SOCIETÀ

Covid-19, la pandemia aggrava la crisi alimentare in molte aree del mondo

Valutare l’impatto della pandemia da Covid-19 sui paesi più vulnerabili limitandosi al dato sanitario, cioè il numero di contagi e di vittime, impedisce di comprendere in pieno gli effetti dell’emergenza provocata dal virus SARS-CoV-2. Sotto il profilo dell’estensione dei contagi la situazione sembra molto diversificata e a fronte di aree del mondo, come il Brasile, dove l’infezione continua a dilagare, ce ne sono altre, come alcune parti del continente africano, che presentano cifre più rassicuranti. Ma contare solo il numero di persone positive al virus offre una visione parziale e soprattutto rischia di non far percepire quanto siano necessarie misure di protezione sociale in sostegno del diritto all’alimentazione per le persone che soffrono la fame. Ai conflitti, al cambiamento climatico e alla recessione economica si è infatti aggiunta la pandemia e se le conseguenze a medio e lungo termine della crisi devono ancora essere pienamente comprese, è già chiaro che i paesi a basso e medio reddito saranno colpiti in modo drammatico.

Secondo l’ultimo rapporto globale sulle crisi alimentari nel 2019 quasi 135 milioni di persone in 55 diversi Paesi hanno sofferto una situazione di fame acuta e con l’esplosione della pandemia da Covid-19 questo numero sta continuando ad aumentare. L’ultimo rapporto elaborato dalla Fao e dal World Food Programme lo evidenzia in modo chiaro: 27 Paesi di 3 continenti del mondo sono in una condizione di fame acuta e si stima che la crisi economica legata alla pandemia abbia già bruciato oltre 400 milioni di posti di lavoro. Ancora più ampio, e difficile da calcolare, è lo stravolgimento di quell’economia informale su cui si basa la vita di circa 2 miliardi di persone, pari al 62% della forza lavoro globale complessiva.

L’impatto della pandemia di Covid-19 sui paesi più fragili e sugli effetti in termini di fame e malnutrizione è il tema su cui si sono recentemente concentrati due articoli delle riviste The Lancet e Science. Il primo si è soffermato in particolare sulle conseguenze a cui sono esposti i bambini: nei Paesi in via di sviluppo il deperimento legato a una dieta insufficiente e povera di sostanze nutritive in un anno potrebbe estendersi ad altri 6,7 milioni di bambini, aggiungendosi ai 47 milioni di bambini sotto in cinque anni che sono già colpiti dagli effetti della malnutrizione, e provocare 10 mila morti aggiuntivi al mese. Alcune delle strategie per rispondere a COVID-19, tra cui l'allontanamento fisico, la chiusura delle scuole, le restrizioni commerciali e il blocco della mobilità tra i Paesi, stanno infatti influenzando i sistemi alimentari interrompendo la produzione, il trasporto e la vendita di alimenti nutrienti, freschi e convenienti. E a questo vanno aggiunte le maggiori difficoltà di accesso ai servizi sanitari e di protezione sociale.

L’articolo pubblicato su Science ha invece approfondito le modalità con cui la pandemia sta andando ad incidere su tutti i pilastri della sicurezza alimentare vale a dire la disponibilità di cibo, la possibilità di accedere alle risorse, l’apporto di nutrienti e la garanzia di poter mangiare ogni volta in cui è necessario.

Covid-19, analizza la rivista scientifica, minaccia l'accesso al cibo principalmente attraverso perdite di reddito e di beni che garantiscono la capacità di acquistare alimenti. Le famiglie più povere spendono circa il 70% delle loro entrate per poter mangiare e le ultime stime prevedono che tra 90 e 150 milioni di persone potrebbero cadere (o potrebbero essere già cadute) in estrema povertà. L'impatto più importante della pandemia sulla sicurezza alimentare è dovuto al calo del reddito che mette a rischio l'accesso degli alimenti ma altri fattori di rischio per la disponibilità e la stabilità del cibo si possono individuare nelle difficoltà dell'agricoltura ad alta intensità di manodopera, dove le misure per ridurre il rischio di trasmissione di malattie richiedono turni scaglionati o restrizioni alla circolazione dei lavoratori, nelle interruzioni delle catene di approvvigionamento che comprendono anche la sospensione dei programmi di alimentazione scolastica e nelle restrizioni commerciali che limitando le esportazioni riducono l'offerta disponibile sui mercati mondiali finendo talvolta per creare quella crescita al rialzo dei prezzi mondiali che si intendeva prevenire.

