SCIENZA E RICERCA

Ripartire in sicurezza si può. Ma è l'ambiente a farne le spese

La raccomandazione dal Comitato tecnico scientifico, che in vista della ripresa delle attività scolastiche richiede agli studenti di utilizzare una nuova mascherina monouso ogni giorno, può causare un certo sconcerto. La promessa che 11 milioni di mascherine saranno fornite quotidianamente alle scuole non rassicura affatto se si tiene in considerazione la questione ambientale.
Questa misura, se dovesse essere effettivamente attuata, causerebbe un problema ecologico molto difficile da trascurare. L'enorme consumo delle mascherine monouso che, ricordiamolo, non sono riciclabili, produrrà una quantità esorbitante di rifiuti plastici. Quale sarà il loro impatto sull'ambiente e sul sistema di gestione dei rifiuti?

Lo abbiamo chiesto alla professoressa Maria Cristina Lavagnolo, docente di ingegneria sanitaria ambientale all'università di Padova, che in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Detritus ha evidenziato come la pandemia abbia reso vani molti dei passi avanti fino ad allora compiuti per avvicinarsi al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) e alla realizzazione di un'economia circolare.

“Il materiale di cui sono fatte le mascherine chirurgiche è un tessuto filtrante, ed è monouso proprio perché ciò che viene bloccato dal filtro ed è potenzialmente pericoloso, dev'essere eliminato”, chiarisce la professoressa Lavagnolo. “Non è possibile riciclarle, quindi, perché contengono eventuali elementi di contaminazione. Il loro corretto smaltimento, infatti, rende necessaria una sicura igienizzazione.
Per riciclare in sicurezza questi materiali servirebbe infatti sottoporli a una sanificazione, ma al momento non esiste una tecnologia in grado di fare questo senza inficiare sulle caratteristiche filtranti della mascherina. Il sistema di gestione dei rifiuti prevede perciò che vengano portate o all'inceneritore o alla discarica.

Per quanto riguarda i pericoli e i vantaggi di queste soluzioni, è attualmente in corso un grande dibattito, anche politico. I rifiuti speciali, dato il loro rischio di pericolosità sulla salute, ricevono il loro miglior trattamento tramite l'incenerimento. Nel caso delle mascherine, la distruzione termochimica consente infatti di eliminare anche eventuali patogeni come i batteri e i virus che sono stati fermati dai loro filtri. Da sempre l'incenerimento è stato considerato una soluzione meravigliosa per igienizzare i rifiuti sanitari pericolosi.
Il problema, in questo caso, riguarda l'impatto sull'ambiente delle emissioni degli inceneritori. Gli inceneritori sono tra le tecnologie di smaltimento rifiuti più controllate, perché hanno dato adito, negli anni, a tantissime polemiche. Quelli di ultima generazione sono dotati di un sistema APC (air pollution control) che è la parte atta a fermare le emissioni. Di questa tecnologia, quindi, per quanto faccia effettivamente discutere, possiamo dirci abbastanza sicuri in questo momento.
Certo, una minima emissione c'è, ed è chiaro che se ci fossero altri modi per trattare questi rifiuti sarebbe meglio; ma, almeno per ora, l'alternativa è la discarica.

Per quanto le discariche di ultime generazione siano costruite e controllate molto bene dal punto di vista tecnologico e per quanto abbiano limitato molto le emissioni, hanno comunque lo svantaggio di impattare sul territorio”.

“Gli studenti che stanno per tornare tra i banchi di scuola, però, sono circa 8 milioni. Se ognuno di loro deve cambiare ogni giorno la mascherina, otteniamo una sottostima importante di 240 milioni di mascherine da smaltire al mese e possiamo quindi immaginare l'impatto sulle discariche e sugli inceneritori", continua la professoressa Lavagnolo.
"Ammettendo che gli inceneritori possano gestire questa marea di mascherine – e in parte siamo anche fortunati ad averne due in Veneto, che ci rendono autosufficienti – non ce ne sono in tutte le regioni. Quelle che non hanno gli inceneritori, infatti, o le mandano in discarica, o iniziano a farle viaggiare, causando un impatto ecologico dovuto a questo incremento del trasporto di rifiuti.

