SCIENZA E RICERCA

L'ospedale si sposta a casa e costa meno

“A quel tempo vedevo poco, ma sentivo moltissimo i profumi. Sentivo il profumo di casa, il profumo di mia madre, dell’ammorbidente che usava per le lenzuola, del cibo che mi preparava e mi sembrava quasi di tornare bambina. Non percepivo più l’odore acre del sangue, ma il profumo di casa mia che mi dava una sensazione di pace e di protezione”. Lucia aveva 40 anni, una figlia di cinque e soffriva di aplasia midollare. Dopo quasi un anno di ospedale, non più autosufficiente, le fu proposto di essere ricoverata a casa. “Per me fu una salvezza e da quel momento ebbi una spinta fortissima alla sopravvivenza”.

Ormai da 20 anni l’ospedalizzazione a domicilio attrae l’attenzione della comunità scientifica internazionale. Del resto esistono contingenze che spingono in questa direzione. Basti pensare alla scarsità di risorse economiche in ambito sanitario e alla necessità di tagliare i costi, all’invecchiamento della popolazione, all’aumento delle malattie croniche e alla loro riacutizzazione e al progresso in campo tecnologico. Con queste premesse molti Paesi, dall’Australia alla Nuova Zelanda agli Stati Uniti, hanno realizzato progetti di ospedalizzazione a domicilio. Una forma di assistenza sanitaria presente anche in Europa: già nel 2011 in Spagna esistevano più di 70 “unidad de hospitalización a domicilio” e in Inghilterra erano 139 nel 2000 con altre 100 in fase di progettazione. In Italia il modello più strutturato proviene dall’azienda ospedaliero-universitaria Città della salute e della scienza di Torino. 

Sebbene il servizio sia attivo già dal 1985, è nel 2010 che la Regione Piemonte ne traccia il quadro normativo, stabilendone anche i costi. L’ospedalizzazione a domicilio viene definita come una forma di assistenza sanitaria che ha lo scopo di organizzare nell’abitazione del paziente un “setting assistenziale” simile a quello ospedaliero. Si rivolge a pazienti affetti da patologie in fase acuta che necessitano di cure di tipo ospedaliero ma che non hanno bisogno di attrezzature ad alta complessità tecnologica e di un monitoraggio intensivo. Il paziente viene completamente preso in carico dall’ospedale, ma la condizione (imprescindibile) per il ricovero a casa è che le condizioni abitative e la collaborazione della famiglia consentano una sorveglianza continua del paziente. La struttura sanitaria poi garantisce “una copertura attiva minima medico-infermieristica di 12 ore (dalle 8 alle 20)”. Mentre per la notte è prevista la reperibilità medica, oltre ad essere attivo un protocollo d’intesa con il servizio regionale di emergenza “118”.   

“In media – spiega Renata Marinello, responsabile del servizio di ospedalizzazione domiciliare di Torino – contiamo 500 ricoveri a domicilio all’anno con una degenza che oscilla tra i 13 e i 15 giorni”. E chi è ricoverato a casa viene registrato a tutti gli effetti come un paziente in degenza tradizionale con tanto di scheda di dimissione ospedaliera. I pazienti che vengono seguiti in regime domiciliare soffrono prevalentemente di patologie respiratorie (broncopneumopatie croniche ostruttive riacutizzate, focolai broncopneumonici), cardiovascolari (come lo scompenso cardiaco congestizio),  cerebrovascolari (ictus ischemici acuti o complicanze delle demenze senili in fase avanzata), di malattie oncologiche ed ematologiche. Quest’ultimo gruppo, in particolare, è composto da persone di tutte le età in attesa di trapianto di midollo osseo o che si trovano in condizioni di elevato fabbisogno di trasfusioni. E proprio per la loro fragilità immunitaria il regime di assistenza domiciliare risulta essere più sicuro e protetto. Fibrosi cistica e malattie neurologiche degenerative sono invece le patologie che possono essere trattate a domicilio nei bambini e negli adolescenti. 