Abbiamo chiesto a Emanuela Cutelli, responsabile comunicazione per l'Italia del World Food Programme di analizzare in che modo la pandemia di Covid-19 sta facendo aumentare il numero di persone che soffrono la fame in modo acuto e quali interventi devono essere urgentemente messi in atto per evitare che l'emergenza si trasformi in una situazione sistemica e la fame diventi cronica. 

"Per insicurezza alimentare acuta - introduce Emanuela Cutelli, responsabile comunicazione per l'Italia del World Food Programme - intendiamo la mancanza di cibo o di cibo sufficientemente nutriente e dei mezzi di sussistenza per sopravvivere. Quindi parliamo di una situazione davvero molto grave. L’arrivo del Covid-19 è andato ad accelerare e peggiorare una situazione già critica, basti pensare al fatto che il numero di persone che già soffrivano di fame acuta è aumentato negli ultimi quattro anni. I motivi di questa crescita sono diversi e i principali sono i conflitti, che rappresentano la motivazione maggiore, la crisi climatica e gli shock economici. Il segretario generale dell’ONU ha parlato di un’emergenza alimentare globale all’orizzonte e saranno soprattutto i paesi a basso e medio reddito a subire le conseguenze più gravi di quella che purtroppo sembra avere tutte le caratteristiche di una tempesta perfetta. Il Covid-19 è stato e continua ad essere un moltiplicatore di miseria, disugliaianze e povertà. Chi soffre la fame la soffrirà ancora di più e chi è povero diventerà ancora più povero. Le stime del WFP indicano che purtroppo entro la fine dell'anno il numero di persone che soffrono gravemente la fame potrà aumentare fino all’80% rispetto al 2019: erano 149 milioni l’anno scorso e potranno arrivare fino a 270 milioni entro la fine del 2020 a causa dell’impatto della pandemia".

I fattori alla base di questo quadro drammatico sono molteplici e in gran parte afferenti all'ambito socioeconomico. "Le stime della Banca mondiale - approfondisce Emanuela Cutelli - indicano che tra i 70 e i 100 milioni di persone potranno cadere nella povertà estrema. Secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro circa 2 miliardi di persone sono occupate nell’economia informale, parliamo di circa il 62% dell’intera forza lavoro globale e sono i lavoratori maggiormente a rischio a causa delle conseguenze legate alle misure di prevenzione e contenimento del Covid-19. Questo significa una cosa tanto semplice quanto drammatica: se i lavoratori informali non escono di casa ogni giorno, quel giorno non si lavora e se quel giorno non si lavora non si guardagna e quindi non si mangia. Le stime della Banca mondiale dicono che ci potrà essere una contrazione economica massiccia, mai vista dai tempi della grande depressione degli anni ’30 del secolo scorso, e sarà quindi la più grande recessione dai tempi della seconda guerra mondiale. I paesi che rischiano di essere più colpiti sono quelli che contano su commercio, turismo, esportazione di materie prime e su finanziamenti esterni. Un ruolo importante è anche quello delle rimesse, ambito in cui sappiamo che c’è un calo drastico e drammatico a livello globale, fino al 20%. L’importanza delle rimesse è fondamentale. Pensiamo, per esempio, ad Haiti il cui Pil è costituito per il 37% dalle rimesse. Poi ci sono le riduzioni della domanda di petrolio grezzo e questo ovviamente ha un impatto negativo per paesi come Nigeria, Angola e Venezuela che contano sulle esportazioni di questa fonte energetica. Infine c’è il grave problema dell’interruzione delle catene di approvvigionamento, soprattutto agroalimentari, a causa delle restrizioni dei movimenti, della chiusura dei mercati e dei ritardi dei trasporti. Al momento, questo è un punto importante da chiarire, non si registrano criticità nella disponibilità di cibo a livello mondiale. Bisognerà però vedere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi se potranno verificarsi difficoltà anche a livello di disponibilità di prodotti alimentari. Il problema attualmente è l’accesso al cibo a causa di fattori economici come la disoccupazione crescente e lo sbriciolamento del potere d’acquisto delle persone, delle comunità e dei paesi che contano su diversi fattori, come l’esportazione di materie prime".

A questo quadro già drammatico bisogna aggiungere una serie di fattori esterni al Covid-19 che, come spiega l'esperta del WFP , "sono rappresentati dall’arrivo della stagione dei monsoni e delle alluvioni, dall’invasione degli sciami di locuste che, soprattutto in Africa orientale, stanno distruggendo chilometri quadrati di coltivazioni e di campi, e dall'acuirsi dei conflitti con ripercussioni sul numero di sfollati e rifugiati. Tutto questo porterà probabilmente anche ad un’accelerazione delle tensioni, a una frammentazione sociale molto forte e a rischi di destabilizzazione soprattutto in quei paesi che presentano un quadro socioeconomico e politico già fragile. Come sostiene il nostro direttore esecutivo David Beasley, il cibo è un vaccino contro il caos perché può non solo salvare vite e migliorare le condizioni delle persone, ma anche tamponare delle situazioni pericolose nel mondo. Il WFP prevede purtroppo di raggiungere entro la fine di quest’anno un numero record di persone che hanno bisogno della nostra assistenza, fino a 138 milioni di persone".

