CULTURA

Caruso & Co. Cinema tra Italia e Stati Uniti

"Le culture italiana e americana dello spettacolo hanno sempre interagito in modi complessi sin dai tempi del muto, fino ad arrivare all’attuale 'dominio' di registi e attori italo-americani a Hollywood. Questa interazione si è svolta all’interno di un ciclo di reciproche influenze e di reciproci utilizzi, sebbene il contributo degli attori italiani e delle nostre tradizioni teatrali non sia stato ancora riconosciuto, mentre pochi negherebbero il ruolo di Hollywood nella creazione di un immaginario globale". Dal cinema al teatro, passando per la musica: gli artisti italiani emigrati negli Stati Uniti raccontati dalla storica Giuliana Muscio, già docente all'Università di Padova e visiting professor all’università di Minnesota e all’Ucla. Un viaggio nel tempo e attraverso i luoghi che inizia nel 1895, con i primi artisti italiani emigrati in America, e raggiunge la scena contemporanea degli eredi come Frank Sinatra, e poi Martin Scorsese, Francis Ford Coppola fino a John Turturro.

Napoli/New York/Hollywood (Dino Audino editore) è "una storia infinita che, per chi scrive, si riapre di continuo", ed è la traduzione, a cura di Dario Minutolo, di Napoli/New York/Hollywood. Film Between Italy and the United States pubblicato da Fordham University Press a New York, nel 2019. Una traduzione letterale che, ovviamente, non è bastata, perché, spiega Muscio, "è stato necessario trasferire il testo in un’altra cultura, in pratica ripensarlo e riscriverlo".

Il risultato è contenuto in un ricco volume di 240 pagine che, con dovizia di particolari e aneddoti, tra storia collettiva ed esperienze di singoli, ripercorre le tappe dell’emigrazione artistica italiana che ha cambiato il cinema americano e l’immagine degli italiani negli Usa, proponendo tre sezioni: la prima va dal 1895 al 1930, la seconda comprende il periodo dal 1930 al 1945, con lo sfondo del fascismo e del New Deal e un focus dedicato a un film particolarmente emblematico Santa Lucia Luntana (1931), restaurato dalla Film Foundation di Scorsese, che racconta, con approccio quasi documentaristico, le vicende di una famiglia napoletana in una New York in piena Depressione. Infine, la terza parte inizia nel 1945 con l’Italia diventata nazione alleata e l'avvento del Neorealismo, capace di conquistare anche gli americani, e arriva ai giorni nostri, presente fertile, in cui i registi italo-americani nutrono con sane, profonde e complesse emozioni un cinema contemporaneo statunitense caratterizzato, spesso e volentieri, da effetti speciali e psicologie adolescenziali. "La presenza di artisti italiani e italo-americani nei media americani iniziò con il contraddittorio utilizzo del loro lavoro nel cinema che precede il secondo conflitto mondiale - commenta Muscio -, oscillando tra pregiudizi e rispetto per la tradizione teatrale italiana, con il risultato di aver dato vita al rigido stereotipo dell’italiano, equamente diviso tra sentimentalismo e violenza". Non siamo di fronte a una storia lineare, ma lunga e articolata: tra tradizione e aria di cambiamento, nel tempo, il lavoro culturale di generazioni di artisti provenienti dall’Italia o di origini italiane ha contribuito ad alimentare e trasformare il cinema d’Oltreoceano, costruendo un'immagine potente degli italiani e dell’italianità presso il pubblico americano, ma dovendo sempre affrontare resistenze e pregiudizi.

Tra il 1880 e il 1915, tredici milioni di italiani emigrarono nelle Americhe, in Europa e nell’area del Mediterraneo [...] Circa un terzo di essi si diresse verso gli Stati Uniti Giuliana Muscio, Napoli/New York/Hollywood

"Gli attori italiani a Hollywood e il teatro dell’emigrazione a New York condividono una cultura italiana dello spettacolo - scrive Muscio - ma mentre gli hollywoodiani e gli attori del teatro degli emigrati di San Francisco erano genericamente “italiani”, sulla East Coast il teatro popolare, la radio, i film e la musica erano radicati nelle tradizioni napoletane, arricchite dagli scambi interculturali". Leggendo, si incontrano storie e aneddoti poco e, a volte, per nulla conosciuti, frutto di una accurata ricerca d'archivio e indagine filmica condotta dall'autrice. Tra tutti, il caso unico e straordinario di Enrico Caruso (Napoli 1873-1921), la prima star moderna dei media, figura ponte tra cultura alta e cultura bassa, artista dalla forte e e brillante personalità (caratteristica che tanto piaceva alla stampa internazionale dell'epoca) rimasto sempre italiano, anzi, per la precisione, napoletano, anche dopo aver conquistato la fama negli Stati Uniti.

Cantante lirico dalla voce inconfondibile, fu il primo a vendere un milione di copie di un disco (Vesti la giubba)Iniziò la sua carriera a Napoli e fu tra i primi tenori a incidere le sue canzoni, in una stanza d'albergo di Milano convertita in studio, nell’aprile del 1902. Il debutto americano risale al novembre del 1903: Caruso debuttò al Metropolitan di New York, dove rimase a contratto per diciassette anni.

