rilasciare insulina se aumenta la glicemia. Le cellule staminali pluripotenti indotte vengono generate a partire da cellule adulte del nostro corpo (sangue, biopsie cutanee o addirittura urine) in un processo chiamato riprogrammazione. Sono utilizzate nei laboratori di tutto il mondo perché sono esse stesse modello di studio per le malattie o fonte cellulare per terapie avanzate di medicina rigenerativa.

Da sempre, però, le iPS cells utilizzate nella ricerca sono “eterogenee”: iPS cells prodotte nello stesso laboratorio in tempi diversi possono comportarsi in modo diverso; inoltre la loro riproduzione è laboriosa e costosa. Un altro grosso problema è che le iPS comunemente utilizzate sono in uno stato di sviluppo leggermente avanzato, paragonabile alla seconda settimana di vita embrionale. Questo è un aspetto centrale: cellule che sono in uno stato leggermente avanzato non permettono sempre di ripercorrere tutti gli eventi molecolari che portano allo sviluppo di una patologia.

La scoperta

Il team di ricerca padovano ha utilizzato la microfluidica, una tecnologia sviluppata nel laboratorio di Elvassore, che consiste nella produzione in piccoli canali, micro tubi in polidimetilsilossano (silicone biocompatibile) del diametro di un capello.

Quando le cellule si trovano in uno spazio confinato possono essere riprogrammate più efficientemente e rapidamente, utilizzando molti meno reagenti e con un risparmio di oltre cento volte rispetto alle tecnologie convenzionali. Non solo, ed è qui l’aspetto principale del lavoro pubblicato: le cellule iPS ottenute in microfluidica presentano uno stato di sviluppo più primitivo, molto simile cioè allo stato delle cellule in un embrione nelle prime di fasi di sviluppo (5/6 giorni), tecnicamente definito stadio di pluripotenza di tipo naïve.

“Abbiamo ottenuto cellule staminali a partire da cellule adulte – dice Graziano Martello – ma il vero passo in avanti è che le staminali che otteniamo sono più immature di quelle attualmente utilizzate. Questo permetterà nuove applicazioni future, come lo studio in vitro delle primissime fasi di sviluppo del nostro corpo. Capire cosa accade e cosa può andare storto potrebbe avere conseguenze enormi sul piano della conoscenza e della salute".

Il team di ricerca ha studiato in estremo dettaglio le specificità delle cellule prodotte rilevando che mostrano moltissimi tratti normalmente presenti durante la prima settimana di sviluppo embrionale come alcuni geni attivi che già dalla seconda settimana si “spengono”.

Implicazioni future

A differenza degli studi pubblicati in precedenza che hanno ugualmente descritto cellule staminali pluripotenti di tipo naïve, la scoperta di Graziano Martello e Nicola Elvassore ha un’implicazione rilevante per le ricerche future: fino ad oggi sono stati utilizzati embrioni umani oppure delle complesse manipolazioni che rendono le cellule inutilizzabili per applicazioni terapeutiche.

La nuova tecnologia proposta e la tipologia di cellula ottenuta permetterebbe l’utilizzo delle iPS in applicazioni biomediche come lo studio in vitro di alcune malattie genetiche.

“Il nostro lavoro mostra come ottenere efficientemente cellule staminali più immature sottolinea Nicola Elvassore -. Fondamentale è stato integrare intimamente competenze che spaziano dalla bio-ingegneria alla biologia delle cellule staminali. Noi di fatto diamo un nuovo strumento alla comunità scientifica che confidiamo possa dare nuovo impulso nella ricerca delle cellule staminali umane. Ci stiamo già focalizzando sullo studio in vitro di alcune patologie che con le staminali tradizionali non potevano ancora essere studiate».

“Siamo i primi ad ottenere in modo efficiente cellule pluripotenti con stato di sviluppo più primitivo a partire da cellule adulte, i fibroblasti, ottenuti da piccole biopsie cutanee. Inoltre - affermano Martello ed Elvassore - siamo i primi a mostrare che tali cellule differenziano efficientemente, ossia sanno dare origine indifferentemente a cellule di interesse biomedico, come neuroni od epatociti, le cellule del fegato».

Le “nuove” cellule iPS di tipo naïve dovrebbero differenziare meglio o in maniera più riproducibile rispetto a quelle comunemente utilizzate, risolvendo il problema del comportamento diverso delle iPS prodotte nello stesso laboratorio. Inoltre in casi particolari, come nella sindrome dell’X fragile, queste iPS di tipo naïve saranno sempre più necessarie perché sono migliori per lo studio in vitro. Sarà infatti possibile studiare questa malattia fin dallo stadio di sviluppo primitivo per poi ripercorrere tutti gli eventi molecolari che portano allo sviluppo della patologia.

Infine, queste cellule, senza dover usare un embrione, permettono lo studio delle primissime fasi di sviluppo embrionale e di capire perché nelle prime due settimane di vita ci sia un’alta percentuale di insuccesso nel formare il feto.

La ricerca è stata finanziata da Armenise Harvard Foundation, Fondazione Telethon e Fondazione CaRiPaRo. Oltre ai laboratori di Martello ed Elvassore, hanno collaborato alla ricerca Stefano Giulitti (Vimm), Marco Pellegrini (dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova), Chiara Romualdi (dipartimento di Biologia dell’università di Padova) e Davide Cacchiarelli (Telethon Institute of Genetics and Medicine).

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