Molto preoccupante è poi, in particolare, la situazione dei bambini. Un tema su cui si è concentrato un recente articolo pubblicato dalla rivista The Lancet a firma dei responsabili di quattro agenzie delle Nazioni Unite, come il World Food Programme, l’Unicef, l'OMS e la FAO. "La combinazione di condizioni di malnutrizione già esistenti e l’impatto del Covid-19 - approfondisce Emanuela Cutelli - viene definita un possibile mix letale. Si prevede un aumento di milioni di bambini che possono soffrire ulteriormente di deficit di sviluppo o deperimento, arrivando a previsioni davvero drammatiche di 10 mila decessi di bambini ogni mese a causa della malnutrizione e degli effetti del Covid-19 nei primi 12 mesi della pandemia. Un altro articolo importante è quello pubblicato dalla rivista Science in cui vengono illustrati gli stessi punti su cui da mesi anche il WFP pone l’attenzione e soprattutto il rischio che la crisi sanitaria legata al Covid-19 si trasformi in una crisi alimentare. I problemi sono legati all’interruzione o alle criticità delle catene di approvvigionamento e delle conseguenze della crisi economica gravissima che sta colpendo probabilmente quasi tutti i paesi del mondo, con la differenza che i 25 Paesi identificati dal nostro rapporto hanno difficoltà maggiori nel proteggere le proprie popolazioni".

E per evitare che l'insicurezza alimentare acuta diventi fame cronica è necessario agire tempestivamente per dare sostegno alle comunità vulnerabili. "Le misure - spiega Emanuela Cutelli - sono state evidenziate nel rapporto congiunto del WFP e della FAO e riguardano il potenziamento dell’assistenza umanitaria dal punto di vista alimentare, della nutrizione e dei mezzi di sostentamento nei paesi maggiormente a rischio. Si tratta di un adattamento delle operazioni in nuovi contesti umanitari creati dal Covid-19 e quindi anche la necessità di nuovi finanziamenti flessibili affinché si possa agire in maniera più efficace, mirata ed oculata. Di vitale importanza è poi il sostegno ai governi nazionali che si trovano davanti a una crisi mai vista prima e che comporta ripercussioni drammatiche sulla vita di tutte le fasce di popolazione. Stiamo infatti vedendo che ci sono nuove fasce di popolazione colpite da questa crisi socioeconomica, persone che prima erano immuni alla fame e che invece adesso non riescono ad accedere a cibo sufficiente. Il WFP ha alla spalle decenni di esperienza in reti di protezione sociale e sta mettendo la sua assistenza tecnica e le sue risorse a sostegno dei governi. Pensiamo, per esempio, alla crisi di Ebola in Africa occidentale tra il 2014 e il 2016: i morti sono stati causati più dall’interruzione delle reti di protezione sociale che dall’impatto stesso del virus. Un altro programma molto importante che portiamo avanti e che si affianca ad altri programmi di protezione sociale dei governi nazionali è quello dell’alimentazione scolastica. Si tratta di un’azione fondamentale se non si vogliono perdere generazioni di bambini e ragazzi. A causa della chiusura delle scuole in molti paesi i programmi di alimentazione scolastica del WFP e dei governi si sono ovviamente interrotti, ma non si è fermata l’attenzione che dedichiamo alla nutrizione dei bambini. Sono state infatti individuate misure, in alcuni casi anche molto creative, per raggiungere i bambini e le loro famiglie. Faccio un paio di esempi: in Honduras sono le stesse insegnanti che portano il cibo del WFP nelle case dei bambini, ovviamente rispettando le misure di sicurezza, e in questo modo si accertano anche dello stato di salute dei bambini e informano le loro famiglie sulle misure di prevenzione del Covid. Nella Repubblica del Congo i pasti dell’alimentazione scolastica sono stati invece convertiti in una mega razione che viene distribuita nelle scuole che, in questo momento, da centri di distribuzione di cultura diventano centri di distribuzione di cibo. Un altro aspetto importante dal punto di vista della protezione sociale, che si intreccia con questi sviluppi del Covid-19, riguarda i programmi di trasferimenti di contanti alle popolazioni vulnerabili in modo che possano riacquistare una parte di quel potere di acquisto che il Covid-19 e la recessione economica globale stanno sbriciolando, dando così la possibilità alle famiglie di scegliere quello di cui hanno maggiormente bisogno. Quindi non solo cibo, anche se dal nostro monitoragguo vediamo che le necessità vanno soprattutto verso prodotti alimentari, ma anche far fronte ad altre spese come le medicine o il pagamento di utenze domestiche. Questo accade soprattutto in contesti urbani e occorre infatti ricordare che il 90% dei contagi da SARS-CoV-2 si è finora verificato nelle città. Il lavoro del WFP sta quindi cambiando e si sta modulando sulla base di queste nuove difficoltà e di questi nuovi scenari. Stiamo assistendo sempre di più le persone nei centri urbani con trasferimenti di contanti, anche con modalità diverse dal passato come, ad esempio, l’invio di sms con cui è possibile andare nei negozi che hanno aderito al progetto e acquistare quello di cui si ha bisogno. Non è un nuovo programma ma la novità è l’entità del bisogno di aiuto".