È necessario quindi guardare il problema a 360 gradi. È meglio il trasporto, l'incenerimento, o la discarica? È difficile dare una risposta. Sicuramente non possiamo aspettarci che non ci sarà un impatto, perché qualunque cosa decideremo di fare avrà delle ripercussioni e resta solo da vedere se queste riguarderanno il trasporto, le discariche o gli inceneritori. Ci sarà inoltre anche un impatto economico, dovuto alla gestione di una quantità molto maggiore di rifiuti rispetto alla media”.

Esiste allora un modo di raggiungere un compromesso tra sicurezza e sostenibilità ecologica? Non potrebbe essere raggiunto cercando di incentivare l'uso di mascherine in tessuto o di oggetti in materiali riciclabili o biodegradabili?

“In questo periodo si sente molto parlare di bioplastiche, le quali però non danno garanzie di igienizzazione”, spiega la professoressa Lavagnolo. “Le forchette e i coltelli non possono essere compostati, anche se in bioplastica.
Trovare dei materiali alternativi è molto problematico, e per questo è necessario riaprire un dibattito tecnico che sia avulso dalle pressioni della politica. Serve una grande lucidità in questo, per non rischiare di scegliere una direzione che si riveli più svantaggiosa che risolutiva.

Di certo tutto ciò che è riciclabile o che limita l'utilizzo di risorse vergini è auspicabile, ma per quanto riguarda la questione del biodegradabile, c'è un grande fraintendimento, perché la biodegradazione avviene tramite i batteri.
Parlare ad esempio di mascherine biodegradabili, infatti, è una contraddizione in termini. Se una mascherina biodegradabile, vuol dire che è permeabile, che i batteri la possono distruggere, e che quindi non protegge.
Magari un domani troveremo delle mascherine in grado di far passare soltanto i batteri che non ci possono nuocere, come quelli che ospitiamo già all'interno del nostro corpo.

Per quanto riguarda l'uso di mascherine riciclabili e lavabili, resta sempre un problema di sicurezza. Perché quando indossiamo una mascherina nuova, appena tirata fuori dalla sua confezione, abbiamo la garanzia che non è contaminata. Ma quando la laviamo, come facciamo a sapere se l'abbiamo fatto abbastanza o nel modo giusto?

Il bello delle mascherine monouso è la garanzia che la loro proprietà filtrante si mantiene durante l'uso, e che se è contaminata, una volta buttata via non rappresenta un rischio per la propria salute e quella degli altri.

Ovviamente, oltre a proteggere la salute, causano un impatto importante sull'ambiente, ma è comprensibile che coloro che si occupano della sicurezza delle scuole e che devono garantire un certo livello di sicurezza, abbiano come prima preoccupazione la salute degli studenti, e richiedano quindi la mascherina chirurgica monouso”.

Il problema però non riguarda solo lo smaltimento delle mascherine per gli studenti e i lavoratori. Anche in altri luoghi, come nelle palestre e nelle piscine viene talvolta richiesto, come misura di sicurezza, il ricorso a oggetti e contenitori monouso come ad esempio sacchetti di plastica che sostituiscano zaini e borsoni.

“Tutto questo sta succedendo nelle palestre e anche nelle mense”, aggiunge la professoressa Lavagnolo, “che forniscono lunch boxes con posate usa e getta per evitare il più possibile che ci siano contaminazioni. Lo scopo dell'economia circolare, prima della pandemia, era proprio cercare di limitare l'utilizzo di oggetti monouso. Ciò che è successo, però, ci ha riportati di nuovo indietro, costringendoci a dover ripensare alla gestione dei rifiuti. Ci troviamo di nuovo a riconsiderare tutti gli sforzi fatti in direzione di una transizione volta a liberarci delle plastiche monouso, che impattano sulla gestione dei rifiuti. Con cosa possiamo sostituirle? È tutto un dibattito aperto e da affrontare con urgenza”.

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