Tra il 1904 e il 1920 guadagnò un milione e ottocentoventicinque dollari dalle vendite di dischi. La sua voce riuscì persino a segnare una svolta sugli usi sociali, trasformando il grammofono in strumento per ascoltare l’opera e la musica. Siamo di fronte a una vera e propria star, adorata ma anche ferocemente criticata. La forte identità italiana fu allo stesso tempo motore del suo successo e motivo di aggressioni e guerre più o meno dichiarate. Un esempio? Lo scandalo dello zoo, che nel 1906, a New York, lo vide al centro delle cronache con l'accusa di aver molestato una giovane donna vicino alla gabbia delle scimmie nello zoo di Central Park: il nome dello scandalo e l’associazione alle scimmie svelano a livello simbolico un sentimento anti-italiano latente. Si trattò di una montatura: l'accusatrice non si presentò in tribunale, il poliziotto che lo aveva arrestato fu processato, in un altro caso, per falsa testimonianza. Caruso venne comunque giudicato colpevole dalla Corte e condannato a pagare una multa di dieci dollari. Il suo interesse per le donne era forse diventato un punto debole e scoperto su cui insistere con l'intento di ricattarlo, "o forse, come suggerì Puccini, si era trattato di un modo per 'farlo fuori' da parte di un impresario ostile".

Nell’opera canto parole straniere ma le faccio capire attraverso la recitazione. Nei film non canto per niente, eppure mi capiscono altrettanto facilmente Enrico Caruso

Una cosa è certa, di Caruso si parlava, e molto. Fu protagonista anche di fumetti e servizi fotografici, lui stesso disegnava caricature ed era anche un abile scultore (alcuni suoi piccoli manufatti sono conservati nell’archivio del Metropolitan). Ben presto le sue doti interpretative lo avvicinarono al cinema muto americano che, qualche anno più tardi, accolse anche un altro grande mito italiano: Rodolfo Guglielmi, alias Valentino, il quale aveva lasciato l'Italia per spirito d'avventura imbarcandosi, nel 1913, su un piroscafo, inserendosi anch'egli in quella ondata migratoria che, tra il 1880 e il 1915, vide tredici milioni di italiani in viaggio verso le Americhe, in Europa e nell’area del Mediterraneo. Ma torniamo a Caruso: i film My Cousin del 1918 e The Splendid Romance del 1919 (quest'ultimo oggi perduto, distribuito nel Regno Unito e mai negli Sati Uniti), diretti da Edward José, non facevano altro che documentare la sua vita, perché era la sua stessa quotidianità ad affascinare. In My Cousin, ambientato a Little Italy, Caruso interpretava Tommasso, figurinaio italiano emigrato, e suo cugino, il tenore Caroli. Del suo talento attoriale, caratterizzato da una interpretazione naturalistica, modernissima per l'epoca, scrisse Variety in un articolo del 29 novembre 1918: "Oltre a essere un grande tenore, Caruso dimostra di non essere da meno come attore". E ancora, il New York Times celebrava le sue doti, aggiungendo: "[...] la sua personalità pervade naturalmente la scena". Ma, nonostante le ottime recensioni, le sorti del film si rivelarono stranamente e misteriosamente infelici: fu infatti un fallimento commerciale. Il produttore Jesse Lasky della Famous Players-Lasky (che nel 1918 aveva offerto a Caruso duecentomila dollari per i due film da girare negli studi Artcraft di New York) fece ritirare il film dalla circolazione. Il tempo ha fatto emergere verità strettamente legate a inquietanti e ben alimentati stereotipi e pregiudizi, di cui non fu in alcun modo responsabile Caruso, ma il produttore Lasky, il quale non riuscì a gestire la popolarità del suo attore, esponendolo ad attacchi e false accuse, persino in relazione a un suo coinvolgimento con la malavita della Mano Nera.

Quando la prima ufficiale del film, fissata per il 20 ottobre 1918 venne cancellata a causa della epidemia di "spagnola", nell'attesa della nuova proiezione del 17 novembre, le testate Moving Picture Stories e Picture Play si scatenarono, pubblicando due diverse novellizzazioni. La prima indicava nomi diversi dei protagonisti e un racconto più melodrammatico, la seconda riportava nomi e trama corretti ma privava la pellicola dei toni umoristici e spingeva su stereotipi negativi e offensivi nei confronti degli italiani: dalla descrizione di Tommasso che fa “la faccia della scimmia” per sbeffeggiare il rivale al riferimento alla Mano Nera, rintracciato in una scena in cui Tommasso agita il pugno, interpretato dalla stampa come una minaccia. In realtà, spiega Muscio, "la scena del film non suggerisce affatto una situazione minacciosa, tantomeno un avvertimento mafioso. Inoltre, era noto che Caruso si era rifiutato di pagare la Mano Nera, facendosi ovviamente dei nemici: associarlo a questa organizzazione criminale fu quindi particolarmente scorretto".

Nonostante le altalene (subite) d'amore e odio, in Caruso il legame con l'Italia e gli Usa restò equilibrato, profondo ed evidente tanto che, "nell’inquadratura finale di My Cousin, il tenore Caroli [...] si reca a una festa di strada a Little Italy, decorata con bandiere sia italiane che americane".

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