Ad essere colpite dagli effetti economici della pandemia sono tutte le aree del mondo e le situazioni più drammatiche sono quelle dei paesi in cui si verifica l'impatto congiunto di diversi fattori critici, dalle guerre alle manifestazioni estreme del cambiamento climatico, dall'instabilità politica alla recessione economica. "In Africa - approfondisce Emanuela Cutelli - parliamo di paesi come la Somalia, l’Etiopia, il Camerun, il Sud Sudan, Zimbabwe e Mozambico. In Asia sotto forte osservazione ci sono il Bangladesh e l’Afghanistan. In America latina il Venezuela e Haiti, in America centrale El Salvador e Nicaragua, in Medio oriente Iraq, Siria, Yemen e Libano. Per quanto riguarda in particolare il Libano siamo molto preoccupati per la devastante esplosione avvenuta al porto di Beirut, avvenuta in un momento delicatissimo a causa della maggiore crisi economica della storia del paese, con migliaia di posti di lavoro evaporati e grandi problemi con le rimesse su cui il Libano conta moltissimo. Ricordiamo che il paese importa circa l’85% del cibo, il potere di acquisto del cibo si è sbriciolato e l’insicurezza alimentare cresce rapidamente. Ad oggi, un milione di libanesi vive sotto la soglia di povertà. Una recente indagine del WFP sull’impatto della crisi economica e dello scoppio di Covid-19, con le conseguenti misure di lockdown, sui mezzi di sostentamento e sicurezza alimentare indica che il cibo è diventato motivo di preoccupazione, con il 50 per cento della popolazione che ha riportato di essere stata, nell’ultimo mese, allarmata di non avere cibo sufficiente.Tutto questo in un Paese tradizionalmente molto generoso sul fronte dell’accoglienza. I problemi gravissimi che i libanesi stanno affrontando non sono da meno di quelli dei rifugiati siriani, quel milione e mezzo di rifugiati che il paese ormai ospita da diversi anni e la cui situazione potrebbe peggiorare. Tra l’altro le famiglie che hanno dei risparmi in banca si trovano a non poterli ritirare a causa di misure draconiane di restrizione bancarie. Per l’Africa pensiamo al Sud Sudan, il Paese più giovane del mondo ma con una storia già travagliata segnata da un conflitto di cui non si intravede la fine, shock macroeconomici, alluvioni e infestazioni di locuste che causano devastazioni sul territorio. Su circa 11 milioni di persone, 6,5 soffrono di alti livelli di insicurezza alimentare e con l’arrivo della pandemia questi livelli possono schizzare alle stelle e si teme per una carestia soprattutto nelle aree di difficile accesso per gli operatori sanitari a causa degli scontri e dei combattimenti. Anche la produzione agricola si è ridotta notevolmente e i prezzi sono aumentati in maniera esponenziale".

"Quello che stiamo riscontrando - conclude Emanuela Cutelli - è che in molti casi le famiglie non riescono ad avere cibo che sia non solo sufficiente ma anche nutriente con conseguenze gravi sulla salute degli adulti e soprattutto dei bambini. Sappiamo infatti che deficit di micronutrienti e vitamine possono determinare effetti a volte irreversibili sullo sviluppo di un bambino. A livello globale la situazione è davvero grave e vorrei aggiungere che il WFP insieme ad altre agenzie delle Nazioni unite, a partner privati e ai governi nazionali sta facendo davvero di tutto per cercare di non trasformare una crisi sanitaria drammatica in un'emergenza alimentare globale. Una delle ultime, ma non meno importanti, raccomandazioni del rapporto è proprio relativa al coordinamento e alla collaborazione tra i vari attori umanitari e istituzionali perché solo tutti insieme con degli sforzi ingenti si potrà evitare una catastrofe umanitaria". 

 

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