Quattro medici ospedalieri e 14 infermieri collaborano con un assistente sociale, un fisioterapista e un counsellor e i servizi che vengono offerti vanno dai prelievi di sangue alle trasfusioni, dai trattamenti delle lesioni da decubito alla paracentesi alle terapie endovenose. Senza contare esami di vario tipo, come elettrocardiogrammi, radiografie, spirometrie. Trattandosi di un’azienda ospedaliero-universitaria il servizio conta anche sul contributo degli specializzandi che dedicano parte della loro formazione all’ospedalizzazione a domicilio. “Ogni mattina – ricorda Lucia che fu seguita proprio dai medici di Torino – intorno alle 7.30 gli infermieri venivano a casa per le medicine e i prelievi. Più tardi in mattinata passava il medico, controllava gli esami e stabiliva se avevo bisogno di trasfusione. In questo caso nel primo pomeriggio arrivava con le sacche di sangue o di piastrine. Così facevo le trasfusioni, magari guardando la tv o chiacchierando con le amiche. Poi era la volta del fisioterapista che, muscolo dopo muscolo, ha rimesso in piedi il mio corpo”. Ora Lucia sta bene, ha fatto il trapianto di midollo. E ricorda quel periodo di ricovero a casa della madre e la cura del personale ospedaliero non senza emozione, convinta che sia stato fondamentale per il suo recupero.     

“Molti studi hanno dimostrato i vantaggi che il ricovero a casa può avere sul paziente – osserva Marinello – Innanzitutto, rimanendo nel proprio ambiente, compatibilmente con la malattia riesce a proseguire delle relazioni che invece risulterebbero difficili in ospedale. La qualità di vita e il tono dell’umore migliorano ma soprattutto, in presenza della stessa patologia (come nei casi di ictus ischemico non complicato o scompenso cardiaco congestizio), si riscontra una riduzione delle complicanze e dei reingressi ospedalieri”. 

E i vantaggi (che pur non sono di poco conto) sembrano non fermarsi qui, se si considera che, in tempo di crisi economica, l’ospedalizzazione domiciliare sembra consentire anche una riduzione dei costi. “La Regione Piemonte – spiega Marinello – eroga 165 euro al giorno per paziente con patologie acute del sistema nervoso, respiratorio, cardiovascolare, del sangue e oncologiche e 145 euro per gli altri tipi di malattia (non sono compresi i farmaci Ndr). Si consideri che il costo di una giornata in un reparto di medicina generale all’ospedale Molinette costa intorno ai 450-480 euro”. Naturalmente si devono considerare i costi che gravano sulla famiglia, come l’assistenza e il cibo, che invece in ospedale sono a carico della struttura. 

In Italia esistono programmi di ospedalizzazione domiciliare anche in altre aziende ospedaliere (come del resto previsto dal servizio sanitario nazionale), tuttavia non strutturati trasversalmente come a Torino in termini di patologie trattate ed età del paziente. Marinello spiega trattarsi piuttosto di realtà organizzate per tipo di patologia che nascono con gruppi di pazienti omogenei (frequentemente malattie oncologiche ed ematologiche). In Veneto ad esempio, spiega Giuseppe Lobascio medico di medicina generale, è prevista l’ospedalizzazione a domicilio in caso di insufficienza respiratoria cronica in ossigenoterapia. 

Accanto all’ospedalizzazione a domicilio esistono poi altre possibilità più consolidate per poter essere curati a casa propria, a seconda delle necessità del paziente e del livello di complessità e durata dell’intervento sanitario. L’“assistenza domiciliare programmata”, ad esempio, prevede l’erogazione di prestazioni sanitarie mediche, infermieristiche o riabilitative occasionali in pazienti incapaci di camminare o con gravi limiti funzionali. Oppure si può far ricorso a programmi di “assistenza domiciliare integrata” soprattutto in presenza di pazienti non autosufficienti, malati terminali o con patologie invalidanti, un “insieme integrato di trattamenti sanitari e sociosanitari” stabiliti in modo coordinato e continuativo nel tempo sulla base di un progetto di assistenza individuale. In questo caso è il distretto socio-sanitario ad approvare l’intervento e il medico di base che ha in carico il paziente ad avere la responsabilità assistenziale. 

Monica Panetto

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